È entrato in vigore il 31 gennaio 2021 il decreto che obbliga i produttori a indicare in etichetta la provenienza della materia prima per i salumi. Il Decreto interministeriale sulle Disposizioni per “l’indicazione obbligatoria del luogo di provenienza nell’etichetta delle carni suine trasformate” era stato prorogato di due mesi dal ministero dello Sviluppo economico. Adesso è pienamente in vigore anche se dà la possibilità di smaltire le vecchie etichette fino a esaurimento delle scorte.
L’arrivo dell’etichetta di origine per i salumi è molto importante, perché permette di conoscere l’origine della materia prima che, contrariamente a quanto molti consumatori pensano, in molti casi proviene dall’estero. Escludendo da questo discorso il prosciutto crudo di Parma e di San Daniele e altri salumi Dop che devono essere 100% made in Italy, le nuove etichette permetteranno di individuare i salumi ottenuti con materia prima di importazione, presenti in numero ragguardevole nei banchi frigorifero dei supermercati.
Il decreto prevede che sulle etichette degli alimenti trasformati a base di carni suine sia indicato il “Paese di nascita, quello di allevamento e quello di macellazione degli animali”. Nel caso in cui la carne provenga da maiali nati, allevati e macellati in un unico Paese, può essere usata l’indicazione “Origine: seguita dal nome della nazione”. Se il Paese in questione è l’Italia può essere utilizzata la dicitura “100% italiano”. Se invece la carne proviene da suini nati, allevati e macellati in uno o più stati europei o extra-europei, possono essere usate le diciture “Origine: UE”, “Origine: extra UE” oppure “Origine: Ue ed extra UE”.
L’etichettatura dei prodotti trasformati che contengono carne suina, va quindi ad aggiungersi ai provvedimenti che hanno reso obbligatoria l’indicazione della provenienza per il grano, la pasta, il riso, il pomodoro e il latte, la cui validità è stata recentemente prorogata fino al 31 dicembre 2021.
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[sostieni]
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
E quindi? e quindi non cambierà nulla, perchè il 99,99% dei produttori di salumi indicherà semplicemente Origine UE.
Al consumatore finale non arriverà nessuna informazione in più perchè, soprattutto per i salami, ma anche per i prosciutti cotti, difficilmente un produttore in fase di confezionamento si metterà a cambiare di volta in volta, a seconda del lotto di produzione, il paese di nascita, allevamento e macellazione della coscia o dei vari tagli di suino utilizzati in produzione.
Spesso poi i vari macelli o sezionatori non riportano nemmeno il paese di nascita di un suino, ma solo il paese di allevamento e macellazione.
E’ notizia di questa mattina del TG che la UE vuole etichettare salumi e vino con le indicazioni tipo il tabacco: “Nuoce alla salute”
Senza parole…
Beh, Le carni lavorate sono (da anni) ritenute possibili cancerogene e inserite dall’OMS nel gruppo 1 delle circa 115 sostanze che possono causare il cancro a pericolosità più alta, come il fumo, l’amianto, l’arsenico e il benzene.
Per non parlare delle varie patologie cardiovascolari.
Sulla base di evidenze scientifiche, l’OMS rimarca il legame causale tra il consumo di alcol e una serie di tumori, tra cui alcuni più comuni come il cancro al seno nelle donne e il cancro del colon-retto.
Per non parlare di alcolismo (anche lieve) e patologie varie ad esso legate.
Che poi ciò non si conosca o non si voglia accettare per abitudine o cultura è un’altra faccenda.
Che sia apposta la dicitura “Nuoce alla Salute” è solo informazione minima, altro sarebbe una campagna informativa reale tesa ad informare i consumatori ai rischi ai quali si espongono con determinati consumi alimentari, così da poterli adeguatamente gestire.
Ma si toccherebbero troppi interessi economici, per cui non se ne fa nulla se non il minimo di legge, appunto una dicitura in etichetta.
P.S. non sono assolutamente astemio
Anche l’acqua può provocare la morte, se se ne bevono almeno 5 litri in pochi minuti…
Provoca iperidratazione e grave iponatriemia che può condurre a coma e persino alla morte.
E’ la dose che fa il veleno (Paracelso)
Una domanda: è stato fissato un tempo per lo smaltimento delle vecchie etichette?
Preciso che oltre ai prodotti DOP, anche i prodotti IGP non sono sottoposti alla normativa di cui all’articolo.
Si perpetua quindi lo scandalo della MORTADELLA BOLOGNA IGP, la quale oltre ad essere prodotta in Veneto, Lombardia, Piemonte, Toscana, Marche, Lazio, Trento…..e anche Emilia-Romagna, pur non essendo nessun produttore a Bologna città, non specifica nel disciplinare la provenienza delle carni, ed infatti il prodotto è fabbricato prevalentemente con carni UE congelate.
Quindi, Mortadella BOLOGNA IGP (IGP?), prodotta ovunque, con carni qualsiasi, non indicate in etichetta.
Non è un caso che i presidenti dei consorzi del prosciutto di San Daniele e della Mortadella Bologna appartengano allo stesso gruppo industriale; credo che solo un giornalismo libero ed indipendente, come IL FATTO ALIMENTARE, possa mettere in evidenza, come già avvenuto per il San Daniele, le contraddizioni di norme che impattano sulla credibilità del sistema e sulle scelte consapevoli del consumatore
Evidentemente le caratteristiche della Bologna IGP non dipendono dall’origine della carne (che c’è di strano?) ma vengono conferite in altre fasi dell’elaborazione… Qual è lo “scandalo della mortadella Bologna IGP” che si sta perpetuando, nel momento in cui il disciplinare viene rispettato?
L’Igp è un marchio che viene attribuito dall’Unione Europea a quei prodotti (agricoli o alimentari) per i quali una particolare qualità, la reputazione o un’altra caratteristica dipendono dall’origine geografica, e la cui produzione, trasformazione e/o elaborazione avviene in un territorio specifico. Per ottenere il marchio, almeno una delle fasi di produzione deve essere effettuata nella zona in questione (art. 5 del Regolamento UE nr. 1151/2012).
Il consumatore, quando vede un prodotto contrassegnato IGP, capirà subito che quel tale alimento ha un legame speciale con il territorio di appartenenza. Per vari motivi.
Per ottenere la IGP infatti, almeno una fase della produzione deve avvenire in una particolare area.
Non solo: anche i prodotti IGP devono rispettare un rigido disciplinare di produzione e sottoporsi ai controlli degli enti specializzati per potersi fregiare del riconoscimento. Spesso i prodotti anche in questo caso sono tutelati dai consorzi, come nelle Dop
Ora Alessandro spieghi, se vuole, quale Azienda produttrice di mortadella effettua fasi di produzione a BOLOGNA, e quale attinenza geografica ha il marchio con la reale zona di produzione.
Infine, è nello spirito della legge sulla etichettatura presumere che le materie prime di un prodotto DOP o IGP siano originarie della zona di produzione, mentre per le mortadelle non è proprio così.
In conclusione, tutto questo è orientato dalle grandi industrie, che cercano esclusivamente di piegare le regole al proprio tornaconto/profitto
Risponderò utilizzando per lo più le sue parole, virgolettate. Perchè dovrebbero effettuare necessariamente “fasi di produzione a Bologna” se questo non è previsto dal disciplinare? Se ha letto il disciplinare, come credo, sa, di conseguenza, quale sia la fase che determina il legame con il territorio e quindi sa che l’origine della carne non c’entra. Quindi a che scopo far intendere il contrario? Ritiene non corretto che al prodotto sia stato conferito il marchio IGP o ritiene che le aziende non operino rispettando il “rigido disciplinare di produzione” e non vengano sottoposte “ai controlli degli enti specializzati per potersi fregiare del riconoscimento”?
Inoltre, che sia “nello spirito della legge sull’etichettatura presumere che le materie prime di un prodotto DOP o IGP siano originarie della zona di produzione” è solo una sua deduzione dal momento che, come ha ricordato nel post precedente: 1) “anche i prodotti IGP non sono sottoposti alla normativa di cui all’articolo” (quindi per logica non può essere “nello spirito della legge”, semmai è un suo auspicio su come avrebbe dovuto essere la legge) e 2) “per ottenere la IGP infatti, almeno una fase della produzione deve avvenire in una particolare area” che non significa che la materie prime debbano avere origine in quella particolare area.
Rispetto la sua difesa ad oltranza della mortadella Bologna Igp, mi permetto però di osservare che il consumatore medio, che a differenza di lei non conosce a menadito il disciplinare, immagina che mortadella Bologna IGP abbia qualche attinenza, appunto, con Bologna, così come suppone che il prosciutto San Daniele sia non casualmente prodotto in Friuli.
Non è così, Bologna non è un luogo di produzione, la carne non è italiana, ovviamente nulla di illecito, ma sicuramente poco di trasparente…….e certamente la lobby dei produttori è felice.
Buon lavoro
Nessuna difesa ad oltranza di un prodotto che nemmeno consumo: quello che invece difendo è la logica, facendoLe notare le sue contraddizioni. Far notare queste sue contraddizioni rende anche un servizio a chi, tra i lettori non conosce questi aspetti. Invece, voler far intendere, come ha fatto Lei che 1) IGP = materie prime legate al territorio, 2) conseguenza della fallacia del punto 1, che nessuna azienda rispetti il disciplinare, oltre a non essere accettabile, contribuisce a generare confusione e fornire false informazioni a chi l’argomento non lo conosce.
Non serve conoscere il disciplinare a menadito, io l’ho letto per poter rispondere con cognizione di causa alle sue errate osservazioni. IGP è un marchio che esiste da 30 anni: un consumatore attento/interessato a questi aspetti ne conosce il significato, un consumatore non attento/non interessato a questi aspetti, se non lo conosce non può dirsi ingannato, per due motivi: il primo è che l’ignoranza non è mai una scusa, il secondo è che, se per l’appunto non è attento/interessato a questi aspetti significa che per lui non sono determinanti per l’acquisto.
Rispetto, pur non condividendole, le sue opinioni.
Mi permetto, a conclusione della mia partecipazione dilettantesca a questo interessante dibattito, alcune precisazioni e considerazioni:
1 – non ho mai sostenuto che le aziende non rispettano il disciplinare, sono anzi certo che, avendolo suggerito ed essendo un loro patrimonio, tutti lo rispettino.
2 – contesto che, là dove il disciplinare non indichi e verifichi la provenienza delle carni, il legislatore consenta che questa informazione non sia riportata in etichetta, a tutto vantaggio dei produttori e non dei consumatori.
3 – mi chiedo, e mi ripeto, cosa significhi INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA MORTADELLA BOLOGNA, se poi BOLOGNA non ha alcuna attinenza; lo dice il disciplinare, ma mi pare in evidente contrasto con ogni logica…..ma forse sono io che non capisco.
Buona continuazione, a Lei ed al consorzio.
1) nulla da dire;
2) lo avevo capito e infatti la sua posizione è legittima. Se legge infatti, le contestavo altro;
3) Se chiede il mio parere, trovo che DOP e IGP siano essenzialmente marchi “commerciali” che utilizzano il pretesto del legame con il territorio per qualificarsi ulteriormente agli occhi del consumatore. Se si guarda un po’ i disciplinari delle varie DOP e IGP vedrà che, salvo poche eccezioni, i territori di riferimento, sono ben più ampi rispetto alla denominazione: d’altra parte, più sono i produttori, più sono i guadagni. Se questo fa sì che comunque le caratteristiche di “tipicità” del prodotto vengano mantenute, tanto meglio sia per chi compra che per chi vende. D’altra parte è così impossibile pensare che un prodotto che inizialmente era considerato tipico solo di una certa zona si scopra poi realizzabile con medesime caratteristiche anche a distanza di decine o centinaia di chilometri? Ed è davvero necessario a quel punto cambiarne la denominazione, facendo perdere a quel prodotto la sua “riconoscibilità”, per una sola questione di principio?
Diverso è invece se questo “allargamento” comporta anche il venir meno delle caratteristiche tipiche, ma in questo caso sarebbe tutto nell’interesse del Consorzio di riferimento far in modo che il prodotto non perda la sua tipicità…ammesso che i consumatori se ne accorgano…