I grandi venditori on line di prodotti alimentari hanno le stesse responsabilità di una catena di supemercati? La domanda è lecita dopo i tragici fatti di Barletta dove è stato venduto per errore nitrato al posto di sorbitolo che è pur sempre uno zucchero usato spesso nei prodotti alimentari.
Nell’ambito delle vendite di alimenti ed integratori on line si registra una significativa differenza tra la percezione dei consumatori e le modalità degli operatori internazionali. Comprare su un grande sito di e-commerce come Amazon, che offre decine di migliaia di alimenti o di integratori, può dare la sensazione a molti utenti di acquistare come si fa in un supermercato Tesco in Inghilterra, Walmart negli USA oppure Coop, Conad o Esselunga in Italia. La gente si aspetta un servizio, un’attenzione e soprattutto controlli simili a quelli che vengono fatti dalle grandi catene (anche se in Italia il sito amazon.it non offre ancora alimenti o integratori).
Con ogni probabilità il consumatore si rende conto che acquistare da un individuo su eBay è diverso dal rivolgersi a un sito di e-commerce con sede in un paese esotico. D’altro canto i vantaggi di comprare in rete sono chiari: prezzi migliori, scelta più ampia, possibilità di ripensamento. Anche per le aziende produttrici di alimenti ed integratori alimentari i vantaggi sono evidenti.
In realtà, i principali siti di e-commerce italiani seguoni regole molto simili a quelle delle catene di supermercati per quanto riguarda la sicurezza alimentare; vogliono una qualificazione dei fornitori e sono attenti a non diffondere messaggi pubblicitari ingannevoli. Al contrario, Amazon, come del resto Google Products, ritengono di non essere un supermercato, ma un “centro commerciale” (marketplace) in cui i singoli esercenti, aprono dei negozi e vendono i loro prodotti e quindi non si sentono direttamente responsabili di cosa viene venduto.
In pratica Amazon facilita una transazione, ma non si ritiene un operatore del settore alimentare, anche se fa qualcosa di più di un “centro commerciale” perché cataloga, immagazzina, consegna e ritira il denaro dai clienti. Insomma il grande operatore del commercio internazionale non controlla se il prodotto è sicuro, se la pubblicità è permessa, se l’etichetta è conforme o se il prodotto deve essere ritirato del commercio. Per questo motivo sulle versioni del sito inglese, tedesco e francese, si sono trovati integratori alimentari con sostanze vietate persino negli USA (efedrina), o dopanti (DHEA). Il vero responsabile della furberia secondo questi operatori, può essere un’azienda minuscola del Nevada che magari ha una sede fittizia in Europa.
In nome del commercio semplice e globalizzato, si impone al consumatore di rinunciare agli standard di sicurezza che contraddistinguono la vendita tradizionale nei negozi e nella grande distribuzione.
La Commissione europea e le autorità italiane sono consapevoli del problema. Siamo in una situazione da Far West che danneggia gli operatori europei più seri che seguono le regole.
Delude la presenza di Stati come la Slovenia, che ritengono vendibili ai consumatori italiani prodotti considerati pericolosi e assolutamente vietati per i cittadini sloveni. Si tratta probabilmente di incertezze dovute all’emergere di un nuovo settore che le autorità devono ancora monitorare. Una maggiore confidenza va trovata rapidamente perché i consumatori si spostano sempre di più verso gli acquisti on line e le inside di un mercato senza regole non aiuta certo i cittadini.
Luca Bucchini
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