pere frutta

tre pere, fruttaLa crisi climatica ha molte conseguenze e alcune, all’apparenza meno significative, possono riverlarsi critiche. Tra queste c’è la questione del calibro della frutta. A causa della siccità molti alberi hanno prodotto la scorsa estate frutti più piccoli della media, un problema per gli agricoltori, con conseguenze impreviste anche sui consumatori. Le misure della frutta e della verdura sono infatti regolamentate a livello europeo (regolamento Ue 543/2011, poi modificato dal 428/2019). Fino al 2008 la norma stabiliva persino la curvatura massima di cetrioli e carote, intervenendo su 26 prodotti ortofrutticoli. Oggi invece le indicazioni della normativa valgono ‘solo’ per 10 categorie di prodotti: mele, agrumi, kiwi, insalate (lattughe, indivie ricce e scarole), pesche e pesche noci, pere, fragole, peperoni dolci, uva da tavola e pomodori.

L’impianto generale del regolamento riguarda la tutela della salute dei consumatori e il commercio  dei prodotti e impone che siano interi, sani, puliti, privi di parassiti. E fin qui tutto bene. Il problema è la parte sulla colorazione della buccia e il calibro (diametro). Sulla base di questi parametri estetici frutta e verdura vengono suddivise in prodotti extra, di prima o di seconda categoria. Le catene di supermercati, poi, contribuiscono  a rafforzare il pregiudizio sui prodotti ‘diversi’ dallo standard comprando dagli agricoltori esclusivamente quelli classificati come extra o di prima categoria, con la convinzione che, per il consumatore, il frutto grande e dai colori vivaci sia sempre preferibile rispetto a quello piccolo o meno colorato.

Donna al supermercato, annusa una mela
La grande distribuzione propone solo frutta classificata come extra o di prima categoria, con la convinzione che, per il consumatore, sia sempre preferibile

Il problema, già noto e discusso in precedenza, si è posto con grande forza nel corso dell’estate appena trascorsa durante la quale, soprattutto per le pere (la cui stagione di raccolta va indicativamente da metà luglio a metà settembre), è stato evidente che la maggior parte dei frutti non rispettavano gli standard per essere classificati come prodotti “extra” o “di prima scelta”. Per questo motivo le pere non sarebbero state acquistate dai supermercati a prezzi sufficienti per sostenere gli agricoltori. La poca disponibilità di pere di grandi dimensioni fa lievitare i prezzi, rendendo difficile la vendita, soprattutto nelle condizioni economiche e sociali attuali. Al contrario  la grande disponibilità di pere piccole, associata al minor interesse all’acquisto da parte delle catene, rischia di fare perdere valore al prodotto, che stava già attraversando una fase critica, come è ben illustrato nel 2021 all’interno del rapporto Siamo alla frutta dell’associazione ambientalista Terra!

La questione delle pere rappresenta un esempio di un problema molto più ampio. Possono le sfide del cambiamento climatico far aprire gli occhi agli operatori del settore sull’inadeguatezza degli attuali criteri di valutazione dei prodotti? Quello che sta avvenendo non è una coincidenza, ma un fatto strutturare e irreversibile che deve essere preso in considerazione a tutti i livelli. “Siamo convinti – dichiara Fabio Ciconte, direttore dell’associazione Terra! – che la crisi climatica aggraverà problemi come questi e pensiamo che occorra rivedere al più presto i criteri con cui i supermercati commercializzano il cibo fresco. Ha ancora senso affidare il destino di intere filiere a una macchina calibratrice o a una serie di parametri puramente estetici, che appiattiscono la diversità di cui è capace la natura?”.

Angurie, pomodori e meloni scartati, concept: frutta
La retorica degli sprechi dovuti allo ‘scarto’ dei consumatori non regge più, dobbiamo calcolare come spreco anche ciò che resta nei campi

Nel frattempo, la Commissione europea ha aperto una discussione pubblica su questo tema a diversi stakeholder: dagli agricoltori ai distributori, dalle Ong alle aziende e ci si aspetta un parere entro la fine del 2022. Nel frattempo, però, il cambiamento di mentalità deve avvenire tra gli operatori della grande distribuzione. I consumatori disposti ad apprezzare formati diversi e anomali ci sono, come dimostra il successo delle iniziative realizzate per proporre e valorizzare questo tipo di frutta e verdura. Queste promozioni in Italia sono ancora poche e limitate a operatori specializzati, come Bella Dentro e Babaco Market, o realizzate da insegne che hanno una clientela particolarmente sensibile alle tematiche ambientali, come NaturaSì.

“Fare agricoltura oggi – sottolinea Ciconte – sta diventando sempre più un atto di resistenza. Le aziende agricole sono ormai strette tra la crisi climatica e lo strapotere delle catene di supermercati e ipermercati e la tendenza a commercializzare frutti standardizzati acuisce questa crisi provocando anche un aumento degli scarti. Le catene potrebbero invece svolgere un duplice ruolo, molto prezioso: da un lato guidare i consumatori all’acquisto dei prodotti fuori standard; dall’altro sostenere gli agricoltori, che oggi fanno fatica a tenere aperte le proprie aziende. La retorica degli sprechi dovuti solo allo ‘scarto’ dei consumatori non regge più, dobbiamo calcolare come spreco anche ciò che resta nei campi (definito oggi dalla Fao attraverso il Food loss index; ndr) a causa di queste assurde tendenze di mercato”. È il gusto, infine, quello che deve fare la differenza tra un prodotto e l’altro. A patto che il prezzo sia sostenibile, per tutti.

© Riproduzione riservata; Foto: archivio Il fatto alimentare

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Dario
Dario
25 Settembre 2022 19:01

I Regolamenti sopra citati sono una promozione dello spreco alimentare. Per lavoro mi trovo a Singapore la frutta ha dimensione “umana”; la mela Fuji non supera mai i 150 gr, rispetto alle dimensioni extra del regolamento oltre i 250 gr.
E’ “umano” mangiare una mela di 150 gr, diventa spreco la metà mela di 250 gr. che lasci ad “ossidare- annerire – ecc” perché troppo grande . Pienamente in accordo a rivedere il Regolamento.

giova
giova
Reply to  Dario
20 Ottobre 2022 08:58

concordo

roberto pinton
roberto pinton
4 Ottobre 2022 13:03

I regolamenti che stabiliscono le norme di qualità dei prodotti ortofrutticoli non sono stati concepiti per promuovere lo spreco alimentare, ma come strumento per il mercato.

Per le mele le norme di qualità (reg. UE 2019/428) prevedono un peso minimo di 70 g, mentre non c’è un peso massimo; il fatto che sul mercato siano proposte mele da 250 g non dipende assolutamente dai regolamenti, ma dalla politica commerciale del punto vendita, che, evidentemente, ritiene di meglio soddisfare così la domanda dei suoi clienti.

Per conoscere le caratteristiche delle arance che voglia acquistare, l’operatore dell’Italia settentrionale (per non dire della Germania o della Scandinavia) o effettua N dispendiosi viaggi in Sicilia per assistere personalmente al carico di ogni autotreno e controllare le caratteristiche delle arance, o le ordina di categoria I calibro 2, sapendo già che riceverà prodotti con diametro da 84 a 96 mm che al massimo presentano lievi difetti che non ne pregiudicano l’aspetto generale, la qualità e la conservazione (per esempio un lieve difetto di forma, lievi difetti di colorazione, lievi difetti progressivi dell’epidermide che non colpiscano la polpa, rugginosità o danni provocati da parassiti, lievi difetti cicatrizzati dovuti a cause meccaniche).
Se invece le ordina di categoria EXTRA, sa che riceverà prodotti senza difetti (salvo lievissime alterazioni superficiali), se le ordina di II categoria sa che può aspettarsi difetti più pronunciati di forma o di colorazione, difetti progressivi dell’epidermide, ramaggiatura argentata, rugginosità o danni provocati da parassiti, alterazioni superficiali e cicatrizzate dell’epidermide, rugosità della scorza, lieve e parziale distacco della buccia.

Qualcuno ci scherza su, irridendo la UE perchè stabilisce addirittura la lunghezza delle banane (minimo 14 cm), ma si tratta di norme necessarie anche per non costringere l’acquirente a frequenti viaggi in Ecuador, Guatemala o Angola per vedere ogni volta che banane gli stanno caricando nelle stive o nei container: basta un’E-mail per ordinare un carico di categoria EXTRA o I o II, sapendo già così cosa arriverà.

Mettiamola così: quando andiamo in cartoleria ad acquistare della carta, non partiamo da casa muniti di righello per misurare i fogli, ma semplicemente chiediamo una risma del formato A4, che è definito dallo standard internazionale ISO216 (ed è diverso dal formato Letter o dal B3): non facciamo tante storie e ci sembra un gesto “normale”, così com’è “normale” per gli operatori negoziare carichi di categoria I o EXTRA.

giova
giova
Reply to  roberto pinton
20 Ottobre 2022 09:08

“Per le mele le norme di qualità (reg. UE 2019/428) prevedono un peso minimo di 70 g, mentre non c’è un peso massimo; il fatto che sul mercato siano proposte mele da 250 g non dipende assolutamente dai regolamenti, ma dalla politica commerciale del punto vendita”
Ed è anche per questa politica commerciale che gli agricoltori sono stati spinti a coltivare le varietà di dimensioni maggiori, magari esagerando con sostanze non gradite nel terreno; spesso a scapito della qualità. Penso sia un’esperienza comune quella di una perdita di gusto associata a dimensioni maggiorate, anche nel biologico (non faccio esempi per non turbare il mercato e scomodare la Redazione del Fatto).

gianni
gianni
7 Ottobre 2022 20:44

Considerazioni di un risparmiatore incallito.
Il ragionamento del signor Pinton non fa una grinza, sembra un vestito appena uscito dalla stireria, nei materiali che si usano tali quali è senz’altro argomento validissimo.
Se consideriamo la massa netta di un frutto, escluse le parti non edibili, però ci accorgeremmo che le varie categorie, che comportano regole piuttosto rigide e prezzi diversi, molto diversi di acquisto per i consumatori sono una mezza fregatura.
Ma si sa, poichè si acquista con gli occhi in generale si paga molto di più, non importa se poi il sapore è lo stesso…….. sottigliezze pagate a caro prezzo.

Valerio
Valerio
20 Ottobre 2022 10:41

In aggiunta a quanto già esposto da Roberto Pinton, faccio notare che in ogni settore ci sono normative per uniformare la gestione e poter ad esempio collegare alla rete elettrica un asciugacapelli o il caricabatterie di un cellulare quando andiamo all’estero. Nell’ambito agroalimentare, la normativa comune ha favorito e favorisce gli scambi e la gestione degli ordini, tra produttori e catene distributive anche in paesi diversi. In passato la normativa era molto più stringente e riguardava un numero maggiore di specie vegetali, ora è stata ridimensionata. Faccio tuttavia notare che la normativa è intesa anche a tutela del consumatore. Una mela o una pera molto piccole, ad esempio, contengono meno parte edibile rispetto alla parte con i semi. L’ortofrutta biologica viene quasi sempre considerata in automatico “di seconda categoria”, perché di solito risulta meno uniforme e con più imperfezioni di dimensione e colore. A quanti gridano allo spreco e all’eccesso di normazione, vorrei fare osservare i banchi ortofrutta di un punto vendita a libero servizio, e vedere quanti consumatori scelgono la frutta e verdura “meno perfette”, che rimangono sui banchi a fine giornata e non vengono pagate al produttore. Inoltre c’è il problema del prezzo: i costi di produzione sono gli stessi per la frutta grande e per quella piccola, ma quanti di voi vedendo la mela da 100 g perfetta di categoria extra, e vicino quella da 70 g con buccia rugginosa di seconda categoria allo stesso prezzo, acquisterebbero la seconda?

giova
giova
Reply to  Valerio
20 Ottobre 2022 11:02

Fatto, ma non sempre è premiato: frutta e verdure piccoli e/o ammalorati e/o imperfetti non sempre sono di qualità (gusto, consistenza, maturazione).