L’86,1% dei campi deliberatamente distrutto, percentuale che a Nord della Striscia di Gaza sale a circa il 94%, e meno del 5% dei terreni ancora coltivabili. Queste terribili statistiche pubblicate dalla FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, restituiscono il quadro della situazione a Gaza, dove la popolazione continua a morire di fame. A peggiorare ulteriormente lo scenario, è necessario ricordare che con i bombardamenti dell’IDF, le forze armate dello Stato di Israele, hanno abbattuto anche il 70% delle serre agricole e quasi l’80% dei pozzi ad uso agricolo, rendendo praticamente impossibile l’irrigazione e la produzione locale. Inoltre, le coltivazioni arboree – cioè ulivi, noci e alberi da frutto –, settore importante per l’economia e la cultura palestinese, risultano compromesse fino al 90%.
L’arma della fame
Che uno degli obiettivi della controffensiva israeliana fosse quello di colpire la popolazione palestinese minando la sua stessa autonomia alimentare era chiaro fin dall’inizio, da quando cioè sono stati disintegrati numerosi panifici della Striscia e a uno a uno i forni rimasti ancora in piedi sono stati costretti a chiudere a causa dell’assenza di farina. La devastazione ha colpito anche gli animali con un consistente crollo dell’allevamento. È del marzo del 2024 la stima che indica il 90% di perdite nel comparto bovino e il 60-70% di perdite nel settore dei piccoli animali (capre, pecore). Anche l’industria della pesca è stata devastata: oltre il 75% di imbarcazioni distrutte, numerosi pescatori feriti o uccisi e l’ingresso in mare condizionato dai blocchi militari.
A oggi è la stessa FAO a classificare la situazione della Striscia di Gaza come una delle quattro peggiori crisi alimentari al mondo per il 2024-2025, insieme a Sudan, Yemen e Afghanistan, dichiarazione che assume ancora più peso se si ricorda che l’OXFAM, la confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà mondiale, ha sottolineato come quella a Gaza sia una carestia interamente provocata dall’uomo.
Come sostegno in questo contesto, l’OXFAM, insieme ad altre realtà, ha promosso un progetto per lo sviluppo degli orti domestici rivolto sia a normali cittadini sia ad agricoltori. Il tentativo, che vuole offrire una soluzione pratica alla fame, rischia però di essere poca cosa davanti a un vero e proprio ecocidio, termine con il quale ci si riferisce ad “atti illegali o arbitrari commessi nella consapevolezza di una sostanziale probabilità di causare un danno grave e diffuso o duraturo all’ambiente con tali atti”.

La guerra che inquina
Tra le principali cause del cambiamento climatico troviamo il settore militare-industriale: le emissioni militari includono sostanze particolarmente nocive per l’ambiente e per la salute umana come ossidi di azoto, anidride carbonica, monossidi di carbonio. Oltre ai danni immediatamente visibili, è necessario tenere in considerazione anche gli ordigni non esplosi che rilasciano gradualmente metalli pesanti nei terreni e nelle falde causando un massiccio avvelenamento dell’ecosistema e, in alcuni casi, accumulandosi negli animali e nella vegetazione. Sebbene non esista un obbligo internazionale che imponga ai Paesi di rendere noto questo tipo di emissioni, è possibile affermare con certezza che la spesa militare di una nazione e la sua impronta carbonica siano direttamente proporzionali.
L’aria, l’acqua e la terra di Gaza
Anche a Gaza i bombardamenti stanno inquinando l’aria, l’acqua e la terra, avvelenando di conseguenza tutti gli esseri viventi. Solo nei primi 60 giorni di conflitto sono state rilasciate 281mila tonnellate di CO2. A oggi l’attacco israeliano ha lasciato oltre 37 milioni di tonnellate di detriti – oltre 14 volte quelle prodotte in tutti i conflitti globali negli ultimi 16 anni – che comprendono, tra gli altri materiali dannosi, anche 800mila tonnellate di amianto. A questi numeri bisognerà aggiungere le emissioni di carbonio che richiederà la ricostruzione di Gaza, il cui costo annuale, secondo alcune stime, pareggerà quello dell’intera Nuova Zelanda.
Nel dossier tecnico-scientifico di supporto alla lettera aperta del Dipartimento di Biologia Ambientale della Sapienza di Roma indirizzata ai ministeri italiani, si denunciano anche i livelli anomali di tungsteno, uranio impoverito e altri contaminanti registrati a Gaza nelle aree colpite: facendo una proiezione a lungo termine, preoccupano molto queste sostanze per le loro conseguenze sulla salute umana, in particolare rispetto all’insorgenza di malattie polmonari e oncologiche. Inoltre, l’osservatorio Human Rights Watch ha certificato la presenza di fosforo bianco, un agente incendiario tossico che, oltre a provocare ustioni gravissime e dolorosissime, avvelena il terreno e l’acqua rendendola letale per i pesci e per le persone.

Il pensiero di Lama Obeid
Il tentativo di fare della Palestina una terra inospitale va oltre i confini della Striscia: Israele incentiva le industrie inquinanti a costruire impianti vicino ai territori palestinesi occupati. Nessun palestinese si può dire immune dalla violenza dello Stato israeliano, che non si limita alle bombe, ma riguarda anche la distruzione degli uliveti, il controllo dell’acqua, l’appropriazione della cultura culinaria.
Nella Striscia la situazione è però esasperata e la sua popolazione è sotto attacco sotto tutti i punti di vista. Abbiamo chiesto alla scrittrice palestinese Lama Obeid, che, tra le altre cose si occupa anche di cibo, di condividere con noi un pensiero rispetto all’ecocidio in corso a Gaza e queste sono le sue parole: “L’ecocidio perpetrato da Israele a Gaza è una mossa di potere. Hanno reso Gaza, che era autosufficiente dal punto di vista agricolo e aveva anche un surplus riuscendo a esportare frutta e verdura, dipendente dalle importazioni, comprese quelle dal mercato israeliano che sta conquistando il mercato di Gaza.
Il ministero dell’agricoltura di Gaza ha annunciato che dei 50mila dunum – unità di misura delle proprietà terriere, un dunum equivale a 1.000 m2 – di uliveti ne rimangono solo 10mila. Cosa significa questo per il futuro di Gaza e per la sicurezza alimentare, considerando che l’olio d’oliva è uno dei prodotti alimentari di base delle famiglie palestinesi e una fonte di reddito stagionale per molti agricoltori e famiglie? L’impatto dell’ecocidio è a lungo termine e rappresenta ovviamente una mossa strategica da parte di Israele”.
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Terrificante. Insopportabile. E poi ci sono i coloni che fanno violenza con la totale complicità di militari e polizia israeliane.
Gli uomini non sono tutti uguali, soprattutto tanta fortuna dipende dal caso, il luogo dove nasci…