Oggi in redazione abbiamo ricevuto l’ennesima offerta da parte di una grossa azienda che chiedeva l’importo necessario per fare pubblicare sul sito alcuni pubbliredazionali. Per i non addetti ai lavori i pubbliredazionali sono articoli firmati da giornalisti veri, dove si parla bene di una nuova iniziativa, di un prodotto e quant’altro, facendo visionare prima il testo all’azienda che ha pagato. In alternativa l’offerta proponeva un articolo con il profilo dell’amministratore delegato o una nota sulle novità in ambito sostenibile. Venerdì abbiamo ricevuto un’altra mail in cui si chiedeva il costo per un articolo definito una ‘vetrina di prodotto’. C’è anche chi propone l’abbinamento di una creatività banner con il rimando sui social. I più seri si accontentano di una nota pubblicitaria distinguibile dagli articoli veri per l’aggiunta della scritta ‘advertising’ posizionata in alto a destra. Ci sono poi siti che per politica editoriale dedicano uno spazio fisso alle informazioni commerciali delle aziende o realizzano lunghi articoli senza notizie, solo per lodare un marchio. Questo accade in moltissimi siti senza distinzione fra grandi e piccoli, con poche eccezioni.
Ma il panorama del giornalismo equivoco non è finito. Ci sono editori che, a pagamento, distribuiscono medaglie da utilizzare nella pubblicità dicendo che il proprio prodotto è risultato il migliore di tutti. Insomma l’assortimento di formule e vasto ma tutte hanno un solo scopo, confondere le idee ai lettori attraverso finti articoli. Noi in questa narrazione facciamo gli spettatori allibiti, abituati a vedere forme di giornalismo ‘ibrido‘ che è anche difficile catalogare. Questi temi sono ripresi spesso dalla newsletter settimanale sul mondo dell’editoria Charlie de Il Post, che sovente colloca in cima alla classifica dei finti articoli anche le grandi testate. Il trend dei finti articoli che in gergo giornalistico sono definiti ‘marchette’, ha registrato una crescita negli anni ed è ormai consuetudine da quando è iniziata la crisi del settore dell’editoria con il calo costante delle vendite di quotidiani e riviste, che ancora continua. Da qui la necessità di fare quadrare i conti per non chiudere i battenti. A questo punto è importante procurarsi la pubblicità ad ogni costo con pubbliredazionali che ‘ingentiliscono’ l’inserzionista e aiutano a firmare poi il contratto.
Nel 2010, quando Il Fatto Alimentare ha preso il via, abbiamo deciso di non accettare pubblicità di settori come acqua minerale da tavola, junk food, diete e di non fare pubbliredazionali, finti articoli o marchette di vario tipo e genere. Ci siamo riusciti e continuiamo a lavorare in questo modo dando l’accesso gratuito a tutti i lettori. Certo, è difficile dire no alle proposte indecenti soprattutto quando i conti non tornano, ma il segreto è di non cominciare e di tenere la schiena dritta, esercizio ginnico ormai in disuso, che ha ceduto il passo alla ginnastica dolce.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
E’ per questo che noi vi leggiamo, bravi!
Grazie mille
Bravi, vi seguo e vi ammiro da tempo. Tutti gli articoli sono interessanti e utili. Complimenti e avanti così!
Bravissimi!
grazie per quello che ci offrite quotidianamente e per il lavoro serio e professionale, una vera lezione non solo al giornalismo ma soprattutto a tutte le persone che svolgono questo lavoro impegnativo e, speriamo proprio, socialmente utile. Un abbraccio a tutta la redazione.
Complimenti.
Non so se è pertinente… Il premio internazionale di Venezia alias Leone d’oro ad aziende che hanno contribuito alla crescita o si sono distinte nell’economia… Potete illustrarne il funzionamento e le modalità di selezione?