Fico è la nuova Disneyland del cibo. È questa la definizione che sembra prevalere tra i tanti giornalisti che il 9 novembre hanno visitato in anteprima i padiglioni ristrutturati dell’ex-mercato ortofrutticolo di Bologna. In realtà non è proprio così. Fico (acronimo di Fabbrica italiana contadina) Eataly World è un progetto che assomiglia molto a uno dei punti vendita Eataly di Oscar Farinetti, che è anche l’uomo chiave dell’operazione. Certo la superficie è 50-100 volte maggiore rispetto a un classico punto vendita della catena, per questo Farinetti ha pensato di arricchire il modello inserendo nuovi elementi, ispirati a formule sperimentate con successo da altri. La prima novità sono le biciclette a tre ruote dotate di cestino che si possono prendere gratuitamente per esplorare tutta l’area fieristica. Nei padiglioni ci sono 40 laboratori aperti al pubblico per imparare a conoscere e ad apprezzare il buon cibo, simili a quelli proposti da Slow Food al Salone del gusto di Torino.
Dal modello delle fattorie didattiche molto diffuse in Emilia Romagna, nasce l’idea di ospitare in una zona all’aperto dell’area espositiva circa 200 animali, suddivisi tra maialini, pecore, mucche… Il richiamo alla campagna è molto forte, tanto che oltre agli animali troviamo un grande giardino invernale con piante di agrumi e un vigneto. In un angolo si trova anche il “Giardino biodinamico” con i frutti dimenticati, le api e il miele. Un’altra chicca che piacerà molto ai visitatori è la tartufaia: un’area alberata di 400 mq, dove cani addestrati scavano alla ricerca dei preziosi tuberi nascosti, aggiudicandosi ad ogni ritrovamento un applauso del pubblico. Ma l’impostazione di Fico assomiglia anche alle varie fiere dello street food, perché lungo le corsie centrali troviamo una successione di chioschi di 10 mq dotati di cucine superaccessoriate in grado di sfornare pasti in pochissimo tempo, come quello proposto da Amadori, che ha anche tavolini con sedili dotati di un sistema a pedali come quello delle biciclette. La novità che dà valore aggiunto al tempio del cibo di Bologna è però l’inserimento delle macchine che producono veramente mozzarelle, olio, biscotti e tanto altro.
Questo tipo di proposta è difficile da vedere in altri posti perché si tratta di veri impianti industriali funzionanti, che richiedono un grosso investimento e la gestione continua da parte di personale esperto. Ad esempio, Venchi è presente con un laboratorio del cioccolato. Qualcosa del genere si è visto a Expo 2015 negli stand di Lindt, che avevano all’interno un centro di produzione. Granarolo, invece, ha installato un caseificio vero, che produce mozzarelle e yogurt, costato 1 milione di € e dove lavorano sei persone. Balocco invita ad assaggiare i famosi biscotti Krumiri prodotti nel laboratorio attiguo, dove vengono preparati dolci di tutti i tipi e forse anche il panettone di Natale.
Nel centro di produzione dell’olio, dietro un grande mulino in pietra che troneggia in mezzo alla sala, ci sono svariate cassette di olive pronte da spremere in un modernissimo impianto di molitura in acciaio inox. I visitatori possono assistere in diretta a tutte le fasi della lavorazione, perché le aree produttive sono dotate di pareti di vetro, e poi assaggiare le mozzarelle, degustare l’olio e i dolci, ecc. Ci sono poi aziende come Mutti che dietro una parete di barattoli multicolore propone un percorso sulla filiera del pomodoro. Nella “Locanda delle Uova” firmata da Eurovo si può vedere un piccolo allevamento a terra di galline ovaiole, e poi assaggiare tuorlo e albume cucinati in tutti i modi.
Molti ipotizzano che Bologna sia una città destinata a diventare la Las Vegas del cibo, perché è vero che Fico propone 45 punti di ristoro (che spaziano dai ristoranti degli chef stellati a quelli di pesce, allo street food, sino alle pizzerie firmate Rossopomodoro) e moltissimi bar oltre a 40 botteghe, ma questo è solo un aspetto dell’operazione. Le attività collaterali sono davvero tante e arricchiscono questo spazio unico in Italia. Un gigantesco pianoforte nero a coda è al centro di una delle varie piazze ed è lì per ospitare concerti, come pure l’arena con 200 posti a sedere che vedrà un susseguirsi di eventi come la presentazione di libri, storie di cucina ma non solo.
La struttura è dotata di una sala di oltre mille posti che si può suddividere in tre parti per convegni, ma anche per proiezioni di film e documentari. La cultura del cibo è un aspetto importante, come insegna Slow Food, anche nel contesto alimentare, per questo un’area molto ampia è occupata da una libreria specializzata. La speranza è che lo spazio culturale non sia invaso da food blogger e gastronomi improvvisati e Fico non diventi il luogo d’elezione per show-cooking. Lo spazio di Bologna dovrebbe prendere le distanze dalla tv gastronomica e dai programmi culinari, che però tanto piacciono a Farinetti (come ha dichiarato nella conferenza stampa di presentazione). Ci sono poi sei attrazioni a pagamento (2 € per gli adulti e gratis per i bambini) che attraverso filmati e altre immagini propongono percorsi sul rapporto tra l’uomo e il mare, la terra, gli animali… L’area è anche dotata di mini parco giochi a tema per bambini piccoli (sul modello del mini golf), un campetto al coperto di beach volley. L’ambizione è di attirare a Bologna convention aziendali, convegni in campo alimentare e centinaia di scuole in gita scolastica.
Da Fico non si va solo a mangiare, come capita di fare spesso in molte fiere gastronomiche anche di buon livello, ma si vive una “food experience” da raccontare quando si torna a casa. Ed è proprio sul passa parola tra amici e parenti che contano Farinetti & Co per riuscire a realizzare a partire dal 15 novembre 2017, quattro milioni di presenze il primo anno per arrivare a sei nel 2020. È vero che i padiglioni restano aperti tutti i giorni dalle 10 di mattina a mezzanotte, ma la previsione è comunque ambiziosa.
Fico è probabilmente il modello che l’Italia doveva portare a Expo 2015. È il progetto che è mancato nell’area di Rho dove si è visto di tutto e di più e ogni nazione ha declinato la sua idea di “Nutrire il pianeta” senza una regia e un coordinamento. L’altra nota di rilievo da evidenziare è l’assenza a Bologna di McDonalds, Coca-Cola e Ferrero, i tre sgraditi sponsor che hanno caratterizzato Expo 2015. Fabbrica italiana contadina ha deciso di lasciare fuori dal tempio della cultura del cibo brand e marchi che sarebbero risultati in aperto conflitto con la mission che si è posta. Tuttavia, il vero grande assente di Bologna è Barilla. I fratelli di Parma – forse mal consigliati – hanno bucato Expo e adesso sono rimasti fuori anche da Fico. Difficile capire il perché.
Ma quanto costa entrare a Fico? L’ingresso è gratuito ma non il parcheggio auto che regala solo i primi 90 minuti gratis. Entrare è molto facile, uscire senza avere speso almeno 20 euro invece è molto difficile, anche perché in prossimità dell’uscita sono stati posizionati box di aziende come Alessi, TVS e tanti altri con oggetti per la cucina molto attraenti. Poi c’è l’area finale con un market bazar così ricco di oggetti e gadget che è quasi impossibile resistere. Per rendersene conto basta dire che all’uscita ci sono sei casse proprio come quelle dei supermercati per pagare i souvenir.
Fonte immagini: Fico Eataly World (Instagram @eatalyworld)
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Volevo ringraziare per gli splendidi articoli. Peccato per quello su FICO dove non siè fatto cenno che ad 1,5 km c’è un termovalorizzatore che fa emissioni inquinanti da record, e tra le 2 strutture ci sono solo campi. Figuratevi che sento l’odore dell’inceneritore fino a Corticella (dove abito) ovvero a 7 km.
Saluti
Un inceneritore non necessariamente emette fumi inquinanti e puzzolenti. Diciamo che a questo punto c’è un motivo in più per sistemarlo e renderlo inoffensivo.
Ma se un Cittadino vi informa che: “ad 1,5 km c’è un termovalorizzatore che fa emissioni inquinanti da record, e tra le 2 strutture ci sono solo campi. Figuratevi che sento l’odore dell’inceneritore fino a Corticella (dove abito) ovvero a 7 km.” e Voi rispondete: “Un inceneritore non necessariamente emette fumi inquinanti e puzzolenti” c’è qualcosa che non funziona. Ero certo che “Il Fatto Alimentare” desse voce alle ingiustizie in fatto di alimentazione. Non ho parole…….
Mi scusi noi a Milano abbiamo due inceneritori uno di fronte a un Ospedale. Io le ho detto che Fico mi sembra un’ottima opportunità per sistemare un inceneritore che secondo lei non funziona bene.
Mal consigliati?
Direi che dimostrano la loro serietà stando lontani dalla più falsa Delle operazioni di mkt sul cibo che si chiama Eataly
Beh, che Barilla ‘non frequenti’ il marketing è una affermazione singolare…, magari preferiscono la narrativa del mulino bianco a quella della fabbrica contadina, escluderei comunque che abbiano rifiutato perché disgustati dalla bieca operazione commerciale…
sono anch’io perplessa per le informazioni date in questo modo, mostrando solo un lato della medaglia e tacendo il fatto dell’inceneritore, oltretutto essendo in atto una polemica alla quale Farinetti ha risposto in maniera sorprendente… che non sapeva dell’inceneritore. Mi chiedo: se la stampa non fa inchiesta chi la deve fare? il cittadino con le delle armi spuntate!? lei lo sapeva dell’inceneritore quando ha scritto l’articolo o come Farinetti non ne sapeva nulla? lei sa perché lo Stato emana delle leggi che obbligano i cittadini normali e non “protetti” a fare le cose con le carte in regola e a spese loro PRIMA di iniziare un’attività e invece a certi individui concede di intraprendere un’attività che ha a che fare con gli alimenti e quindi con la salute delle persone in luoghi che si sospetta siano insalubri e di sistemare DOPO le cose con i costi a carico della collettività, dato che se si chiuderà l’inceneritore si farà un favore a Farinetti che dubito seriamente sborserà una lira per la bonifica? E non mi dica per favore che l’inceneritore verrà chiuso per il bene dei cittadini dato che prima di Fico se ne stava lì senza che ci fossero progetti di chiusura a tutela della salute pubblica. Se si chiuderà sarà solo a tutela delle tasche di un privato e questa mi pare una grave ingiustizia sociale e una stortura economica. Siamo tutti bravi a fare affari e denaro scaricando i costi sulla collettività. Se chiuderanno l’inceneritore con i costi a carico degli enti pubblici o di aziende speciali (pubbliche) è chiaro che chi si avvantaggia non fa il vero imprenditore: fa qualcos’altro….
Noi non sapevamo dell’inceneritore e quando abbiamo fatto la visita non abbiamo avvertito odori strani. Nella risposta intendevo dire che un inceneritore non necessariamente deve emettere emissioni inquinanti o puzzolenti. La presenza di Fico potrebbe essere un elemento utile per fare pressione e sistemare l’impianto.
“Fico”, pensano di essere divertenti. Fanno pena. Come in molte strutture concettualmente simili anche se pubblicizzano prodotti differenti non metto mai piede. Vendiamo il brand non prodotti…
Per me il cibo è cultura in senso antropologico è storia delle persone e dei territori non industria.
Ops hanno toppato sull’inceneritore… e si accontentano di dire che non puzza. Abbiate almeno il pudore di stare zitti e/o di riconoscere l’errore
Prima le discariche a cielo aperto presenti in tutte le città, ora gli inceneritori o termovalorizzatori anche questi presenti in molte città italiane, vicinissimi alle abitazioni periferiche e non a diversi km come sarebbe meglio che fosse.
La soluzione non è il conflitto ma è risolvere il problema dei rifiuti con la raccolta differenziata e la loro riduzione tendente allo zero, perché bruciamo risorse che converrebbe riciclare.
I termovalorizzatori lontani o vicini agli insediamenti devono funzionare perfettamente, altrimenti vanno spenti fino al loro ripristino.
Con molto realismo concordo con l’auspicio di La Pira, che molto probabilmente quell’inceneritore verrà perfezionato oppure spento, prima di tanti altri presenti in tutto il territorio nazionale.
Tutti pronti a fare polemica. Però vorrei vedere quanti di noi producono zero spazzatura, tale da rendere inutile la realizzazione del termovalorizzatore.
“Chi non fa, non falla” , si dice da noi in Toscana.
Siamo pronti a protestare perché Il Fatto Alimentare scrive di Fico, ma intanto loro cercano di fare qualcosa di positivo, informandoci. Voi che protestate, prima di rispondermi…. date una occhiata ai vostri sacchi della spazzatura e poi fate un calcolo del peso mensile. E poi ditemi cosa dovremmo farci, con quella roba.
Pensiamo a cambiare nei nostri gesti quotidiani.
Io andrò , forse, a fare un giro a Fico.
Perché prima di tutto amo guardare coi miei occhi. Poi ne riparliamo.
Ma se le loro confezioni saranno meno voluminose e inquinanti di tutte quelle che trovo nei supermercati, allora vedrò il lato positivo.
Se invece non sarà così , le uova le comprerò dal contadino …. e il Fico, lo coglierò dall’albero abbandonato nei campi qua vicino, che nessuno cura più, perché preferisce perdere tempo a criticare. Arrivederci.
Mi sembra che anche Lei stia facendo una critica…… Io sono uno di quelli che fa la raccolta differenziata e la faccio con costanza e accuratezza. Se si trovano incongruenze su alcuni articoli (anche se si tratta di Eataly-FICO) mi sembra giusto far sentire la propria opinione. La critica è sintomo di democrazia. Arrivederci.