Stop alle gabbie negli allevamenti di polli e galline. A dirlo questa volta non è un’associazione animalista, ma l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), che in due pareri scientifici appena pubblicati raccomanda di eliminare l’uso di gabbie per migliorare il benessere dei polli da carne e delle galline ovaiole. Nei documenti l’Efsa si schiera anche contro le mutilazioni e la restrizione alimentare di questi animali e offre consigli sullo spazio da garantire, sulla densità degli animali all’interno dei capannoni, e su altri aspetti degli allevamenti che incidono sul loro benessere (illuminazione, rumore, polvere, rifiuti e strutture interne).
I due pareri scientifici sono stati richiesti all’Efsa dalla Commissione europea nell’ambito della strategia Farm to Fork (qui il piano in sintesi) e faranno da base per la revisione della normativa comunitaria in materia di benessere animale, che dovrebbe essere pronta entro la seconda metà del 2023. Gli esperti dell’Efsa, rispondendo anche alle questioni sollevate dall’Iniziativa dei cittadini europei End the Cage Age (ne abbiamo parlato in questo articolo), hanno esaminato tutti i sistemi di allevamento in uso sul territorio dell’UE, individuando le criticità esistenti e proponendo soluzioni per prevenirle o mitigarle. I documenti, inoltre, contengono delle linee guida per valutare il benessere di polli e galline in base alle loro risposte a determinate sollecitazioni.
Per fare un esempio, gli esperti dell’Efsa raccomandano, oltre all’eliminazione delle gabbie, di fornire lettiere asciutte e friabili, con materiali di arricchimento in grado di stimolare i comportamenti naturali degli animali e piattaforme elevate per permettere alle galline di riposarsi. Inoltre, per i polli da carne, si consiglia di limitare il ritmo di accrescimento dei broiler a 50 grammi al giorno (si tratta di un tasso di crescita molto vicino a quello delle razze a lento accrescimento impiegate nell’allevamento biologico che prevede 45 g/die).
In precedenza, Efsa aveva già pubblicato diversi pareri su questioni riguardanti il benessere animale, per la precisione un documento sul benessere dei suini allevati (qui le raccomandazioni) e ben cinque sul trasporto degli animali (ne abbiamo parlato in questo articolo). Nei prossimi mesi sono attesi i pareri scientifici sul benessere di vitelli, bovini da latte, oche, anatre e quaglie.
© Riproduzione riservata Foto: Fotolia, Efsa
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Tutto verissimo, ma il consumo di carne è sempre molto alto, il pollame è la carne più a buon mercato e i terreni in cui poter allevare a terra sempre meno e sempre più cari. Quante persone oggi nel 2023 possono permettersi di acquistare polli o conigli allevati a terra? Quasi nessuno perchè con una miopia molto elevata guardano solo il costo finale e non la qualità della carne che consumano e il benessere dell’animale che mangiano !!!
Però, cosa significa costo elevato o costo basso, io credo sia importante parlare di prezzo giusto. Inoltre, oltre a limitare il consumo di carne per quanto possibile, sarebbe opportuno considerare il cibo davvero come un bene primario nelle spese familiari e non, come spesso succede, una spesa secondaria lasciando il podio a beni effimeri o, almeno, non fondamentali. Detto questo, ripeto si dovrebbe considerare, da parte di chi compra e di chi vende, il prezzo giusto.
Concordo perfettamente.Come per la maggioranza delle questioni alla base c’é sempre un
problema di “educazione” Chi spiegherà ed a Chi la differenza e l’utilità diversa tra “bene
primario” e “spesa secondaria”???
Finalmente qualcosa si muove nei confronti degli Animali non Umani!!! Basta sfruttarli come fossero oggetti!! Grazie Il Fatto Alimentare per la vostra informazione sempre attenta e chiara.
La notizia andrebbe esplicitata meglio, altrimenti chi non è del settore capisce poco. I polli non vengono allevati in gabbia dai primi anni ’60. Per quanto riguarda i polli, l’Efsa fa riferimento ai riproduttori (non in Italia, dove i riproduttori si acquistano e si allevano a terra, perché non è nel nostro Paese che si mettono a punto le linee genetiche) e agli svezzatori della filiera rurale (coloro che detengono i pulcini per la prima fase della loro vita). Per intenderci, il giovane pollo che acquista la signora Maria per allevarselo nella propria aia è stato fornito da uno svezzatore che può aver tenuto i pulcini in gabbia. Altra cosa sono le ovaiole: in Italia solo il 35% ormai si alleva in gabbia.
E c’è voluto tutto sto tempo per capire e vedere i maltrattamenti che subiscono gli animali in gabbia. Tali situazioni le dovrebbero provare coloro che le infliggono e non agli animali.
salve , nella filiera alimentare che sia vegetale o animale ,il business si focalizza (almeno credo ) sulla distribuzione e intermediazione ,cioè questi soggetti prendono più soldi a discapito di contadini e allevatori i quali per avere a loro volta un profitto lo devono ricavare risparmiando sulla produzione , alla fine chi ci rimette è l’animale o il prodotto e quindi il consumatore .a questo punto devo dire che nell insieme la distribuzione cerca di tenere bassi i prezzi per rendere possibile a tutti ogni tipo di prodotto ,con il risultato che vengono macellati animali giovanissimi e fatti crescere in fretta, in agricoltura stessa cosa nelle piante, fertilizzanti chimici… paradossalmente un mio conoscente è stato denunciato perché ha usato sterco di pecora come fertilizzante ( cose dell’altro mondo ). a questo punto il consumatore va educato all’alimentazione, non come quel bambino a cui è stata offerta una mela staccata dall’albero e rifiutandola ha risposto che lui mangia solo mele di fabbrica .