I fondi europei divorati dall’allevamento intensivo: il 20% del budget Ue alla produzione di carne e latte. La denuncia di Greenpeace
I fondi europei divorati dall’allevamento intensivo: il 20% del budget Ue alla produzione di carne e latte. La denuncia di Greenpeace
Giulia Crepaldi 15 Febbraio 2019L’allevamento intensivo in Europa è favorito dalle politiche agricole dell’Unione stessa, che invece dovrebbe sostenere sistemi con minore impatto ambientale. Questa è la denuncia di Greenpeace, che nel rapporto “Soldi pubblici in pasto agli allevamenti intensivi” snocciola cifre da capogiro. Si stima infatti che il 71% dell’intera superficie agricola europea sia occupato da coltivazioni per la produzione di mangimi, pascoli o prati per foraggi, ma anche che circa 18-20% dell’intero budget dell’Unione sia destinato, direttamente o indirettamente, alla zootecnia.
Secondo l’analisi di Greenpeace, tra il 2005 e il 2013 in Europa le aziende zootecniche sono diminuite del 32%, ma il numero di animali allevati è aumentato, soprattutto negli allevamenti intensivi di grandi dimensioni, che hanno visto il numero di capi crescere di 10 milioni di unità di bestiame, arrivando alla cifra record di 94 milioni di unità (*). Allo stesso tempo gli animali allevati in piccole aziende si sono dimezzati, arrivando a contare appena un milione di unità.
Insomma, mentre in Europa cala il numero di aziende del settore zootecnico, quelle che rimangono diventano sempre più grandi, allevano un numero maggiore di animali (soprattutto polli e maiali) e producono una quantità crescente di carne, latte e derivati. Ciò accade nonostante da più parti giungano appelli per una drastica diminuzione dei consumi degli alimenti di origine animale, come quello pubblicato dalla rivista medica The Lancet, che chiede di dimezzare l’apporto di carni rosse, per una dieta più sana e sostenibile.
A favorire l’allevamento intensivo, però, è stata proprio la Politica agricola comune (Pac). Dai primi anni 2000, infatti, l’assegnazione dei fondi europei si è sempre più svincolata dalla produzione, come avveniva negli anni ’90 per proteggere agricoltori e allevatori dalle oscillazioni del mercato, e sempre più legata all’estensione dei terreni coltivati. Ciò ha reso più conveniente per le aziende coltivare grandi superfici destinate alla produzione di mangimi, come mais e soia.
Inoltre, gli Stati membri hanno anche la possibilità di finanziare direttamente alcuni settori produttivi e Greenpeace calcola che, tra sostegni diretti e indiretti, l’allevamento riceverebbe quasi l’80% di questo tipo di fondi. Mettendo insieme tutti i finanziamento (Pac, sussidi diretti e altre forme di sostegno), l’associazione ambientalista calcola che il settore zootecnico assorbirebbe ogni anno tra il 69% e il 79% di tutti i fondi. Stiamo parlando di cifre che oscillano tra 28,5 miliardi e 32,6 miliardi di euro.
Non sembra però che l’Europa abbia intenzione di cambiare il modo in cui distribuisce i contributi all’agricoltura e all’allevamento. Sebbene la Commissione europea abbia annunciato che la nuova Pac sarà “più verde”, la proposta continua a basare i finanziamenti in base alle dimensioni dei terreni, un sistema che continuerà a favorire le grandi aziende e che non rende in alcun modo più sostenibile ed eco-compatibile la produzione agroalimentare europea.
Secondo Greenpeace i fondi Pac dovrebbero essere destinati alla transizione a un modello di produzione a minore impatto ambientale, riducendo la quantità di prodotti di origine animale e aumentandone allo stesso tempo la qualità. In particolare, l’associazione chiede di dedicare il 50% della Pac al sostegno dell’agricoltura ecologica, di irrigidire i criteri ambientali che devono essere rispettati per ricevere i fondi (per esempio, stabilire un numero massimo di capi per superficie), di assegnare misure di sostegno diretto solo a settori che offrono vantaggi ambientali e di non incoraggiare il consumo di prodotti di origine animale attraverso i fondi Pac.
(*) Nota: L’unità di bestiame è un coefficiente standard che permette di aggregare differenti specie di animali da allevamento. Un’unità di bestiame corrisponde all’equivalente di una vacca da latte, oppure circa tre maiali, 10 pecore o poco meno di 150 polli da carne.
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[sostieni]
Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Mi fa piacere constatare il voler sposare due argomenti distanti tra loro; un po’ come mettere insieme la lunghezza con il peso.
Si sta parlando di sostenibilità ambientale dei sistemi intensivi e poi compare CLANDESTINAMENTE il campo medico incentrato su carni rosse!!!
Qualcuno sentiva la necessità di coinvolgere questi studi????? NO!!!!
Visto che il settore zootecnico non è composto solo da bovini…
Inciso: io dovrei cambiare dieta per l’ambiente???????? Prima la conversione dell’industria, poi passeremo all’agricoltura in generale, non limitandosi alla zootecnia!!!!
una barra di un certo materiale, più è lunga e più pesa. le due misure sono direttamente proporzionali. non vedo alcuno scandalo nell’associare il problema dell’eccessivo consumo di carni rosse con la scarsa sostenibilità ambientale degli allevamenti intensivi, che continuano ad attirare ingenti risorse finanziarie dall’UE.
per quanto mi riguarda: 1) per fortuna esiste GREENPEACE, che evidenzia problematiche altrimenti sconosciute alle masse (che, mi perdoni l’analogia, procedono come pecoroni), 2) mi fa sorridere il fatto che, nell’ambito di una disquisizione articolata sulle motivazioni per favorire una zootecnia di minore impatto ambientale (e, mi consenta, causa di minor sofferenza animale e quindi anche di chi li mangia) rispetto ad una più impattante (leggere a tal proposito IL PIANETA MANGIATO), lei rilevi in particolare quelle 2 righette riguardanti le raccomandazioni circa la diminuzione di carni rosse (e quindi bovine) da parte del Lancet, 3) eventualmente, lei non dovrebbe cambiare alimentazione x l’ambiente, ma per se stesso, è evidente; meglio lasciare perdere la conversione dell’industria come scusante per non cambiare nulla, perché è ormai noto a tutti che tutte le attività umane sono in stretto rapporto tra loro ed è necessario procedere su più fronti se non vogliamo soccombere