![insalata lavare acqua del rubinetto verdura](https://ilfattoalimentare.it/wp-content/uploads/2017/12/acqua-del-rubinetto-lavare-verdura-insalata-Fotolia_130696159_Subscription_Monthly_M.jpg)
La continua propaganda cinese e, soprattutto, la dichiarazione della missione Oms andata in Cina per indagare sull’origine del salto di specie e per approfondire le possibili responsabilità del cibo nella pandemia di Covid-19, hanno spinto due agenzie europee per la sicurezza alimentare, quella tedesca (il BfR) e quella francese (Anses), a esprimersi di nuovo sul tema, con iniziative molto diverse.
Il Bfr ha pubblicato una lista di FAQ mirata soprattutto a rispondere ai dubbi dei consumatori, mentre l’Anses ha lanciato un progetto di ricerca specifico. Ecco una sintesi delle domande e delle relative risposte del BfR:
È possibile infettarsi attraverso gli oggetti o il cibo? Al momento non c’è nessuna prova di questo, anche se non si può escludere a priori.
Ci si può infettare toccando oggetti o imballaggi di alimenti contaminati? Il coronavirus può depositarsi sugli oggetti quando una persona infetta emette droplets o aerosol, ma resta vitale solo per breve tempo. Non ci sono prove che sia mai avvenuto un contagio attraverso questa via. Restano valide le generali misure igieniche preventive.
![Hygienic precautions. Worker in restaurant kitchen cleaning down after service. Selective focus on his hand](https://ilfattoalimentare.it/wp-content/uploads/2020/11/cucina-igiene-pulizia-ristorante-cuoco-AdobeStock_260032219-1024x683.jpeg)
Il coronavirus rimane infettivo sulle superfici solide, secche, al di fuori di organismi umani o animali? La stabilità di questi virus dipende da molti fattori quali l’umidità e la temperatura dell’aria, il tipo di superficie e così via. Di solito non sono molto stabili al di fuori degli organismi, e possono rimanere tali per un periodo di tempo che va da qualche ora a un paio di giorni al massimo. In base a uno studio americano può restare vivo fino a tre ore se in aerosol, fino a quattro sul rame, fino a 24 sul cartone e fino a 2-3 giorni su plastica o acciaio, se c’è stata una contaminazione molto estesa. Secondo un altro studio, questa volta australiano, se la temperatura è mantenuta a 20°C il virus resiste fino a 28 giorni su vetro, plastica, acciaio e carta. Infine, dati non pubblicati indicano che possa continuare a essere infettivo, se mantenuto a 30°C, per diversi giorni, ma anche che perda tale capacità entro un’ora, se l’umidità scende.
Tutto ciò suggerisce che questo virus sia molto meno stabile di altri patogeni e sensibile alle variazioni ambientali; questi dati sono stati ottenuti in laboratorio, in condizioni ideali piuttosto lontane dalla realtà, e hanno mostrato una forte suscettibilità alle variazioni dei fattori ambientali.
I prodotti importati dalle zone dove c’è una grande circolazione del virus sono pericolosi? In base agli attuali metodi di indagine, è estremamente improbabile. I prodotti confezionati in condizioni igieniche discutibili possono recare tracce del virus, ma non è mai stata dimostrata un’infezione originata in questo modo.
I lavoratori della filiera, compresi i magazzinieri, possono infettarsi? È molto improbabile, proprio per la scarsa stabilità del virus.
![](https://ilfattoalimentare.it/wp-content/uploads/2013/10/ristorante-posate-109155873.jpg)
Il Sars-CoV-2 può essere trasmesso attraverso le stoviglie (piatti, posate, bicchieri e così via) dei ristoranti e degli altri locali pubblici? Le stoviglie possono essere contaminate se una persona malata, per esempio con un colpo di tosse, emette droplets o aerosol che vi si depositano sopra. Finora, però, non è mai dimostrato un contagio di questo tipo.
Il Sars-CoV-2 è inattivato dal lavaggio a mano o in lavastoviglie? Non ci sono studi specifici, ma i detergenti – soprattutto, ma non solo, se usati a 60°C e più – disgregano l’involucro esterno del virus, costituito da grassi. È quindi molto probabile che lo distruggano.
Il Sars-CoV 2 può essere trasmesso attraverso i prodotti da forno, la frutta e la verdura, la carne, il latte o i prodotti surgelati? Non è mai stato dimostrato che possa accadere. Anche se si deposita, Sars-CoV-2 ha bisogno di un organismo vivente per potersi riprodurre. Quindi, l’unica possibilità di contaminazione si determina quando una persona tocca l’oggetto immediatamente dopo che vi si è depositato il virus, e subito si tocca gli occhi, il naso o la bocca. Finora, non c’è alcuna prova di infezioni avvenute attraverso la catena alimentare.
![Butcher group and friends works in a slaughterhouse and cuts raw beef](https://ilfattoalimentare.it/wp-content/uploads/2020/05/macello-macellazione-macellaio-carne-bovina-AdobeStock_216943991-1024x683.jpeg)
L’Anses, invece, ha presentato il progetto chiamato SACADA (Transmission de SARS-CoV-2 dans les ateliers préparant des denrées alimentaires – focus sur les ateliers de transformation des viandes), volto a rispondere in modo chiaro ad alcune di domande. In particolare, l’attenzione è concentrata sul comparto delle carni, visto che temperatura, persistenza in luoghi chiusi, ricorso a manodopera illegale e altre caratteristiche del settore hanno fatto sì che scoppiassero numerosi focolai di Covid-19 in macelli e stabilimenti di lavorazione in vari Paesi. È a questi episodi che le autorità cinesi fanno riferimento per attribuire le responsabilità principali dell’origine della pandemia.
SACADA sarà condotto in collaborazione con l’istituto Pasteur e con l’Agenzia nazionale delle ricerche, l’Inra, Santé publique France, le Scuole di veterinaria di Alfort e Nantes. Una parte degli studi dovrà dimostrare se e come avviene la trasmissione dalle superfici, con tutti i dettagli del caso, con test in proprio e tenendo conto di quanto già stato pubblicato sull’argomento. Un’altra parte dovrà servire a realizzare modelli dinamici da impiegare nella progettazione di spazi di lavoro a prova di Covid-19, che tengano conto tanto della sicurezza alimentare quanto di quella dei lavoratori.
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Giornalista scientifica