Il caro vecchio pollo, tanto denigrato da alcuni consumatori, è però sempre in testa alle classifiche di vendita sia per il prezzo alla portata di tutti sia per la buona fama delle carni bianche, spesso consigliate in alternativa a quelle rosse.
Sugli allevamenti aviari si parla spesso e si è detto di tutto, ma il più delle volte si tratta di luoghi comuni. Molte persone, per esempio, sono convinte che i polli siano ancora allevati “in batteria”. «È una sciocchezza – chiarisce Rita Pasquarelli, direttore dell’Unione nazionale avicoltura (Una) – le batterie risalgono alle origini dell’allevamento avicolo italiano, nella seconda metà degli anni Cinquanta, ma non esistono più da quasi mezzo secolo. Consentivano di allevare molti polli in poco spazio, ma a scapito della qualità delle carni, che restavano flaccide per via del mancato sviluppo muscolare. Il mercato stesso le ha rifiutate. Oggi le batterie sopravvivono ancora negli allevamenti delle galline ovaiole, perché sono un buon metodo per garantire la pulizia dell’uovo».
Ma allora come crescono i polli oggi? Dipende dal tipo di pollo. La maggior parte di quelli che arrivano sulle nostre tavole appartengono alla categoria cosiddetta “standard”: gli animali sono allevati in grandi capannoni dove sono liberi di muoversi su un terreno ricoperto da una lettiera, formata da truciolato di legno o paglia, quotidianamente rivoltata e fatta asciugare, ma mai sostituita per tutto il ciclo di vita dell’animale (è impossibile tecnicamente, finché nel capannone sono presenti gli animali).
La quantità di polli massima per capannone è stata di recente definita dal decreto legislativo 181 del 27 settembre 2010 sul “benessere degli animali” (che ha recepito la direttiva europea 43 del 2007). A dispetto del titolo della legge, i poveri pennuti non vivono in una beauty farm: la densità consentita viene misurata a chili e non a numero perché i pulcini quando vengono messi nei capannoni pesano solo 40 grammi. La norma prevede un minimo di 33 Kg per metro quadro fino a 42 in relazione alle caratteristiche dell’allevamento. Va da sé che l’affollamento sia più marcato verso la fine del ciclo di vita.
I giorni di vita di un pollo, invece, non sono definiti dalla norma. In Italia il mercato richiede tre categorie: il pollo piccolo, quasi esclusivamente destinato alle rosticcerie, macellato dopo circa 38 giorni; il pollo di medie dimensioni, quello che con più frequenza si trova sui banchi del supermercato, che viene allevato per circa 50 giorni; infine il pollo grande (può arrivare fino ai 3,5 chili) che si trova soprattutto nelle macellerie e viene allevato per circa 60 giorni.
«La vita media del pollo italiano è di 56 giorni. Non male, considerando che in Francia è di circa 30 giorni», afferma Pasquarelli, che si dice convinta della superiorità italiana nell’industria avicola.
Il pollo standard – frutto di un incrocio tra razze che negli anni ha selezionato il miglior rapporto tra la qualità della carne, il cibo ingerito e la velocità di crescita – ingrassa al ritmo frenetico. Ogni pennuto trasforma 2 kg di mangime in un chilo di carne. Questo vuol dire che 4 euro di mangime ingerito si trasformano in un chilo di carne e i costi di allevamento risultano relativamente bassi.
La carne di questi animali a crescita veloce, molto tenera, è la più economica e per questo motivo rappresenta oltre il 90% delle vendite e viene utilizzata nei fast food. Il difetto è un po’ il sapore, poco caratterizzato e comunque lontano da quello che una volta veniva chiamato pollo ruspante.
Per avere una crescita più lenta, da molti apprezzata in termine di qualità perché la carne risulta avere un sapore diverso, bisogna indirizzarsi su altri prodotti e rassegnarsi a spendere di più. In particolare in Italia esistono quattro categorie non standard di pollo, che si differenziano in base al tipo di allevamento e sono riconoscibili tramite una dicitura in etichetta facoltativa. Si tratta di tipologie che, secondo Pasquarelli, non sono “migliori” del pollo standard («che in Italia è di ottima qualità»), ma rispondono a particolari esigenze del consumatore.
Eccole:
Estensivo al coperto
I polli crescono in capannoni come quelli standard, ma la densità massima è di 25 Kg per metro quadro e non possono essere macellati entro 56 giorni. Il prezzo è in media del 20% superiore al pollo standard.
All’aperto
La densità abitativa nel capannone non può superare i 27,5 Kg per metro quadro. Devono essere presenti anche spazi aperti, ricoperti di vegetazione, a cui gli animali abbiano accesso per almeno metà della loro vita. La macellazione, anche in questo caso, non avviene prima dei 56 giorni.
Rurale all’aperto
La situazione è come quella dei polli allevati all’aperto, solo che nei capannoni non si possono allevare più di 4800 animali, e l’accesso agli spazi aperti deve essere consentito fin da quando i polli hanno 6-8 settimane di vita. La macellazione avviene dopo almeno 81 giorni .
Rurale in libertà
L’accesso a spazi esterni di superficie illimitata deve essere costantemente garantito.
Pollo biologico
Si differenzia da quello all’aperto in libertà sostanzialmente solo per il mangime, che deve essere biologico e composto per almeno il 65% da cereali.
Quella del mangime è in effetti un’altra delle questioni chiave quando si parla di leggende metropolitane intorno alla carne avicola. Leggende che purtroppo hanno trovato conferma nello scandalo dei polli belgi alimentati con mangimi inquinati da diossina. Il mangime è composto in gran pare da granturco e grano, un po’ di sorgo, soia (è la parte proteica dell’alimentazione del pollo, n.d.r), oli vegetali, vitamine e sali minerali. Le proteine animali, invece, sono state vietate anche per i volatili dopo lo scandalo mucca pazza. «Ma il pollo è onnivoro di natura – segnala Pasquarelli -. Non so quanto questa limitazione sia positiva per il benessere dell’animale».
Sui mangimi si sente d rassicurare anche Paolo Montagna, responsabile Qualità dell’intera filiera del Gruppo Amadori, una delle tre leader del settore in Italia (insieme ad Aia e Fileni) : «Per i nostri prodotti di punta, il pollo Campese e la linea dieci più, scegliamo materie prime non contenenti né originate da Ogm. E’ sempre più difficile trovare la soia ogm free, ma abbiamo un rapporto di fiducia con un’azienda brasiliana che ha sviluppato una filiera libera. Per quanto riguarda i grassi, optiamo solo per quelli vegetali, anche se la normativa consentirebbe i grassi animali».
I controlli sulle partite di mangimi, spiega poi Montagna, sono severissimi. Così come lo sono quelli sulla salute degli animali. Tanto per sfatare un altro mito: quello degli allevamenti in cui le malattie regnano sovrane e gli antibiotici scorrono a fiumi: «Una volta si usavano gli antibiotici promotori della crescita, in grado di selezionare la flora intestinale dell’animale per favorire la crescita. La normativa europea li ha vietati 4 o 5 anni fa, Amadori fin dal 2001 li aveva esclusi sulla linea dal 2000. E’ chiaro che invece i trattamenti a scopo terapeutico si fanno, se una popolazione si ammala, ma non è una eventualità così frequente, viste le tante misure di igiene e sicurezza che vengono messe in atto. E naturalmente si possono utilizzare solo farmaci approvati dall’Unione europea, che hanno bassi residui nelle carni e un tempo di sospensione (cioè l’intervallo che passa tra la fine della cura e la macellazione) pari a zero. Senza contare i livelli di sicurezza: tutte attività sanitarie sulla popolazione avvengono sotto la supervisione prima dei veterinari aziendali, poi di quelli delle Asl, che prima del macello controllano i trattamenti subiti. Infine anche al macello c’è un veterinario che prende visione della documentazione».
Alberta Cremonesi
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