“Il grano importato è pericoloso”: così titolava il 23 aprile la Gazzetta del Mezzogiorno, riportando la dichiarazione del presidente di un neonato piccolo consorzio con sede ad Altamura, che paventava il rischio di contaminazioni da micotossine e metalli pesanti. 

Si tratta di affermazioni gravi in un Paese che sulle materie prime agricole non è autosufficiente per quantità, qualità, qualità e stagionalità. Va detto con molta chiarezza che la pasta e il pane made in Italy sono fatti con grano importato da altri Paesi, senza nulla togliere ai requisiti di sicurezza e qualità riconosciuti in tutto il mondo.
 
Dispiace constatare che anche questa volta la retorica degli assertori dell’autarchia alimentare è giocata sul falso proclama della pericolosità delle materie prime estere.

Nell’articolo il presidente del consorzio, riferendosi al grano importato, dice che è «un grano che sembra uguale nella forma ma che patisce di problemi tossicologici, spesso sconosciuti alle famiglie italiane». Si accenna alle micotossine, «delle quali il “Don” è il più pericoloso», e si tira in ballo «la salute dei consumatori e soprattutto dei bambini».

Il presidente dimentica che i controlli sulle micotossine sono severissimi e vengono attuati in tutta Europa non solo dalle pubbliche autorità, ma anche dalle industrie alimentari. Che, nei capitolati d’acquisto relativi alla forniture di grano, impongono tenori di “Don” e di residui abbondantemente al di sotto dei limiti prescritti dalla norma europea . Proprio perché i rischi sono conosciuti, gli operatori sono i primi interessati a prevenirli e a tenerli sotto controllo.

Parlare di “grano italiano” e “grano estero” in termini di rischio è una manifestazione di “fondamentalismo alimentare” * che non rende merito all’intelligenza e alla cultura alimentare dei nostri cittadini.  

Di tono minore, ma non meno autorevole, è la bizzarra tesi esposta da Mario Pappagallo sul  sito internet del Corriere della Sera il 23 aprile  nell’articolo “In tavola il cavallo che non è cavallo”.

 Raccontando la frode dell’ipermercato Auchan di Torino che vendeva carne di cavallo realizzata con carne di bovino, maiale e pollo, l’autore spiega che le autorità sanitarie hanno anche trovato contaminazione da Listeria monocytogenes. Nell’articolo si dice che il batterio è molto pericoloso e può essere causa di gastroenteriti, ma anche di meningite nei bambini e aborti nelle donne incinte, dimenticando di precisare che questi casi estremi interessano il più delle volte persone malate in condizioni complicate.

Il punto critico dell’articolo arriva quando si legge che la Listeria monocytogenes resiste alla cottura. Non è vero. La carne contaminata da Listeria dopo la cottura si può mangiare tranquillamente, perché i batteri muoiono, come capita a tutti i batteri patogeni sottoposti ad alte temperature.

L’unico batterio veramente pericoloso che resiste alla cottura è il botulino. In effetti questo batterio si può trasformare in una forma resistente (spora), che è in grado di sopravvive alla cottura, per poi ritrasformarsi in batterio e  produrre tossine pericolose per l’uomo quando si ripresentano  condizioni  ottimali di crescita (il botulino comunque cresce   in ambienti senza aria, in genere conserve di carne o vegetali in scatola non acide).

Dario Dongo e Roberto La Pira

foto: Photos.com

 

(*) Espressione coniata da Tom Standage, autore di Una storia commestibile dell’umanità”.