Sono passati dieci anni da quando, per la prima volta, i ricercatori del Cnr di Bari Donato Boscia e Maria Saponari confermano che ad uccidere gli ulivi della zona di Gallipoli non è la siccità, l’inaridimento del terreno o una delle malattie endemiche delle piante secolari, ma è un batterio vegetale. Si tratta della temibilissima Xylella, fino a quel momento mai segnalata in Europa e conosciuta per i danni irreparabili arrecati alle viti della California e agli agrumi in Egitto. La specie era allora sconosciuta, poi si scoprirà essere la X. fastidiosa. Oggi, un decennio dopo, l’effetto è spaventoso: 21 milioni di ulivi morti in tutto il Salento, che non sarà mai più lo stesso, e in altre zone della Puglia. La situazione creatasi allora ricorda molto quella che si è vista con il Covid e che, in generale, si ripropone spesso di fronte a minacce sconosciute verso qualcosa di culturalmente consolidato.
A ripercorrere tutta la vicenda è lo scrittore Daniele Rielli, salentino da parte di padre, che proprio negli ulivi di famiglia ha visto la malattia avanzare inesorabile e soprattutto incontrastata, e che ha dedicato gli ultimi due-tre anni a cercare di capire come sia stato possibile arrivare al disastro raccontando i fatti con l’occhio di chi conosce profondamente quella terra e anche i responsabili del disastro.
E così nel bellissimo libro, appena uscito per Rizzoli e intitolato significativamente Il fuoco invisibile – Storia umana di un disastro naturale, si ritrova tutto il complottismo che ben conosciamo, per averlo visto in azione con il Covid. Secondo parte dell’opinione pubblica diventata via via più numerosa, la colpa non è di un batterio, ma delle multinazionali (tra cui la solita Monsanto), che hanno infettato i terreni per piantare piante transgeniche (che non esistono) o per vendere fitofarmaci (che anch’essi, purtroppo, non esistono), oppure dell’Europa, che vuole assegnare ad altri quote e contributi (secondo una variante: della regione Toscana). Secondo altre teorie la colpa è di batteri misti che in realtà ci sono sempre stati e che possono essere debellati con gli intrugli dei nonni contadini, che vivevano una vita campestre idilliaca, dando solo qualche aiuto alla natura onnipotente. Per altri ancora, ancora, il colpevole è Massimo d’Alema, che vuoleva realizzare una specie di Disneyland. E così via.
In generale, a contribuire alla diffusione delle teorie del complotto, c’è l’atteggiamento antiscientifico che, in questo caso, non solo ha portato a non fare nulla per anni, lasciando che Xylella dilagasse, ma è giunto a sottoporre a indagine penale i ricercatori che avevano avuto un’unica colpa: dire la verità. Queste persone infatti sono state accusate, insieme ai colleghi di altri centri di ricerca pugliesi, di aver infettato le piante. Ci sono i social media e i media tradizionali, che nella provincia leccese hanno ancora molto peso. Ci sono i politici come Michele Emiliano che, anche a causa delle incombenti elezioni regionali, non sostengono apertamente il taglio delle piante, unico rimedio possibile, anzi. Ci sono i magistrati che, anziché attenersi ai fatti, riportano opinioni popolari infondate e basano le proprie decisioni su di esse. E ci sono i coltivatori della zona, che portano avanti battaglie che condurranno alla rovina loro e anche i chi, invece, credeva agli studi scientifici.
Ma la Xylella ha avuto campo libero anche per altri motivi. Il batterio, che probabilmente è arrivato da piante ornamentali importate dal Costa Rica, forse di caffè, ha infatti bisogno di un insetto vettore, la cicalina sputacchina, di cui gli oliveti del Salento, in stato di semi abbandono, erano stracolmi (altrove, la malattia si è diffusa molto più lentamente proprio perché c’erano meno insetti che, passando da un albero all’altro, diffondono il batterio).
Inoltre, tutto è stato accompagnato da una sottolineatura forzata della storia degli ulivi. Le prime messe a dimora sono del Settecento. Gli ulivi non sono piante endemiche, prima il Salento era ricoperto da boschi e gli ulivi erano presenti come in tutto il Mediterraneo, ma in misura sporadica. Fino ai primi del Novecento si produceva solo olio lampante e lo si faceva in frantoi ipogei, dove gli addetti lavoravano in condizioni di semi-schiavitù (bellissima la parte sulla storia di Gallipoli come porto dell’olio). La Puglia, in particolare con Gallipoli, è stata l’Arabia d’Europa per secoli, perché l’olio di oliva era più economico e accessibile rispetto a quello di balena che proveniva dal Nord Europa e la domanda, appunto (per alimentare le lampade, per le cardature e in seguito per usi industriali), continuava a crescere. Ma gli ulivi migliori per quell’olio, che non doveva avere particolari caratteristiche organolettiche, sono proprio quelli che si sono ammalati. Si tratta di specie meno adatte alla produzione di olio extravergine, che in Salento non è stata praticata con metodi moderni fino a pochissimo tempo fa. Tutta la mistica della tradizione dell’olio è quindi in gran parte inventata e non è detto che la catastrofe attuale non possa rappresentare un momento di amara rinascita, con la messa a dimora di ulivi più adatti al mercato di oggi che richiede olio extravergine di qualità.
Rielli ha parlato con decine di agricoltori, frantoiani, ricercatori, giornalisti per cercare di restituire una rappresentazione il più possibile fedele di quanto accaduto e, nel farlo, come mi ha spiegato lui stesso, è arrivato a comprendere (anche se mai a giustificare) le motivazioni di chi oggi porta su di sé la responsabilità di un disastro che si sarebbe potuto evitare. La questione continua a suscitare allarme in tutta Europa, perché non esistono farmaci contro la Xylella e il contagio è estremamente efficace, quando è presente un vettore. Come accaduto nella sua famiglia, il taglio di alberi che hanno fatto parte del paesaggio per generazioni è stato qualcosa di profondamente traumatico, oltretutto motivato da un nemico invisibile, così come è traumatico lo stravolgimento del paesaggio.La reazione istintiva è la negazione, e la ricerca di altri colpevoli, di altre colpe, soprattutto quando non possono intervenire la conoscenza scientifica e la razionalità perché, magari, si è ottenuto a malapena il diploma delle superiori. Ma tutto questo ha portato a uno stravolgimento anche peggiore, visibile per centinaia di chilometri, nei quali l’unico paesaggio è quello popolato da milioni di ulivi anneriti e morti, bruciati dal fuoco invisibile della Xylella.
Il fuoco invisibile – Storia umana di un disastro naturale di Daniele Rielli. Rizzoli, marzo 2023. 304 pagine. 18 €
© Riproduzione riservata Foto: AdobeStock, Rizzoli
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Giornalista scientifica
Contributo importante a cercare di capire un passaggio epocalmente disastroso per una zona d’Italia e un prodotto fondamentale, con alcune note stonate.
Con altro nome ( codiro ) il medesimo fenomeno compie ventanni almeno, non dieci, facendo riferimento a cronache locali, e molti errori sono stati fatti nel bailamme generale con interventi scientifici, polizieschi e di tribunali, malignamente qualcuno parla di “classico caso italiano”.
Di prodotti chimici ne sono stati usati a sproposito per lunghi anni, di note aziende, con risultati disastrosi e controproducenti.
A tale proposito basterebbe guardare il piano regionale di contrasto 2022 per trovarci prodotti micidiali per l’ambiente e l’essere umano
https://www.regione.puglia.it/documents/42866/2796199/DGR+n.+343+del+14.03.2022.pdf/ed4c41c4-a852-d30f-e642-73e74c60c877?t=1648818942909
Bollettino Ufficiale della Regione Puglia – n. 36 del 28-3-2022
Pagina | 30
COLTURE PRODOTTI
Olivo ===Acetamiprid, fosmet, spinetoram e deltametrina, flupyradifurone
Mi fermo al primo nome……..
——Secondo evidenze scientifiche elencate dall’agenzia per la protezione ambientale americana (US EPA), l’acetamiprid è neurotossico e, nei mammiferi, ha conseguenze biologiche negative su fegato, reni, tiroide, testicoli e sistema immunitario. Ha inoltre un’alta tossicità per gli uccelli.9 mag 2018———-
Mi dispiace poi veder utilizzato il tentativo di colpevolizzare un attore naturale-insetto, ci hanno provato con pipistrelli, pangolini, procioni e qualsiasi cosa si muova nel caso recente, una ricerca spasmodica ad incolpare la natura e il caso fortuito minimizzando nostri comportamenti come minimo negligenti.
Altre notizie per esempio in questo link
http://societageografica.net/wp/wp-content/uploads/2020/11/ebookuliviHD.pdf
Mi ripeto, per chiarezza siamo tutti colpevoli di qualcosa, ma tutta la vicenda non può essere attribuita al complottismo. No.
Come al solito si esalta la scienza e si denigra o tutte le altre proposte alternative. Mai un vero confronto ma quasi sempre tifoserie.
L’articolo, e quindi verrebbe da pensare il libro (ma non posso certamente dirlo non avendolo letto), sembra essere poco oggettivo, e quindi “scientifico” (in maniera tristemente simile alle posizioni contro cui si scaglia) nello sposare in toto la tesi sostenuta. Vi si ritrova in questo senso un chiaro “atteggiamento antiscientifico”, simile a quello che vorrebbe combattere.
Lo si nota dal principio, e neanche tanto velatamente tra le righe, quando il libro viene già indicato come “bellissimo”, giudizio assolutamente legittimo ma, mi sembra chiaro, di parte o quantomeno personale. Ancora, non conosco l’autore, e sono certo delle sue capacità e competenze, ma mi sembra un attimo esagerato asserire con certezza che l’autore conosca “i responsabili del disastro”.
A prescindere da queste prime considerazioni che già minano la fiducia e l’oggettività che il lettore potrebbe (dovrebbe?) ritrovare in un articolo di tale calibro, dispiace poi (ma ne è chiaramente conseguenza) la visione miope che viene espressa di un così complesso problema. Si sorvola ad esempio sul fatto che altri, e ugualmente validi, scienziati abbiano ipotesi, spiegazioni e risultati sperimentali, opposti rispetto a quelli degli autori qui citati (CNR di Bari). E non si tratta solo di scienziati italiani. È stato dimostrato, ad esempio, come piante inoculate con il batterio non sviluppavano i sintomi del disseccamento mentre altre non inoculate, si. E da qui l’dea che ci sia un insieme ci concause che si devono verificare perché si manifesti la problematica. Ora mi spiace, questo può piacere o non piacere, ma è un fatto. Anche questi ricercatori, al pari di quelli citati, hanno detto solo la verità. Ridurlo a mero complottismo è troppo facile.
Si sottace, si spera non in malafede ma la cosa è altrettanto grave, sul fatto che le evidenze scientifiche e sperimentali mostrano come gli alberi possano superare l’infezione e ritornare a vegetare. La negazione può essere stata la risposta di alcuni, ma una indagine approfondita porterebbe immediatamente in evidenza come non sia stata quella di tutti. Si spera a questo punto solo che l’autore non abbia avuto la sfortuna di intervistare solo “decine” di persone, ma tutte dello stesso avviso (di parte).
Infine, si prospetta, o quantomeno si cita, come unica soluzione quella di impiantare nuove varietà “più adatte al mercato di oggi”. La soluzione pecca anch’essa gravemente di una visione miope o distorta. Se, come immagino, si sta parlando delle nuove varietà idonee al sistema superintensivo, si prospetterà un nuovo disastro (in un areale già minacciato dalla siccità) come sta avvenendo in Spagna dove questo sistema sta mostrando l’altra faccia, quella meno simpatica, fatta di inquinamento, consumo di acqua, perdita di biodiversità.
Noi il libro lo abbiamo letto e sicuramente merita attenzione. Sul fronte scientifico le tesi del CNR riportate nel libro e sposate dall’autore ci sembrano valide
Tra quello che buttano gli agricoltori, quello che arriva attraverso le acque già inquinate, quello che arriva dal cielo inquinato ed i concimi di dubbia natura… Come si possa pensare di arrivare a domani non si sa… Sono totalmente sparite anche le api e tutti gli altri insetti impollinatori, non vola più nulla, manco gli uccelli, solo gli aerei…