Cook woman washes an apple under running water from a water tap.

Le normali pratiche di lavaggio della buccia non garantiscono una riduzione della concentrazione di pesticidi sufficiente, almeno nelle mele. Anzi, residui di alcuni dei composti più utilizzati si ritrovano quasi sempre anche negli strati più superficiali della polpa. Sarebbe quindi opportuno intervenire su quantità e modalità di utilizzo dei fitofarmaci sui frutti, e fornire ai consumatori consigli adeguati affinché tutti evitino di assumere i pesticidi insieme alla frutta. 

La conferma giunge da uno studio pubblicato su Nano Letters, nel quale si propone una nuova tecnica per l’identificazione e la quantificazione dei residui di pesticidi, nel quale si mostra come i fitofarmaci non vengano dilavati integralmente dalle bucce delle mele tramite un semplice risciacquo e, anche qualora lo fossero, si ritrovano comunque in piccole quantità nella polpa.

Il nuovo metodo di rilevazione

I ricercatori di alcune università cinesi hanno infatti trovato il modo di rilevare le due molecole con un metodo non invasivo e relativamente semplice da utilizzare: un tipo specifico di spettroscopia al laser (spettroscopia Raman amplificata da superfici). Il concetto di base è quello di creare un idrogel di cellulosa che forma una pellicola trasparente, flessibile e rugosa. Si immerge poi la pellicola in una soluzione di nitrato d’argento per rivestire i solchi di nanoparticelle di argento. Una volta distesa sulla buccia, la pellicola vi aderisce perfettamente, e senza alterare il frutto.

A quel punto, si passa sotto il laser la mela (in questo caso) “ricoperta”, e proprio grazie al rivestimento e alle sue particolari rugosità, modificate dal contatto con il pesticida, si ottiene un’immagine diversa a seconda del tipo e di quantità di molecola presente: una sorta di firma, che permette di rilevare quantità molto piccole di fitofarmaci.

Mele gialle, rosse e verdi su un tavolo di legno
I ricercatori hanno sviluppato una nuova tecnica non invasiva per rilevare i pesticidi su frutta e verdura

Residui di pesticidi sulle mele anche dopo il lavaggio

Per testare l’efficacia della tecnica, gli scienziati hanno usato due dei prodotti più vecchi usati come fungicidi, il carbendazim, vietato in Europa ma legale in molti Paesi, e il tiram, approvato per la prima volta nel 1948. Nel test effettuato i ricercatori hanno spruzzato i due fungicidi, da soli o insieme, sulla superficie di alcune mele e poi le hanno sottoposte a un lavaggio identico a quello che si può fare normalmente in casa. Si è visto, quindi, che entrambi erano presenti, sia pure in piccole quantità, tanto sulla buccia che nella parte più esterna della polpa anche dopo il lavaggio (il raggio laser raggiunge i primi 30 micrometri della polpa).

Con le opportune modifiche, un sistema di questo tipo potrebbe essere utilizzato anche su altri frutti a buccia quali i meloni, così come nei cereali (per esempio nel riso), o in animali allevati come i gamberi, il cui carapace potrebbe concentrare farmaci utilizzati nell’acquacoltura. Una volta standardizzato il metodo di produzione delle diverse pellicole – concludono gli autori – questo tipo di test potrebbe essere alla portata di molti produttori, anche perché è economico e di facile utilizzo (a patto di disporre di un sistema di spettroscopia al laser).

© Riproduzione riservata Foto: AdobeStock, Depositphotos

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Maria
Maria
11 Settembre 2024 10:29

Gentilissima, pur apprezzando molto il vostro lavoro devo rilevare che molto spesso citate ricerche che si riferiscono a realtà diverse da quella italiana. Va bene quello che hanno trovato i ricercatori cinesi sulle mele, presumo cinesi. Il problema è quello che c’è sulle mele, e in generale sulla frutta, venduta in Italia. E soprattutto se vengono superati i limiti di tolleranza stabiliti per legge. Grazie per l’attenzione

Diego Martelletto
Diego Martelletto
11 Settembre 2024 12:37

Grazie Agnese per questi interessanti articoli sempre aggiornati!
Quindi in estrema sintesi potremmo dire che lo sbucciare le mele prima di mangiarle rimane una buona pratica di prevenzione?
Grazie ancora e buon lavoro

luigiR
luigiR
Reply to  Diego Martelletto
12 Settembre 2024 15:45

quelle bio non c’è bisogno di sbucciarle, ma solo di lavarle.

Roberto Pinton
Roberto Pinton
11 Settembre 2024 19:30

Che il rischio di ingestione di pesticidi dalla frutta non possa essere evitato con il semplice lavaggio è un fatto noto e incontestato.

Il lavaggio può essere utile per eliminare i fitosanitari che agiscono per contatto (per esempio il solfato di rame), ma è del tutto inutile per quelli a effetto sistemico, che sono la quasi totalità.

Le sostanze a effetto sistemico sono trasportate dal sistema di circolazione della pianta per arrivare alle diverse parti (fusto, foglie, fiori, frutti).

Il carbendazim analizzato dalla ricerca è un fungicida ad ampio spettro che si caratterizza proprio per l’effetto sistemico: è evidente che nemmeno il più accurato lavaggio della superficie del frutto potrà eliminare i residui presenti nella polpa.

Se ci spalmiamo una pomata sul braccio (effetto per contatto) un accurato lavaggio con acqua e sapone ne eliminerà la tracce, ma se ci iniettiamo una sostanza che è quindi all’interno del nostro organismo (effetto sistemico), nemmeno il più energico strofinamento della pelle servirà a eliminarla.

Col lavaggio si eliminano polvere e sporcizia, ma non i residui di fitosanitari.

Se l’etichetta della stessa amuchina (che qualcuno si ostina ad aggiungere all’acqua per il lavaggio di frutta e verdura) indica con chiarezza “L’azione del prodotto è limitata al rischio infettivo, non protegge da inquinanti di tipo chimico”, è facile immaginare quanti residui sia un grado di eliminare l’acqua da sola (o anche con aggiunta di succo di limone, aceto, bicarbonato o sale).

Luigi
Luigi
24 Settembre 2024 11:40

Sbucciare le mele è un’arte che si è ormai perduta.

giova
giova
Reply to  Luigi
1 Ottobre 2024 13:59

Con il pelapatate risolvi il problema, e in più porti via parte della polpa vicino alla buccia

Giovanni Natale
Giovanni Natale
1 Ottobre 2024 11:43

Da venti anni consumo solo mele bio della piccola distribuzione.Sarebbe ora lo facessero tutti, lasciando sui banchi dei supermercati le mele trentine e altoatesine, se non provengono da agricoltura bio.

Claudia carlin
Claudia carlin
Reply to  Giovanni Natale
1 Ottobre 2024 13:25

Sono pienamente d’accordo

giova
giova
Reply to  Giovanni Natale
1 Ottobre 2024 14:00

E’ una scelta saggia, da estendere agli altri frutti

giova
giova
1 Ottobre 2024 13:55

Estremamente interessante da diversi punti di vista.
La conclusione si protende verso un futuro dove il produttore si fa carico del controllo di qualità a 360° e dove, eventualmente, i problemi potrebbero nascere dalle limitazioni e dai costi (anche gestionali) della spettroscopia. Perchè i piccoli produttori sarebbero costretti a far consorzio o rivolgersi a catene di vendita attrezzate per il controllo, come fanno già Coop e Esselunga.
Ma non finisce qui: se la prospettiva è la realizzazione di matrici filmiche dedicate per ogni frutto/ortaggio/cereale il passo avanti sarà notevole, al punto che potrebbe essere una piccola rivoluzione nel mondo del controllo di qualità.
Lo studio ci conferma anche, implicitamente, e portando sconforto, quanto sia ammantato di esoterismo l’atto del lavaggio di una mela sotto l’acqua, nel momento in cui rileva che ANCHE LA POLPA in prossimità della buccia è intrisa di farmaci.
C’è da augurarsi presto una revisione della qualità della frutta distribuita nelle scuole – poche per sfortuna ma qui verrebbe da affermare per fortuna – scegliendo subito l’opzione biologica.

Maria Rita
Maria Rita
1 Ottobre 2024 17:57

Cosa ci rimane da fare? Laddove possibile può essere sufficiente togliere la buccia?