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Supportare la conservazione e l’utilizzo di diverse risorse genetiche, comprese quelle tradizionali coltivate dai contadini indipendenti e quelle selvatiche

Per non essere soltanto critici, tuttavia, gli autori forniscono una chiave di lettura costruttiva, attraverso cinque direttive di indirizzo che, a loro giudizio, potrebbero far invertire la tendenza in atto:

 

Promuovere attivamente l’adozione di molte più varietà di sementi in tutto il mondo, per aumentare la varietà genetica, ridurre in questo modo la vulnerabilità di tutto il sistema alimentare e prepararsi meglio alle nuove sfide rappresentate dal mutamento climatico, dall’aumento della domanda di cibo, dalla scarsità d’acqua e dall’impoverimento dei terreni. Questo tipo di intervento è particolarmente urgente per specie molto diffuse quali la banana, di cui si coltivano pochissime varietà, e che è ad alto rischio estinzione.

 

Supportare la conservazione e l’utilizzo di diverse risorse genetiche, comprese quelle tradizionali coltivate dai contadini indipendenti e quelle selvatiche, oggi non utilizzate, ma molto vicine geneticamente a quelle impiegate; implementare il Treaty on Plant Genetic Resources for Food and Agriculture per salvaguardare in modo più efficiente le varietà genetiche a livello internazionale, e aumentare i finanziamenti sulla ricerca per la creazione di nuovi ibridi e il rafforzamento delle specie oggi meno usate.

 

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Migliorare la qualità nutrizionale dei principali tipi di piante consumate oggi, per esempio ibridando le specie per incrementare il contenuto di ferro o zinco o vitamine

Migliorare la qualità nutrizionale dei principali tipi di piante consumate oggi, per esempio ibridando le specie per incrementare il contenuto di ferro o zinco o vitamine, che diventerebbero così più facilmente disponibili.

 

Promuovere le colture alternative caratterizzate da una particolare resistenza e da un alto valore nutritivo, rendendole competitive sui mercati internazionali. Tra le misure utili in tal senso vi sono la valorizzazione delle specie neglette o sottoutilizzate, il sostegno alla loro produzione (anche, se necessario, attraverso l’ibridazione) e le campagne di informazione in merito rivolte alla popolazione.

 

Aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica sull’importanza di avere una dieta sana, ma anche di nutrirsi in modo consapevole rispetto alla fonte degli alimenti.

 

«Avere un’alimentazione più variata a livello globale – hanno concluso gli autori – significa non soltanto avere più possibilità di assicurare il cibo ai nove miliardi di persone che popoleranno la terra entro il 2050, ma anche poter combattere la fame, la malnutrizione e l’over-alimentazione e, insieme, proteggere le nostre fonti alimentari dall’impatto che avranno i mutamenti climatici».

 

Agnese Codignola

© Riproduzione riservata

Foto: Thinkstockphotos.it

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Corrado
7 Aprile 2014 11:38

Bell’articolo. Verissimo il paradosso che un aumento della varietà della dieta può semplicemente essere dovuto all’inclusione nel paniere alimentare di cibi… junk o comunque peggiori rispetto alla dieta tradizionale. Un aspetto che avevo messo in luce in una ricerca di qualche anno fa http://econpapers.repec.org/paper/agseaa115/116443.htm
Se quindi Indici di diversità della dieta sono in linea di massima positivi, anche la prospettiva conta (e il valore nutrizionale intrinseco degli alimenti)
Tutte le soluzioni suggerite vanno poi verso un modello di “democrazia alimentare” complessiva, legato alla filiera più che non solo alla fase finale (“alimentazione”). Il dibattito attuale in Europa con la cassazione della draft di regolamento sul materiale di propagazione vegetale (e posizione del Parlamento UE molto forte)testimonia questa tensione.