Spesso le verdure surgelate vengono sbollentate prima del processo di surgelazione, per bloccare le attività enzimatiche che possono provocare una perdita di sapore, colore e consistenza. Ma il trattamento non è sempre efficace nel ridurre il rischio di contaminazione da Listeria monocytogenes. Dopo l’ultima crisi, che ha causato dieci morti tra il 2015 e il 2018 (su 53 infettati) e di cui si è occupato anche Il Fatto Alimentare, Efsa ha pubblicato un rapporto che quantifica il rischio. Il documento valuta le procedure più comunemente utilizzate dai produttori e fornisce consigli per chi utilizza le verdure surgelate in casa.
Per quanto riguarda i produttori, viene data grande importanza alla pulizia e alla disinfezione degli ambienti di lavoro, il controllo dell’acqua, della durata e della temperatura di lavorazione e la corretta etichettatura: attenzioni indispensabili, visto che la Listeria può resistere sugli oggetti anche alle basse temperature e contaminare gli alimenti attraverso di essi.
In ambiente domestico, è fondamentale osservare le corrette procedure di conservazione, cioè tenere le verdure alla giusta temperatura in ambiente sempre pulito, rispettando quanto consigliato in etichetta e soprattutto cuocendo bene dopo lo scongelamento.
Secondo l’ultimo rapporto congiunto di Efsa ed Ecdc, l’incidenza di listeriosi è in aumento in Europa, anche se di poco. Nel 2018 ci sono stati 2.549 casi contro i 2.480 del 2017, ma la tendenza degli ultimi dieci anni è in crescita. Anche per questo, e soprattutto in un momento in cui si sta a casa, si cucina di più , si fa la spesa meno spesso e si ricorre di più agli alimenti surgegelati, è importante limitare al massimo i rischi. La listeriosi – ricorda ancora l’Efsa – dà sintomi che vanno da nausea, diarrea e vomito (simili a quelli dell’influenza) fino alla meningite e alla morte, e colpisce soprattutto gli anziani, le donne in gravidanza, i soggetti immunodepressi e i neonati.
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Giornalista scientifica
Scusate,
ma le verdure surgelate in genere si consumano cotte, e non si elimina così l pericolo di ogni possibile contaminazione batterica/virale?
Eleonora
Ormai da anni consumo tutti gli alimenti cotti, esclusi (ovviamente 🙂 ) agrumi, banane, fragole…
Se si vuole dare un’informazione completa deve dire anche a quale temperatura e per quanto tempo di cottura si elimina il rischio. Altrimenti non si capisce come cautelarsi.
Salla Fondazione Veronesi: “Fondamentale è anche procedere correttamente alla cottura, tenendo in considerazione le variabili tempo e temperatura. Quest’ultima, per essere ottimale, va mantenuta al cuore dell’alimento per un minuto e varia a seconda del prodotto: 63 gradi per i tagli di carne bovina, 65 per il pesce, 71 per la carne bovina macinata, 77 per i tagli di pollo o tacchino, 82 per il pollame intero. Gli alimenti preparati in anticipo rispetto al momento del consumo devono essere mantenuti a una temperatura superiore ai 60 gradi. L’unico strumento per accertare il raggiungimento della temperatura ottimale è il termometro da cucina. Questo strumento è particolarmente consigliato agli operatori alimentari nella ristorazione collettiva, nelle mense scolastiche e ospedaliere.”