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Negli ultimi anni, le mandorle hanno conosciuto un successo crescente, e non solo come frutto a guscio da inserire nella dieta quotidiana, come consigliano molte linee guida. Farina, olio, burro, marzapane e latte sono ormai utilizzati per la preparazione di centinaia di prodotti. Delle mandorle si sfrutta quasi solo il frutto, del tutto decorticato e trattato per diventare bianco (in genere con acqua bollente) oppure con la buccia (liscia o rugosa). Il guscio e il mallo sono generalmente destinati alla produzione di cibo per animali o biocarburanti.

Tuttavia, si tratta a tutti gli effetti di una sottovalutazione e di uno spreco, perché tutte le parti sono ricche di nutrienti che potrebbero essere impiegati nella produzione di alimenti, chiudendo così in modo virtuoso il ciclo di una produzione che, oltretutto, consuma quantità enormi di acqua.

A sottolineare tutte le potenzialità delle mandorle, facendo il punto su ciò che si è scoperto finora, è una review pubblicata su Future Foods dai ricercatori del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimenti, Risorse Naturali e Ingegneria (DAFNE) dell’Università di Foggia, che spiegano come, da ciascuna delle parti si possono ottenere nutrienti nobili da riutilizzare.

Quattro parti più due

Il mallo, cioè l’involucro più esterno, verde, rappresenta più della metà del peso del frutto, ed è costituito da zuccheri (18-30%), proteine (2-8%) e fibre (20-35%), più elevate quantità di antiossidanti e composti bioattivi come i fenoli, i bioterpenoidi, i derivati dell’acido cinnamico. Il guscio, tipicamente legnoso, costituisce più di un terzo del peso ed è all’origine di milioni di tonnellate di sottoprodotti. Contiene lignina (al 28%) e zuccheri (al 53%) più polifenoli, tannini, flavonoidi e terpeni: tutte molecole che potrebbero essere riutilizzate nell’industria alimentare e che, invece, oggi finiscono per lo più nel circuito dei biocarburanti.

Delle mandorle si sfrutta quasi solo il frutto, mentre guscio e mallo sono scartati

La buccia, che rappresenta il 4% del peso, se non viene lasciata sul frutto, di solito viene eliminata. Ma, ancora una volta, si tratta di un errore, perché in essa si concentrano molti antiossidanti (più della metà del peso) e proteine (circa il 10%), mentre i grassi e gli zuccheri sono molto poco presenti (rispettivamente meno del 5 e meno del 15%). In essa si trovano inoltre diversi minerali come il manganese, il rame, lo zinco e il selenio, le cui concentrazioni dipendono dai metodi di trattamento. Se l’acqua calda e la tostatura ne porta via la maggior parte, altri sistemi come quello basato sugli ultrasuoni riescono a preservare quasi il 90% dei nutrienti.

Il processo di sbiancamento

Un altro materiale da riconsiderare è l’acqua di sbiancamento, prodotta in quantità enormi (per ogni dieci tonnellate di mandorle da trattare ne servono tra i cinque e i dieci metri cubici al giorno), e riscaldata a 96°C per quattro minuti. Quest’acqua contiene infatti molti composti idrosolubili quali gli antiossidanti (i polifenoli, le catechine), e sarebbe sufficiente un buon sistema di filtrazione per recuperarli.

Esistono poi gli intermedi di lavorazione solidi come le paste, tra le quali quelle che restano dopo aver estratto il latte e quelle che arrivano dall’estrazione dell’olio. In entrambi i casi, si tratta di materiali ricchissimi di fibre, lipidi, zuccheri, proteine, minerali, oggi destinati a usi secondari. Ma, come sottolineano gli autori, è inammissibile che paste così valide dal punto di vista nutrizionale non siano utilizzate meglio. Tra l’altro, alcune sono prive di glutine e sarebbero quindi adatte anche alla realizzazione di alimenti per celiaci.

Le possibili applicazioni

Nel lavoro sono poi indicati i possibili impieghi dei sottoprodotti, con le caratteristiche nutrizionali e organolettiche. Così, la farina di mallo potrebbe essere utilizzata per ottenere nuovi tipi di pane particolarmente ricchi in fibre e antiossidanti. Gli estratti di guscio, a loro volta, potrebbero trovare una collocazione nei biscotti ricchi di antiossidanti e fibre con, in più, un’attività inibitoria sull’enzima alfa-glucosidasi, caratteristica che potrebbe aiutare chi soffre di sindrome metabolica e deve tenere sotto controllo la glicemia.

Lo stesso vale per la buccia: unita a biscotti, pane, marmellate, waffles e anche alla stessa pasta di mandorle, potrebbe far aumentare la concentrazione di antiossidanti e fibre, e far diminuire l’attività enzimatica a carico di zuccheri e carboidrati. Per quanto riguarda i due tipi di pasta, quella che arriva dall’estrazione dei lipidi potrebbe essere molto indicata nella preparazione di farine per celiaci e, ancora una volta, in quella di biscotti e snack, così come quella che arriva dal ciclo del latte. La prima è a basso tenore di zuccheri, la seconda di grassi.

Si potrebbero aggiungere i derivati delle mandorle a prodotti come i biscotti o i cracker

Nello studio si trovano poi anche le descrizioni delle variazioni di colore, aroma e altre caratteristiche tecniche e organolettiche legate all’aggiunta dei derivati delle mandorle a prodotti come appunto i biscotti o i crackers. Il messaggio, comunque, è chiaro: non è giustificabile destinare i sottoprodotti della lavorazione delle mandorle alle produzioni secondarie, o agli inceneritori.

Le mandorle nel mondo

La produzione mondiale di mandorle con guscio nel 2020 è stata di circa 4,1 milioni di tonnellate, con l’America (e soprattutto Argentina, Brasile, Cile, Messico, Perù e Stati Uniti) come primo produttore. Seguono l’Asia (con poco meno di 650.000 tonnellate) e l’Europa (con 560.000 tonnellate) pari, in entrambi i casi, ai 15% della produzione mondiale annua. In Italia si ottengono circa 85.000 tonnellate di mandorle all’anno, su una superficie coltivata di oltre 50.000 ettari concentrata in Sicilia (60%) e Puglia (30%), mentre Calabria, Basilicata e Sardegna hanno produzioni locali, di volumi trascurabili.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos

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