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La Cassazione ha confermato la condanna inflitta dal tribunale di Nola a un esercente che aveva esposto all’aperto tre cassette di verdure

I banchi all’aperto dei fruttivendoli con la merce in bella mostra sono destinati a sparire? A scatenare l’allarme è stata una recente sentenza della Cassazione, che ha confermato la condanna inflitta dal tribunale di Nola, in Campania, a un esercente che aveva esposto all’aperto tre cassette di verdure, giudicate “in cattivo stato di conservazione” proprio per essere state esposte allo smog. Il fruttivendolo è stato condannato per aver violato la legge 283/1962, che regolamenta la “disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”.

 

A quanto scritto nella sentenza, emessa dalla terza sessione penale della Suprema corte, il fatto di mettere in commercio frutta che si trova “all’aperto ed esposta agli agenti inquinanti” è sufficiente a violare “l’obbligo di assicurare l’idonea conservazione delle sostanze alimentari“. Inevitabilmente il provvedimento ha scatenato un acceso dibattito. La Coldiretti ha polemizzato con la Corte affermando che “dalle strade delle città non vanno tolte le cassette di frutta, ma lo smog che non danneggia solo i prodotti alimentari ma anche la salute degli italiani”. L’associazione si è detta preoccupata, in particolare, che la sentenza danneggi i piccoli negozi favorendo la grande distribuzione.

 

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Le aree destinate ai mercati ambulanti in cui si possono vendere alimentari all’aperto sono stabilite e regolamentate per legge,

Meno allarmata la FIVA, una delle principali associazioni del commercio ambulante, che sembrerebbe direttamente chiamata in causa dalla sentenza. «Le aree destinate ai mercati, in cui si possono vendere alimentari all’aperto sono stabilite e regolamentate per legge, e si tratta in genere di aree in cui i veicoli non circolano», obietta il segretario dell’associazione Armando Zelli. «Se i venditori ambulanti rispettano gli standard igienici, che impongono ad esempio di esporre la frutta a una determinata altezza da terra, o di vendere formaggi e latticini in banchi a temperatura controllata, sono in regola». La situazione dunque non dovrebbe cambiare: «una sentenza non può modificare quanto è stabilito per legge – osserva Zelli, – anche l’esposizione di frutta e verdura fuori da un negozio, è normata dai regolamenti comunali, e se il Comune la autorizza in una determinata collocazione, non dovrebbe essere sanzionabile».

 

Per chiarire meglio gli aspetti legali della questione, abbiamo chiesto un parere all’avvocato Daniele Pisanello, esperto di diritto alimentare.

«Da un lato, la sentenza conferma l’orientamento della giurisprudenza, per il quale il cattivo stato di conservazione non si riferisce solo alle caratteristiche della merce, ma anche all’ambiente in cui questa si trova», spiega Pisanello. Il che però non vuol dire necessariamente che da oggi partiranno multe e controlli. «Questa sentenza ha suscitato più di una perplessità, dal punto di vista giuridico e non solo, anche per com’è articolata. È un pronunciamento della Cassazione, ma sotto alcuni aspetti si discosta dai precedenti, e non si può escludere che resti isolato, e disatteso in future decisioni».

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mauro
mauro
20 Marzo 2014 05:49

Dando per scontato che bisognerebbe leggere bene la sentenza, trovo inquietante che si definisca “in cattivo stato di conservazione” la frutta esposta all’esterno dei negozi. Come giustamente sottolineato nell’articolo, l’aria inquinata non si ferma solo sulla porta del negozio, ma non si ferma nemmeno davanti alla porta della serra e tanto meno nei campi dove è stata coltivata.
E, appunto, se si fosse fatta un’analisi dei pericoli, a quale rischio è sottoposta la frutta esposta qualche ora all’esterno del negozio, rispetto al tempo in cui è stata esposta all’aria (non certo pura e priva di inquinanti) neel periodo della coltivazione?
Chiaramente la corte di cassazione (probabilmente sulla base dei pareri di qualche “esperto”) non è stata in grado di dare un parere valido. Ma, peggio, si conferma che i NAS, molto spesso, non hanno nessuna base relativa alla formazione sulla sicurezza degli alimenti, l’HACCP, la legislazione, ecc. ecc. Probabilmente non è molto “politically correct” da dire, ma è la verità!