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È possibile che su fagioli, lenticchie e in genere sui legumi in scatola ci sia scritto dove sono inscatolati, ma non la provenienza del prodotto? Di seguito la lettera giunta in redazione e la risposta di Roberto Pinton, esperto di produzioni alimentari.

La lettera sui fagioli

“La scorsa settimana ho acquistato in un punto vendita Esselunga di Firenze dei fagioli borlotti in scatola. Leggendo l’etichetta ho trovato facilmente l’indicazione dello stabilimento di produzione presso Codigoro. Questa informazione mi dice dove sono confezionati, quindi, immagino, cotti e inscatolati, ma non da dove provengano i fagioli, in particolare se siano o meno di produzione italiana. Ho visto, per esempio, che invece sui fagioli biologici, sempre Esselunga, questa indicazione c’è. Probabilmente in questo caso lo impongono i protocolli del biologico. Allora, ho controllato per curiosità, per esempio una marca nota, Valfrutta, che sui suoi fagioli (italiani) mette addirittura un QR code che permette di verificare la regione dove sono prodotti.Fagioli borlotti Esselunga 2025

Risponde Roberto Pinton

Se si tratta di legumi biologici l’indicazione dell’origine è sempre obbligatoria (va indicata con “agricoltura UE”, “agricoltura non UE”, “agricoltura UE/non UE”, a seconda del caso; l’indicazione può essere integrata col il nome del Paese in cui sia stato coltivato almeno il 95% degli ingredienti agricoli).

Nei prodotti convenzionali l’indicazione non è obbligatoria, salvo che nel caso in cui la presentazione del prodotto possa dare adito a dubbi.
Per intenderci, se in etichetta appaiono il Vesuvio, il Colosseo, Dante, una silhouette della penisola o una bandierina tricolore (cioè chiari riferimenti all’Italia) e i legumi non sono stati coltivati in Italia è obbligatorio indicarne l’origine; lo stesso accade quando si indichi “made in Italy” o “prodotto in Italia”.fagioli borlotti esselunga bio 2025

In questi casi, ai sensi del regolamento UE n.775/2018, le diciture da indicare sono:
– «UE», «non UE» o «UE e non UE», oppure
– il nome di uno o più Stati membri o Paesi terzi, oppure
– il nome di una regione o di un’altra zona geografica all’interno di diversi Stati membri o di Paesi terzi, oppure una dicitura come
– «i (nome dei legumi) non provengono dall’Italia» o di analogo significato per il consumatore.

La linee guida

Le linee guida della Commissione Europea precisano che il semplice “confezionato in Italia” non costituisce un riferimento alla località di coltivazione dell’ingrediente agricolo, così come non lo costituisce una locuzione come «tipo», «stile» «ricetta», «ispirato a» o «alla»: un prodotto etichettato come “yogurt greco” fa un chiaro riferimento all’origine greca del prodotto, mentre un semplice “yogurt alla greca” fa solo riferimento a una ricetta e non è necessario dettagliare un eventuale diverso Paese d’origine del latte, proprio come per “pesto alla genovese” non è necessario indicare l’eventuale origine non ligure di basilico e olio.

L’omissione dell’indicazione dell’origine non è affatto di per sé indice di scarsa qualità (in ogni caso il prodotto dev’essere conforme ai requisiti di legge). Semplicemente il produttore non ha ritenuto l’informazione (che non è obbligatoria, ma del tutto volontaria, se si eccettuano i casi sopra elencati) di particolare interesse del consumatore.

Il lettore tenga presente che un’etichetta che riporti uno dei chiari riferimenti all’Italia sopra richiamati, in assenza del dettaglio di un’origine diversa della materia prima, sottintende comunque l’origine italiana, che l’operatore non è tenuto a precisare espressamente.

Roberto Pinton

© Riproduzione riservata. Foto: Esselunga, Depositphoto

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Tonino Riccardi
Tonino Riccardi
28 Marzo 2025 13:34

Dove non è obbligatorio comunque è volontario. Evidentemente non conviene fare sapere che i prodotti sono coltivati in paesi con dittature o simil tali a stipendi da fame…

Alessandro
Alessandro
Reply to  Tonino Riccardi
1 Aprile 2025 13:50

O in Paesi dove non si pone particolare attenzione a sostenibilità e uso di certe sostanze chimiche.

Maurizio
Maurizio
23 Aprile 2025 08:47

I prodotti agricoli alimentari passano per la maggior parte, tramite stoccatori/commercianti che ritirano grandi quantità per poi venderle sul mercato anche a brand importanti che, pur dichiarando e allestendo filiere, non hanno prodotto a sufficienza. Questo vale sia per il biologico che per il convenzionale, cambia solo la percentuale ammessa ( come indicato giustamente da Pinton) che per il biologico è molto bassa. Tenersi le mani libere, coprirsi solo per una parte con contratti a prezzo fisso per dichiarare la filiera e coprirsi con acquisti sul mercato globale è una pratica corrente per tutti i marchi.
In questo i marchi alimentari riescono anche a tenere bassi i prezzi con gli agricoltori e non far pesare queste filiere “parziali” sui loro bilanci. Se girate le aziende agricole italiane non ce n’è una che non abbia una contratto di filiera con un produttore anche per i prodotti alimentari più marginali.
Come sempre al consumatore non far sapere quanto è buono ” il formaggio con le pere!!”