Ha fatto notizia la recente decisione del Comitato tecnico scientifico (Cts) di ridurre la quarantena da 14 a 10 giorni. Come si spiega questa scelta, se diverse persone sono rimaste positive al tampone per settimane dopo la diagnosi di infezione da Sars-CoV-2? Per districarsi tra i concetti di incubazione e infettività, tra pre-sintomatici, sintomatici e asintomatici, tra test molecolari, antigenici e anticorpali, il New York Times ha realizzato una guida per capire le infezioni da coronavirus.
Dopo il contagio, il tempo che intercorre tra l’esposizione iniziale al virus e l’insorgenza dei sintomi (se si presentano) viene definito incubazione. Nel caso del Sars-CoV-2, questo intervallo di tempo nella maggior parte dei casi dura tra i quattro e i cinque giorni, ma talvolta può arrivare anche a 14 giorni o più. I sintomi più comuni includono febbre, tosse, difficoltà respiratorie e, in molti casi, perdita di gusto e olfatto.
La maggioranza dei casi di Covid-19 si risolve in circa due settimane, con la scomparsa dei sintomi e la guarigione senza bisogno di particolari farmaci o un ricovero in ospedale. Ma in alcuni casi, come sappiamo, si presenta in maniera molto più severa, con polmoniti e insufficienze respiratorie gravi. Queste persone, generalmente nel giro di due settimane dall’insorgenza dei sintomi, hanno necessità di ospedalizzazione, terapie e supporto respiratorio, e un decorso molto più lungo, spesso con conseguenze durature sulla salute, come stanchezza cronica, compromissione della memoria e problemi cardiaci.
La carica virale è la quantità di particelle virali presenti nel corpo di una persona. Dal momento in cui il coronavirus entra nell’organismo inizia a invadere le cellule per creare copie di se stesso e man mano che si replica, la carica virale, aumenta fino a raggiungere un picco appena prima dell’insorgenza dei sintomi (se compaiono), per calare poi piuttosto rapidamente. Quindi, siccome si ritiene che le persone siano più contagiose quanto più è elevata la carica virale, è molto probabile che l’intervallo di maggiore infettività inizi un paio giorno prima dell’insorgenza dei sintomi – quando si è pre-sintomatici – e duri circa una settimana. La finestra di contagiosità potrebbe essere simile anche per gli asintomatici, ma data l’assenza di sintomi è più difficile individuare con precisione quando inizia e quando finisce.
A 10 mesi dalla scoperta del coronavirus Sars-CoV-2 sono ormai disponibili diversi tipi di analisi per identificare l’infezione. Ci sono i test rapidi, che danno un risultato in tempi brevi senza bisogno di un laboratorio attrezzato e macchinari costosi. Però sono meno accurati e fanno fatica a rilevare basse cariche virali e a identificare infezioni molto recenti.
Sono più affidabili i test molecolari, i famosi tamponi, che si basano sulla tecnica della Pcr (reazione a catena della polimerasi) per identificare la presenza di materiale genetico del virus. Danno risultati migliori nella diagnosi in caso di infezione recente o cariche virali molto basse. Questo è il motivo per cui ci sono casi di tamponi positivi a settimane dalla diagnosi iniziale: la Pcr è una tecnica molto sensibile e riesce a rilevare anche frammenti di Rna virale rimasti nell’organismo dopo che il virus vitale ormai è scomparso e la persona non è più infettiva.
I test sierologici, invece, rilevano la presenza degli anticorpi che vengono prodotti dal sistema immunitario come risposta all’infezione. Questi test non sono considerati adatti a determinare se in una persona è presente il virus al momento del prelievo: dato che gli anticorpi iniziano a essere prodotti dopo circa una settimana dell’infezione, il test potrebbe dare un risultato negativo nonostante la persona abbia contratto il virus e sia contagiosa, solo perché non ha ancora sviluppato anticorpi.
A questo punto diventano più chiare le nuove indicazioni del Cts. Per esempio, le norme per la quarantena dei contatti stretti di un positivo prevedono l’isolamento fiduciario per 10 giorni seguito da un test rapido o molecolare perché così la persona eventualmente contagiata dovrebbe aver già superato la fase di incubazione e raggiunto una carica virale sufficiente da ridurre al minimo il rischio di un falso negativo. Per quanto riguarda la questione degli asintomatici ancora positivi dopo due tamponi di controllo, è stata disposta la fine dell’isolamento dopo 21 giorni perché non è stata documentata la presenza di virus vitale capace di replicarsi e infettare altre persone a tre settimane dalla diagnosi. Abbiamo visto infatti che la finestra di infettività inizia dopo pochi giorni dal contagio e dura circa una settimana, ormai trascorsa a 21 giorni dal primo tampone positivo, e sappiamo anche che il test molecolare rileva anche frammenti di materiale genetico quando il virus non è più presente.
Non dimentichiamo la prevenzione. Per evitare il contagio è necessario adottare una combinazione di misure precauzionali che insieme riducono il rischio di trasmissione del coronavirus: indossare la mascherina, mantenere il distanziamento fisico, lavare le mani ed evitare luoghi affollati. Le mascherine in particolare riducono la diffusione delle goccioline respiratorie emesse da una persona infetta, magari asintomatica. Ma, è bene ricordarlo ancora, devono essere utilizzate insieme alle altre contromisure per risultare ancora più efficaci.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.