Vorrei un vostro parere sulle etichette di due zuppe vegan bio senza glutine della Germinal. La prima è presentata come “Vellutata Zucca Carote con Semi di Amaranto”, la seconda “Vellutata Spinaci Ceci con Semi di Canapa”, però mi sembra che di questi semi ce ne siano pochissimi. Le due zuppe non costano neppure poco, quattro euro circa. Le sembra giusto? Elisa

Risponde l’avvocato Dario Dongo, esperto di diritto alimentare.

La Sua osservazione è del tutto condivisibile, poiché in effetti entrambe le confezioni di “preparati di gastronomia” vengono presentate con il vanto, in caratteri cubitali sul fronte dell’etichetta, dell’ingrediente caratteristico “semi di amaranto”, la prima, e “semi di canapa”, la seconda. A dispetto dell’evidenza offerta, gli ingredienti in questione rappresentano rispettivamente solo l’1,5 e l’1% della ricetta dei due prodotti. L’azienda si è limitata a rispettare la norma specifica sull’indicazione quantitativa degli ingredienti (reg. UE 1169/11, articolo 22), trascurando i criteri generali cui l’informazione al consumatore deve venire improntata. Ai sensi dell’articolo 7 (Pratiche leali d’informazione), infatti, “le informazioni sugli alimenti non inducono in errore, in particolare (…) per quanto riguarda le caratteristiche dell’alimento” e la sua “identità”.

ingrediente
Quando l’ingrediente tanto sbandierato in etichetta è presente in minima quantità è corretto?

In entrambi i casi il consumatore è indotto a credere che i prodotti siano contraddistinti dalla presenza degli ingredienti che sono evidenziati – nella presentazione visiva complessiva sul fronte dell’etichetta, mediante caratteri di misura assai superiore e con un colore distintivo – rispetto alle loro basi (“vellutata”). Ma in realtà la loro presenza è del tutto minimale, irrilevante anche dal punto di vista del valore (effettivo e percepito). Si potrebbe quindi ipotizzare, ad avviso dello scrivente, un caso di pratica commerciale sleale, a tutt’oggi peraltro non passibile di sanzione specifica (ma semmai solo ad opera dell’Antitrust, in applicazione del cosiddetto Codice del Consumo).

I governi che in Italia si sono succeduti dal 2011 a oggi, infatti, non hanno ancora provveduto a istituire un regime sanzionatorio per le violazioni delle norme di cui al regolamento “Food Information to Consumer”. Un’ultima considerazione riguarda l’indicazione degli ingredienti allergenici (vedi approfondimento), per cui rileviamo delle non-conformità: per il riferimento a “tracce” la cui nozione sfugge alla normativa vigente, e il richiamo alla categoria “frutta a guscio”, a sua volta non ammessa per designare le relative specie.

Per l’analisi dettagliata delle regole da applicarsi al caso in esame, si veda l’articolo su foodagriculturerequirements.com

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Lorenzo Bigagli
Lorenzo Bigagli
24 Febbraio 2017 17:37

Buonasera,

volevo sollevare un dubbio su un passaggio presente nel suddetto articolo, laddove si dice:
” per il riferimento a “tracce” la cui nozione sfugge alla normativa vigente, e il richiamo alla categoria “frutta a guscio”, a sua volta non ammessa per designare le relative specie ”
Nell’esigere tale precisione sulla menzione degli allergeni, il 1169/11 dovrebbe riferirsi solo agli ingredienti effettivamente presenti nella ricetta e non alle avvertenze sulle potenziali contaminazioni crociate (che non risultano prese in considerazione nel Regolamento).
La mia opinione è quindi che una frase del tipo “può contenere frutta a guscio” possa essere lecita a rigor di legge, tenendo conto anche del fatto che, per aziende che lavorano diversi tipi di frutta a guscio, menzionare tutte le specie vorrebbe dire inserire un’elenco che non finisce più …
Chiedo cortesemente la sua opinione a riguardo e porgo i più cordiali saluti

Roberto Pinton
Roberto Pinton
27 Febbraio 2017 09:24

A mio avviso non si configuria per niente una pratica sleale.

La norma (il citato art.22 del reg.1169/2011) prevede l’obbigo del QUID quando l’ingrediente figuri nella denominazione dell’alimento o sia evidenziato nell’etichettatura con parole, immagini o una rappresentazione grafica oppure quando esso sia generalmente associato a una denominazione dal consumatore (è il leggendario caso dell’uovo nei savoiardi di cui alla circolare 165/2000 del ministero del’Industria), e si guarda bene dal prevedere che l’ingrediente su cui si richiama l’attenzione debba essere prevalente o presente in una determinata percentuale minima.

L’operatore può ben commercializzare una “salsa di pomodoro con CAROTE” in cui le carote siano il 5% (magari in percentuale minore di cipolla e sedano) o una “salsa di pomodoro al BASILICO” in cui il basilico sia lo 0,3%, basta che informi corretamente del quid del 5% o dello 0,3%.

Una distinzione tra “con” (a memoria, l’ingrediente doveva essere almeno il 2,4%), “al” (1,2%) e “al gusto di” era in vigore una quarantina d’anni fa, ma è stata superata dalla direttiva 112/1979 (dicesi 1979) il cui articolo 7 comma 1 prevede che “Se l ‘ etichettatura di un prodotto alimentare pone in rilievo la presenza o il limitato tenore di uno o più ingredienti essenziali per le caratteristiche di tale prodotto , o se la denominazione di quest’ultimo comporta lo stesso effetto , dev’essere indicata , a seconda dei casi , la quantità minima o massima di utilizzazione di tali ingredienti , espressa in percentuale”. Come si vede, a far da discrimine non è un determinata percentuale dell’ingrediente, ma il fatto che su di esso si richiami in qualsiasi modo l’attenzione del consumatore.
In rari casi la norma prevede una percentuale minima di un determinato ingrediente, ma non è assolutamente questo il caso.

Alessandro
Alessandro
27 Febbraio 2017 10:24

Per quanto il mio commento sia meno autorevole di quello del dott. Pinton, nemmeno io condivido il parere dell’avvocato.
Sarebbe come contestare il risotto allo zafferano perchè la percentuale di zafferano è minima…
Un ingrediente può essere caratteristico a prescindere dalla quantità, a maggior ragione del caso di semi, spezie o altri ingredienti il cui dosaggio è necessariamente basso

Dario Dongo
Dario Dongo
27 Febbraio 2017 11:57

Caro Roberto, caro Alessandro,

Le regole sono senza dubbio poco chiare, e non sarebbe stato facile precisarle in termini generali poiché devono raffrontarsi con la varietà di centinaia di migliaia di SKU nel mercato interno.

Dal mio umile punto di vista – come accennato anche in precedenti articoli (uno riguardava taralli ‘con olio EVOO’ la cui quantità era inferiore a quella del palma impiegato) – applicare correttamente il QUID non esime dal divieto di prendere i consumatori per i fondelli. Come avviene, indubitabilmente purtroppo, in entrambi i casi trattati in questo articolo.

É del resto evidente la differenza tra il vanto di un ingrediente di straordinario valore (es. zafferano, tartufo bianco) rispetto al richiamo alla presenza di semi che motivano un costo superiore rispetto a una semplice zuppa d’ortaggi, e tuttavia sono contenuti in diluizione omeopatica.

Un caro saluto e buona giornata

Dario

Alessandro
Alessandro
Reply to  Dario Dongo
27 Febbraio 2017 16:45

Non ho provato i prodotti in questione, nè singolarmente i semi utilizzati, pertanto non sono in grado di dire se la diluizione “omeopatica” sia sufficiente o meno per farne percepire l’aroma, il sapore o per conferire proprietà particolari ai prodotti in questione. Dubito tuttavia che il costo elevato sia legato alla presenza o meno di questi semi e non piuttosto al fatto che i prodotti facciano parte di una linea “vegan” sulla quale magari si specula sul prezzo. Se io acquisto un prodotto con un ingrediente caratterizzante non mi aspetto di trovarne “tanto” solo per il fatto che sia caratterizzante, mi aspetto di trovarne la quantità corretta secondo le caratteristiche dell’ingrediente stesso in un bilanciamento organolettico all’interno della ricetta nella sua globalità. Condivido al 100%, a tal proposito, l’esempio della salsa al pomodoro con basilico del dott. Pinton che probabilmente rende il concetto che volevo esprimere molto meglio di quanto io sia riuscito a a fare con l’esempio dello zafferano.

Roberto Pinton
Roberto Pinton
27 Febbraio 2017 16:11

Poi non intervengo più.
Le regole possono non piacere, ma non direi che sono poco chiare.

Per la circolare 31 marzo 2000, n.165 (Linee guida relative al principio della dichiarazione della quantità degli ingredienti (art. 8 del decreto legislativo n. 109/1992) nonché ulteriori informazioni per la corretta applicazione delle disposizioni riguardanti l’etichettatura dei prodotti alimentari) dell’allora ministero del’industria, del commercio e dell’artigianato

(…)
3. L’indicazione del QUID è obbligatoria nei seguenti casi:
a) qualora l’ingrediente di cui si tratta figuri nella denominazione di vendita (…);
b) qualora la categoria di ingredienti di cui si tratta figuri nella denominazione di vendita (…).
(…)
c) qualora l’ingrediente sia generalmente associato dal consumatore alla denominazione di vendita.
(…)
d) qualora l’ingrediente o la categoria di ingredienti sia messo in rilievo con parole, immagini o con una rappresentazione grafica.

Tale esigenza si applicherà:
1) quando un ingrediente è messo in rilievo nell’etichettatura di un prodotto alimentare, in luogo diverso da quello ove figura la denominazione di vendita, con indicazioni del tipo:
al burro; con panna; alle fragole; con prosciutto, ovvero con caratteri di dimensione, colore e/o stile diverso per richiamare su di esso l’attenzione dell’acquirente, anche se non figura nella denominazione di vendita.
Ne sono esempi: un prodotto dolciario da forno, con un’immagine o un’illustrazione ben visibile, che pone in evidenza la presenza di pezzettini di cioccolato;
2) quando una rappresentazione grafica è utilizzata per enfatizzare selettivamente uno o più ingredienti.
(…)

La norma non stabilisce una quantità MINIMA dell’ingrediente da evidenziare, indica soltanto l’obbligo in capo all’operatore di indicare la quantità dell’ingrediente (o degli ingredienti) che sceglie di mettere in rilievo.

Uno stesso biscotto realizzato con burro, panna e uova fresche, può essere legittimamente etichettato semplicemente come “biscotto” (senza indicare alcun quid, dato che non si evidenzia alcunchè), come “biscotto frollino al burro” (indicando il quid del burro), come “biscotto frollino con panna” (indicando il quid della panna), come “biscotto frollino con uova fresche” (quid delle uova) oppure con più di un richiamo (“biscotto frollino con burro e panna”, e via con le doibverse combinazioni) e ciò indipendentemente dalla quantità dell’ingrediente -o degli ingredienti- in evidenza.

Per i prodotti di fantasia, è l’operatore che decide se c’è e qual è l’ingrediente caratterizzante, del quale dovrà fornire il quid (e fa niente che scelga di richiamare l’attenzione sul terzo o quarto in ordine di peso).
Se vogliamo rimanere in ambito tecnico, una volta che il quid sia correttamente esposto, di nessun inganno al consumatore si può parlare.

Dopo di che, convengo con Dario, anch’io scuoto la testa vedendo dei “taralli con olio extra vergine d’oliva” che indicano come ingredienti ”olio d’oliva, olio extra vergine d’oliva 4%…”, ma non c’è nessuna violazione di norma (mica è indicato “solo con olio extra vergine d’oliva).

Lasciando i taralli e tornando alle due vellutate, che richiamano l’attenzione, oltre che su zucca/carote e spinaci/ceci, anche su due ingredienti meno consueti, confermo la valutazione di conformità delle indicazioni.

La questione, alla fine, è un’altra.
La signora Elisa ha trovato gradevole il prodotto?
Se le è piaciuto così com’è, significa che l’1,5 e l’1% sono la quantità giusta da utilizzare, che la ricetta è azzeccata e l’operatore deve tenersela stretta…

Dario
Dario
Reply to  Roberto Pinton
27 Febbraio 2017 21:03

Tanto chiara é la regola di dettaglio sul QUID quanto lo é il principio generale, il consumatore non dev’essere preso per i fondelli. Concetto espresso in termini generali poiché appunto non declinabili all’infinita varietà di situazioni possibili, nel reg. UE 1169/11 (che ha ripreso, pedissequa, la norma risalente al 1979), come pure nella direttiva sulle pratiche commerciali sleali 2005/29/CE.

Qui non si tratta di aromi né di altre frivolezze, l’esempio del basilico nel pomodoro è fuori luogo poiché ci si trova di fronte a un ingrediente assimilabile a un cereale, che viene esposto sul fronte etichetta di una zuppa in caratteri cubitali, come se fosse quello primario.

Di che si tratta allora, se non di una mistificazione della natura e identità del prodotto?

Alessandro
Alessandro
28 Febbraio 2017 10:11

Continuo a non vedere la differenza tra il basilico e i semi di canapa (o amaranto) presi come ingredienti di un ingrediente composto. Come si può facilmente vedere (ad esempio sul sito di Esselunga) i sughi al basilico sono presentati con la parola basilico in caratteri cubitali ma il basilico è presente tra l’1% e il 2%…
E’ soggettivo sostenere che i semi di canapa siano assimilabili ai cereali (sulla base di…? aspetti nutrizionali simili? forse l’amaranto, ma la canapa…), ma anche qualora fosse così, chi può sostenere che, organoletticamente parlando, per le erbe aromatiche una percentuale di 1-2% sia sufficiente mentre per i semi di canapa no? E quale dovrebbe essere allora la percentuale minima tale da non ingannare il consumatore? E se anche fosse stabilita questa percentuale minima, sarebbe compatibile, sempre dal punto di vista organolettico, nel prodotto finito che si vuole ottenere?
Per carità, non sono avvocato e non vorrei passare per una persona affetta da Dunning-Kruger, ma sono consumatore e il Reg UE 1169/2011 l’ho letto e studiato bene perchè l’argomento mi interessa…
Non credo sia questo un caso di inaganno verso il consumatore. Ciò non toglie che un singolo consumatore possa comunque sentirsi ingannato, ma ciò non è sufficiente a dire che si tratti oggettivamente di inganno…

Monica
28 Febbraio 2017 10:18

A me pare che la polemica sia un po’ esagerata.
Personalmente voglio evitare il grasso di palma e per i prodotti che non conosco controllo sempre l’elenco degli ingredienti per esser sicura che non ci sia.
L’elenco degli ingredienti è lì per essere letto, altrimenti non servirebbe metterlo.
E poi se è una vellutata, è sottinteso che i semi devono essere pochi, se no qualcuno si lamenterebbe che non c’è la vellutatezza (se si può dire) e che è una minestra di cereali…

Tarcisio Brunelli
Tarcisio Brunelli
2 Marzo 2017 18:34

… il consumatore non dev’essere preso per i fondelli,
ma il consumatore deve sapere le regole del gioco.
L’essere preso per i fondelli è (spesso) indirettamente proporzionale alla conoscenza delle regole.
L’elenco ingredienti è lì per essere letto e conosciuto.

fra
fra
4 Marzo 2017 18:30

dalle risposte è evidente che, purtroppo, certi consumatori ,nonostante le chiare spiegazioni date dall’avvocato, a difesa dei suddetti ,preferiscano in ogni caso,difendere a spada tratta le ragioni dell’industria alimentare, e quindi,continuare a esser presi per i fondelli…..

ezio
ezio
5 Marzo 2017 11:55

Condivido l”opinione e l’interpretazione legislativa dell’avv. Dongo sulla dubbia indicazione di questi due ingredienti, che come evidenziati sulla confezione dovrebbero essere caratterizzanti.
Non essendo ne condimenti, ne spezie ma integratori qualitativi, la quantità è determinante per giustificarne l’aggiunta, altrimenti è veramente solo omeopatica ed insignificante in questo contesto.
I semi di canapa sono pregiati per l’apporto di acidi grassi polinsaturi e l’amaranto per essere un quasi cereale ricco di proteine e sali minerali, ma se ne metto solo delle tracce cosa potranno mai integrare?

Roberto Contestabile
5 Marzo 2017 15:03

Scrivere a caratteri cubitali “AI SEMI DI CANAPA” o “AMARANTO” oggi fa tanto glamour, e quindi marketing, e quindi vendite…anche se la confezione costa ben 4 euro! L’attuale mercato “vegano” è di nicchia e quindi ha volumi commerciali in crescita e probabilmente vantaggiosi, visto che i margini di guadagno sono così elevati.

Fine della polemica, e bando ai regolamenti che sono tanto retrogradi quanto discutibili.

Riccardo
Riccardo
6 Marzo 2017 18:25

I Prodotti della Perugina Incanto, vasetti di dolci creme, contengono la gelatina di suino.
Sarebbe meglio indicassero in maniera più evidente sulla confezione oltre che alla mancanza di glutine anche la presenza di questo grasso di maiale. Per rispetto ai musulmani, ai vegetariani e per la nostra salute..