Ogni mese, in redazione arrivano richieste di pubblicare finti articoli, che nel linguaggio del marketing vengono chiamati elegantemente ‘pubbliredazionali’, mentre in gergo giornalistico si vengono definite ‘marchette’ (ne abbiamo già parlato qui). La questione è molto seria perché se una volta le marchette erano concordate a voce o indicate nei contratti e nella corrispondenza con dei panegirici, adesso la richiesta di pubblicare finto articolo è fin troppo esplicita. C’è di più: le agenzie e le aziende chiedono di violare apertamente la deontologia professionale* pubblicando finti articoli senza riportare avvisi per permettere al lettore di capire di essere di fronte un’inserzione pubblicitaria. Nell’ultima proposta ricevuta in redazione, che riportiamo in fondo a questo pezzo, si dice “l’articolo non risulti come articolo sponsorizzato (no diciture del tipo “In collaborazione con” oppure “Articolo pubblicitario” e simili) e che permanga nella categoria di pubblicazione in modo permanente”. L’altro aspetto importante è che il pezzo non deve essere inferiore a 500 parole e avere un link alla società committente. Ovverosia un articolo abbastanza lungo che deve restare in archivio in modo permanente. Ma la cosa strabiliane è la parte finanziaria: per fare questo finto articolo il compenso proposto è di 70 euro ‘trattabili’.
Giornalismo in caduta libera?
Siamo di fronte a una vicenda vergognosa che cancella la figura professionale del giornalista. Ma questo concetto sembra superato nell’editoria moderna, dove questo tipo di sponsorizzazioni sono ormai presenti in buona parte dei quotidiani cartacei e online. Certo in quelle più serie si riporta, a volte con caratteri tipografici poco visibili la scritta “In collaborazione con…” o “Articolo/contenuto pubblicitario”, ma come si legge chiaramente nella proposta arrivata in redazione questa forma di pudore sembra scomparsa. Adesso per 70 euro ci chiedono in modo chiaro ed esplicito di fare un finto articolo per ingannare il lettore. Purtroppo questo succede regolarmente, come sottolinea quasi ogni settimana la newsletter Charlie del quotidiano online Il Post. Noi non siamo ‘più bravi’ perché non pubblichiamo marchette. Abbiamo la fortuna di essere indipendenti e di fare semplicemente il nostro lavoro di giornalisti rispettando le regole deontologiche. Ci piacerebbe non essere così soli, ma ormai questo desiderio fa parte sempre di più dei sogni.
La lettera arrivata in redazione questo mese
…in particolare ci servirebbe la pubblicazione di articoli da circa 500 parole, di natura informativa con un link alla pagina di un nostro cliente. Inviamo articoli adatti alla linea editoriale del sito di pubblicazione e solitamente gli articoli sono prodotti dalla nostra redazione. È importante che il link presente all’interno sia dofollow, che l’articolo non risulti come articolo sponsorizzato (no diciture del tipo “in collaborazione con” oppure “Articolo pubblicitario” e simili) e che permanga nella categoria di pubblicazione in modo permanente. Vorrei sapere se è previsto un passaggio temporaneo nella homepage del sito.
(*) Articolo 10 comma a del Testo unico dei doveri del giornalista: “Il giornalista assicura ai cittadini il diritto di ricevere un’informazione corretta, sempre distinta dal messaggio pubblicitario attraverso chiare indicazioni”
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Osceno ciò che riportate e ammirevole il vostro comportamento. Vi conosco ancora poco, ma siete di consolazione in questo panorama.
Mi fate venir voglia di riaprire un gruppo internet che co-gestivo sul gusto e l’alimentazione sana, trasparente e sostenibile.
Buongiorno,
ho assistito nel tempo alla triste involuzione di una nota rivista gastronomica, divenuto ormai un contenitore di pubblicità, talvolta nemmeno molto occulta e di accorate difese degli aumenti dei prezzi accompagnate dai lacrimosi commenti del produttore X o Y. Riuscirete a resistere oppure vi accontenterete di qualcuno che vi paghi una pizza?
Vediamo…….continuerò a seguirvi
Buon lavoro
Sergio De Santis
Non sorprendono queste proposte: viviamo in un mondo per lo più finto, pubblicità finta, prodotti finti, pubblicità ingannevole e mille altri eccetera.
Voi siete un isola sicura.
Non c’è bisogno di commentare: il fatto si commenta da sè ! … purtroppo !
Tenete duro e continuate nella vostra linea, grazie !
Grazie per il lavoro che fate!
purtroppo gran parte dei componenti della “corporazione” dei giornalisti non ha la minima idea di cosa vuol dire fare il giornalista sul serio. Moltissimi giovani colleghi sono spesso ignoranti, poco preparati, poco curiosi e molto “velinodipendenti”, genuflessi all’autorita’ di qualunque genere. certo, in gran parte la colpa è degli editori, che non vogliono un giornalismo libero e indipendente, ma solo in gran parte. Ordine e Sindacato troppo spesso restano a guardare, hanno pure le loro colpe. e non c’è da stupirsi che la categoria si disgreghi sempre piu’ e perda di vista i punti irrinunciabili (a parole) della deontologia professionale.