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Il pesce rappresenta una fonte alimentare insostituibile per milioni di persone, che basano su di esso la propria alimentazione e la propria sussistenza. E anche nei paesi nei quali è solo una delle possibilità, è importante per i nutrienti che apporta. Ma la pesca indiscriminata, l’inquinamento dalle acque e l’aumento della temperatura del mare sta minacciando molto seriamente la biomassa ittica, mettendo a rischio la capacità del mare, dei laghi e dei fiumi di assicurare gli stessi quantitativi di pescato. Lo dimostrano, tra gli altri, due indicatori indiretti: la diminuzione complessiva del plancton, fatto che si ripercuote su tutta la catena alimentare, e la crescente contaminazione di alcune specie di acqua dolce da parte di parassiti sempre più diffusi, fatto che esprime forti squilibri dell’ecosistema.

Le soluzioni, però, non mancherebbero, a volerle mettere in atto. E tutte prevedono un gesto attivo, ossia il cambio di abitudini alimentari, con il passaggio da pochissime specie sottoposte a pressioni di pesca drammatiche e dall’allevamento intensivo a un numero molto maggiore di specie, con un’ampia rappresentanza di pesci di piccola taglia.

In questo modo si potrebbe assicurare lo stesso apporto di nutrienti rispetto a quello delle poche specie pescate oggi, talvolta un apporto superiore, preservando gli ecosistemi, riducendo la necessità di acquacolture e rafforzando anche le attività di pesca.

Questo il quadro che emerge da tre studi assai diversi pubblicati negli stessi giorni, che affrontano ciascuno un aspetto e che, nel loro insieme, indicano sia alcune delle manifestazioni della crisi delle acque, sia una possibile soluzione.

Uno squalo nuota tra i pesci nei pressi di una barriera corallina tropicale
La diminuzione complessiva del plancton si ripercuote su tutta la catena alimentare

Caccia al plancton

Il primo, pubblicato su PLoS One da ricercatori di alcune università canadesi coordinati da quelli dell’ateneo di Halifax, è un’analisi dell’andamento del plancton nell’Atlantico del Nord negli ultimi sessant’anni.

Il plancton, costituito da numerose specie di dinoflagellati e diatomee, è monitorato dal Continuous Plankton Recorder (CPR), una rete internazionale che opera dal 1931 senza fini di lucro, e che da allora registra le variazioni di alcune specie di superficie particolarmente significative per lo stato di salute del mare.

I ricercatori canadesi hanno analizzato i dati del CPR delle ultime sei decadi (1960-2017), e hanno così dimostrato due fatti. Innanzitutto, la quantità complessiva del plancton dell’Atlantico del Nord (con l’esclusione di alcune aree occidentali e settentrionali) è diminuita di circa il 2% all’anno. Inoltre si è determinato un cambiamento nella presenza relativa delle due grandi famiglie, con un incremento delle diatomee rispetto ai dinoflagellati anch’essi dell’1-2% all’anno. Anche se quest’ultimo dato non è stato ancora compreso, perché ne contraddice altri precedenti che associavano l’aumento della temperatura del mare a quello dei dinoflagellati, e non delle diatomee, quanto scoperto indica comunque che è in atto un mutamento correlato con quello della temperatura, e che gli equilibri reciproci, alterati, sono ancora da studiare e capire.

Parassiti nelle acque dolci californiane

Il secondo studio, pubblicato sul Journal of Infectious Diseases dai ricercatori dell’Istituto di oceanografia di San Diego, descrive una realtà che riguarda la California, ma che probabilmente potrebbe essere la stessa in altre zone del mondo: la presenza sempre più frequente di parassiti nei pesci di acqua dolce.

In esso sono stati infatti analizzati 84 pesci di sette specie tra le quali alcuni tipi di pesce persico, pescate in cinque località californiane rinomate per la pesca d’acqua dolce, e il risultato è stato che il 93% di essi conteneva un parassita chiamato Haplorchis pumilio, un vermetto piatto in alcuni individui presente in migliaia di esemplari. Un riscontro analogo si è avuto per il secondo parassita cercato, il trematode Centrocestus formosanus, trovato nel 91% dei campioni. I due sono trematodi storicamente endemici in vari paesi asiatici, con un ciclo vitale complesso, ma ora, evidentemente, si sono adeguati e hanno conquistato anche le acque dolci californiane.

I rischi sanitari

Di solito non pongono rischi gravi per la salute (anche se in rari casi possono dare infezioni serie), e per eliminarli basta che il pesce venga cotto del tutto, oppure surgelato. Tuttavia, la loro presenza così pervasiva è indice di equilibri alterati, invasione di specie aliene ed effetti del riscaldamento delle acque.

In più, le persone non sono consapevoli della loro presenza, come si evince da un altro controllo effettuato: quello sui video di Youtube che parlavano di pesce, suggerendo ricette di pesce cotto o crudo. Analizzandone 125 che avevano raggiunto un totale di oltre cinque milioni di visualizzazioni, gli autori hanno dimostrato che il 65% di essi non conteneva alcun messaggio relativo alla cottura o al surgelamento come metodi per evitare di correre rischi inutili, e ciò dimostra quanto sia poco diffusa la conoscenza della situazione. Secondo loro, sarebbe utile che anche i medici fossero informati della presenza dei parassiti, e che consigliassero le giuste ricerche in caso di sintomi sospetti.

Gli stadi infettivi (metacercarie) di due trematodi zoonotici introdotti sono presenti in specie ittiche d'acqua dolce comunemente catturate e consumate nella California meridionale. Emma M Palmer, Daniel C G Metz, Ryan F Hechinger, Further Evidence for Plausible Transmission of Fishborne Trematodiases in the United States: Game Fish Carry Human-Infectious Trematodes and Are Eaten Raw, The Journal of Infectious Diseases, 2025;, jiaf180, https://doi.org/10.1093/infdis/jiaf180
Gli stadi infettivi due specie introdotte, i trematodi zoonotici sono presenti in specie di pesci d’acqua dolce comunemente catturati e consumati nella California meridionale.

La soluzione è anche nella geografia

Infine il terzo studio, pubblicato su Nature Sustainability dai ricercatori del College of Veterinary Medicine della Cornell University di New York, propone un metodo per cercare di riequilibrare la situazione dei mari a livello globale. Per metterlo a punto, i ricercatori hanno prima identificato le specie più consumate, e indicato i valori nutrizionali per ciascuna di esse. Quindi hanno inserito ciascuna specie presente nelle diverse aree del mondo (in totale, quelle di pesci sono circa 30.000).

A quel punto hanno costruito un modello matematico capace di valutare quali specie possono dare un certo apporto nutrizionale con il minimo impatto sulla biomassa marina. E hanno fatto i confronti. Il risultato è stato che, variando molto di più il numero di specie consumate, e dando molto più spazio ai pesci piccoli, che impiegano meno tempo a riprodursi e resistono meglio alle variazioni di temperatura, la qualità nutrizionale aumenta, e non diminuisce affatto.

Un numero, su tutti, spiega i benefici di un approccio di questo tipo: un opportuno assortimento di specie oggi poco considerate assicura il 60% di nutrienti in più rispetto alla stessa biomassa delle specie oggi considerate più pregiate. Infine, una pesca che faccia affidamento su più specie è molto più resiliente rispetto alle continue pressioni ambientali geopolitiche attuali, oltreché alle conseguenze dell’overfishing. Cambiare l’approccio stesso alla pesca e al pesce consumato è possibile, ma dipende anche, e in modo determinante, dalle nostre scelte.

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luigiR
luigiR
12 Giugno 2025 14:10

non posso che essere d’accordo, variare il più possibile, per chi consuma pesce, non può che fare bene agli umani e agli ecosistemi marini, incidendo anche sulla possibile minore necessità di allevamenti problematici.

Azul98
3 Luglio 2025 14:57

C’è uno straordinario trattato scientifico e climatico su Nature Briefing:A Glimmer of Hope,che tratta della pesca fuorilegge e l’overfishing, la perdita della biodiversità causata da uno sfruttamento ultra eccessivo degli oceani, e degli immensi interessi speculativi che stanno portando all’estinzione molte aeree oceaniche, poi c’è il grande problema del riscaldamento oceanico che ormai non assorbe l’enorme carico Inquinante che immettiamo ogni secondo nell’atmosfera che poi ricade su di noi, nei fiumi già al collasso per le tonnellate di materiale rilasciato negli oceani,non c’è posto al mondo che non sia sfruttabile,con tutte le conseguenze che ne comporteranno,filmati come quello di Sir Attenborough,riguardo le reti a strascico o bottom- trawling ,che stanno desertificando ogni angolo del nostri mari, pescando anche ciò che non serve sul mercato, ecco il nesso:Il mercato, il business dell’overfishing che insieme alle Miniere dei fondali per la folle corsa ai metalli rari sarà un catastrofe che pochi stati hanno abolito ma molti sono disposti a tutto più di avere il monopolio dei metalli rari raccolti nelle profondità oceaniche da macchinari che saranno una devastazione che non si sa nemmeno valutare le conseguenze,fatta dalla Metals.co e la Deep Sea mining sua industria mineraria nel profondo degli oceani, scavando tutto ciò che trovano, per non parlare del seismic testing.

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