L’invasione russa dell’Ucraina e la guerra hanno sconvolto i mercati energetici e il settore agroalimentare. I due Paesi rappresentano insieme oltre il 30% del commercio mondiale di frumento e orzo, il 17% del mais e oltre il 50% dell’olio di girasole. Anche una significativa quota di soia non ogm proviene dai due paesi in guerra. Il commercio di questi prodotti è stato sostanzialmente congelato, inoltre la situazione del conflitto impedisce agli agricoltori ucraini di procedere con le semine primaverili, con evidenti conseguenze negative anche a medio e lungo termine per le imprese agricole europee.
Oltre a ciò bisogna considerare l’aspetto energetico perché la Russia produce il 23% del gas naturale mondiale e circa il 40% del gas naturale dell’Unione Europea proviene dalla Russia. Le sanzioni hanno contribuito a far aumentare i prezzi del greggio di oltre il 60% dall’inizio dell’anno, sebbene non siano l’unico motivo per cui il prezzo del petrolio è alto. L’incremento dei prezzi dell’energia è comunque il principale fattore scatenante della lievitazione dei listini. La catena di approvvigionamento, dalla produzione nell’azienda agricola al trasporto, alla trasformazione, allo stoccaggio e infine alla vendita al dettaglio, dipende fortemente dall’energia.
Per gli agricoltori italiani l’impatto maggiore deriva dall’effetto sul mercato del gas naturale, la principale materia prima per la produzione di fertilizzanti azotati. I prezzi di questi fertilizzanti, già alti a fine 2021, potrebbero aumentare ulteriormente nei prossimi mesi , arrivando ad aumenti dell’ordine del 200% su base annua. Il CREA ha pubblicato un report sulle difficoltà del sistema agroalimentare italiano. “Il dossier Guerra in Ucraina: gli effetti sui costi e sui risultati economici delle aziende agricole italiane – spiega Alessandra Pesce, direttrice della sezione del CREA politiche e bioeconomia – l’aumento dei costi di produzione per le sei voci di spesa considerate fondamentali sono elevati. L’elenco comprende: fertilizzanti, mangimi, gasolio, sementi/piantine, fitosanitari e noleggi passivi. L’impatto medio delle aziende agroalimentari è di oltre 15.700 € l’anno, ma con forti differenze tra i vari settori produttivi.
Ad essere più penalizzati, con i maggiori incrementi percentuali (tra il 65 e il 70%), sono i seminativi, la cerealicoltura e l’ortofloricoltura per l’effetto congiunto dell’aumento dei costi energetici e dei fertilizzanti, seguiti dalle aziende che operano principalmente con la produzione di latte (+57%). Più contenuti sono gli aumenti per le colture arboree agrarie e per la zootecnia estensiva. A livello medio nazionale l’aumento dei costi si attesterebbe al +54% con effetti molto rilevanti sulla sostenibilità economica delle aziende agricole, in modo particolare per quelle marginali. L’attuale crisi internazionale congiunturale può determinare in un’azienda agricola su dieci l’incapacità di far fronte alle spese necessarie a realizzare un processo produttivo, estromettendole di fatto dal circuito. Tale percentuale era prima della crisi del tutto irrilevante, pari all’1% delle aziende Rica (*).
(*) Rica: Rete d’informazione contabile agricola, gestita dal CREA politiche e bioeconomia, fonte ufficiale UE, che monitora il reddito e le attività delle imprese
© Riproduzione riservata; Foto: Fotolia, Depositphotos, Teseo
Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.
Dona ora