Etichette a semaforo, migliora la qualità nutrizionale della dieta britannica secondo uno studio. E il Messico lancia le etichette di allerta
Etichette a semaforo, migliora la qualità nutrizionale della dieta britannica secondo uno studio. E il Messico lancia le etichette di allerta
Agnese Codignola 3 Settembre 2020Le informazioni relative alla qualità nutrizionale degli alimenti sulle confezioni (in varie forme) aiutano effettivamente a compiere scelte più razionali? La risposta, che arriva dai dati reali, sembra essere sì. Almeno nel Regno Unito, dove nel 2006 la Food Standards Agency (FSA) ha caldamente raccomandato alle aziende di introdurre le etichette nutrizionali fronte-pacco per contrastare il progressivo aumento di peso della popolazione. Lo dimostra infatti uno studio condotto dagli economisti delle Università di Bath e Bristol, pubblicato sul Journal of Health Economics, dal quale emerge che i due tipi di etichette introdotti hanno contribuito a migliorare la qualità di ciò che si acquista al supermercato: si tratta cioè dell’etichetta a semaforo (traffic light labels) e di quella ibrida, che oltre alle indicazioni cromatiche, contengono anche la percentuale per i nutrienti presi in considerazione (sale, zuccheri, acidi grassi e acidi grassi saturi) rispetto alle dosi giornaliere raccomandate.
Infatti, analizzando i consumi si vede che, rispetto al biennio 2006-2007, periodo in cui diverse grandi catene di supermercati hanno recepito le indicazioni e introdotto le etichette nutrizionali a semaforo, i consumatori oggi acquistano ogni mese 588 calorie in meno provenienti da prodotti come pizze, primi piatti pronti, sandwich, carni panate e così via. I cittadini britannici poi comprano anche 14 grammi di grassi saturi, 7 grammi di zuccheri e 0,8 milligrammi di sodio in meno rispetto a prima. Inoltre, le etichette ibride sembrano essere più efficaci dei soli semafori.
Come sottolineano gli autori, da sola questa misura non è certo sufficiente, ma può comunque essere utile e, nel tempo, migliorare qualità e quantità delle informazioni a disposizione di chi fa acquisti, aiutando così a fare scelte più ragionate e sane.
Del resto, le etichette nutrizionali semplificate continuano a diffondersi e arrivano anche in Messico, paese con uno dei più alti tassi di obesità del mondo, che continua a cercare di introdurre normative per invertire la tendenza (come quella del divieto di junk food ai bambini appena introdotta dallo stato di Oaxaca).
Tra le iniziative già approvate c’è infatti l’obbligo di etichetta nutrizionale con indicazione dei rischi per la salute (warning labels) che dovrebbe entrare in vigore dal prossimo mese di ottobre. Ma, come racconta la Reuters riprendendo un rapporto dell’Organizzazione mondiale per il commercio (WTO), il paese sta facendo i conti con gli Stati Uniti, l’Unione Europea, la Svizzera e il Canada, dove hanno sede i principali produttori di junk food e bevande zuccherate. I quali, ciascuno con modalità proprie, sta cercando di osteggiare la nuova legge e chiedendo quantomeno un rinvio con la scusa del Covid-19 e con la motivazione che ci sarebbe troppo poco tempo per adeguare le filiere del packaging.
Il Messico è il primo consumatore dell’America Latina di alimenti trasformati e il quarto al mondo. La situazione è andata peggiorando a partire dai primi anni Novanta, quanto accordi commerciali con gli Stati Uniti e il Canada hanno reso la vendita di alimenti trasformati molto più facile: da allora è iniziata un’epidemia di obesità e diabete di cui non si vede la fine, mentre i grandi produttori hanno trovato un mercato cui, oggi, non vogliono rinunciare, neppure parzialmente. Da qui le azioni di lobbying.
Gli Stati Uniti, che formalmente appoggiano gli obiettivi messicani, hanno affermato, in sede di WTO, che le nuove etichette sarebbero “troppo severe” per gli scopi che il paese vuole raggiungere, e comunque più restrittive rispetto a simili leggi adottate da altri paesi. Per questo ci sarebbe bisogno di almeno due anni di tempo, per adeguare la produzione. La stessa dilazione è stata chiesta dall’Unione Europea, mentre il Canada si accontenterebbe – si fa per dire – di 12 mesi, e la Svizzera chiede solo un rinvio, senza fissare date specifiche.
Il Governo non ha ancora risposto ufficialmente, ma sembra intenzionato a resistere alle pressioni, anteponendo la salute dei cittadini agli interessi commerciali delle multinazionali e anche dei produttori locali di bibite dolci che, attraverso la loro associazione ConMexico, hanno espresso posizioni fortemente contrarie alle norme e chiesto anch’essi un rinvio con i soliti argomenti: le etichette confonderebbero i consumatori e non servirebbero a nulla.
Fonte schemi etichette: FSA; Etiquetados Claros di Alianza por la salud alimentaria
© Riproduzione riservata
Giornalista scientifica
“si tratta cioè dell’etichetta a semaforo (traffic light labels) e di quella ibrida, che oltre alle indicazioni cromatiche, contengono anche la percentuale per i nutrienti presi in considerazione”
Bene, quindi anche l’Inghilterra non accetta la rozza “etichetta semaforo”, che non dà affatto indicazioni complete, ma con pragmatismo britannico ne adotta una “ibrida”, che assominglia molto alla italiana “a batteria”, dalla quale si differnzia per una grafica più accattivante (a colori, invece del tutto azzurrino) che però cade sulla “porzione”, che non è di grande aiuto in quanto la stessa porzione la può comprare un uomo di 90 chili o una donna di 45.
Sarebbe ora che i nostri governanti si decidessero una buona volta ad adottare l’etichetta “a batteria” prima che l’Europa ci imponga lo stupidissimo semaforo, integrandola con una colorazione (quella sì) semaforica e imponendo un riferimento ai 100 grammi di prodotto, in modo che non siano possibili giochetti con le “porzioni” (decise magari dai produttori): se leggo 12 grammi di grasso su 100 grammi di peso so immediatamente che è il 12%, se leggo 7 grammi su una porzione da 45 a prima vista credo che ci sia meno grasso… mentre in realtà è il 15,5%.