Tra il 19 e il 21 settembre si è tenuto a Bruxelles il terzo Congresso mondiale dell’agricoltura verticale nelle sue diverse declinazioni. Un appuntamento che sta crescendo di anno in anno, a riprova della vitalità di un settore che mai come negli ultimi mesi è diventato un osservato speciale grazie alle sue specificità, che lo pongono al riparo dagli eventi climatici estremi. Ciò spiega anche perché la crescita sia vertiginosa, e perché uno dei risultati più interessanti dell’incontro sia stato un Manifesto, per ora sottoscritto da una ventina tra i più grandi coltivatori verticali del mondo.
La necessità di tale dichiarazione è stata spiegata a FoodNavigator dai CEO di alcune aziende firmatarie e trae origine dalla volontà di far crescere il settore – in un momento in cui vi stanno affluendo enormi quantità di denaro. L’intento è di mantenenerlo sostenibile facendolo diventare uno strumento di democrazia, l’emblema stesso di un modo innovativo di produrre cibo, in totale accordo con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu. Il rischio è che, con l’arrivo dei grandi capitali di investimento, necessari a rendere queste produzioni sostenibili anche economicamente, vengano meno alcune delle caratteristiche che, finora, ne hanno decretato il successo, come la trasparenza e l’attenzione ai miglioramenti continui in termini di impatto. Al tempo stesso, si coglie, nelle dichiarazioni, il forte desiderio di essere conosciuti meglio, e non diventare oggetto di rappresentazioni non veritiere, alimentate dalla diffusa e generica diffidenza verso la tecnologia.
Ecco quindi il Manifesto, che è sia un biglietto da visita che una dichiarazione di impegno:
“Siamo l’Agricoltura Verticale. Siamo l’Agricoltura 4.0, e poniamo al centro del nostro lavoro il cibo e la tecnologia, le persone e il pianeta. Siamo il punto di incontro tra agricoltura, data science, ingegneria e sostenibilità. La nostra missione è trasformare i sistemi alimentari a beneficio delle persone e del pianeta e contribuire con soluzioni all’aggravarsi della crisi ambientale, esacerbata dall’agricoltura tradizionale. Ci impegniamo a separare la distruzione dell’ecosistema dalla produzione del cibo attraverso strumenti tecnologici. Collaboriamo con la comunità agricola tradizionale per valorizzare le sue pratiche agricole e contribuire ad aumentare la produzione per nutrire una popolazione in rapida crescita a fronte di un clima sempre più instabile con meno risorse.”
“Riconosciamo la crisi climatica e agiamo per garantire che la produzione alimentare continui a prosperare. Quindi coltiviamo cibo più vicino a dove vivono le persone e usiamo molta meno acqua, terra e chilometri per farlo crescere e trasportarlo (più del 90% in meno rispetto all’agricoltura convenzionale) per salvaguardare gli ecosistemi e proteggere l’umanità. Riproduciamo la ‘luce solare’ per coltivare cibo e riconosciamo questa sfida energetica e di emissioni. Guidiamo la transizione verso l’energia rinnovabile e verde. Ci impegniamo ad allinearci con gli schemi di impatto accettati a livello globale (tra i quali SBTi, B Corp, SDG).”
“Comprendiamo le piante e la loro crescita ascoltando, guardando e imparando dalle loro vite, migliorando la qualità, la durata di conservazione, gli aspetti nutrizionali, il sapore, la freschezza e l’utilizzo delle risorse. Produciamo prodotti privi di pesticidi, eliminando al contempo pericolosi deflussi e riducendo lo sfruttamento del suolo. Siamo sistemi chiusi, con sprechi minimi, che nutrono le persone e il pianeta. Realizziamo l’ambiente in cui produciamo, qualunque sia il tempo o la stagione. Innoviamo e miglioriamo ogni giorno utilizzando l’intelligenza artificiale, i dati e la scienza per crescere in modo uniforme e più intelligente, producendo più raccolti in qualità, volume e varietà. Misuriamo e adattiamo il nostro impatto ambientale e ci impegniamo a essere trasparenti.
Produciamo di più con meno.”
Un modo diverso di rendere familiari i metodi di coltivazione innovativi è poi quello scelto da Nature, che nella rubrica “Dove lavoro” ha presentato, nei giorni scorsi, Ana Saez García, che produce con metodo idroponico il luppolo per la birra nella sua azienda Ekonoke, nei pressi di Madrid. García ha studiato agricoltura ecologica all’Università di Wageningen, nei Paesi Bassi, il centro di ricerca alimentare avanzata più importante d’Europa, e nel 2016 ha fondato con una socia Ekonoke, che oltre a produrre verdure a foglia verde, dal 2020 produce anche micro ortaggi e, appunto, luppolo. L’azienda riesce ad avere quattro raccolti all’anno, tutti senza pesticidi, e si espanderà in Galizia, in un nuovo stabilimento da oltre mille metri quadrati, realizzato in collaborazione con una storica azienda che produce la birra Estrella Galicia da oltre cento anni. La prima birra al mondo ottenuta esclusivamente da luppolo idroponico, in edizione limitata, è stata venduta in luglio. Ed è stata chiamata Respect!
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Giornalista scientifica