Il cambiamento è avvenuto perché La Cerveceria Modelo è ora del colosso statunitense-sudamericano Anheuser-Busch Inbev (che per ragioni fiscali ha sede legale in Belgio). Si tratta di una multinazionale che copre il 30% del mercato mondiale delle birre con 500 etichette fra cui: Bud®, Stella Artois® e Corona®. Il risultato è che il marchio per decenni sinonimo di ‘birra messicana’ ha cambiato continente trasferendosi in Cina e in Europa. La scelta di spostare la produzione in Cina o in Europa risponde a logiche economiche — riduzione dei costi e ottimizzazione logistica — ma cambia radicalmente il senso del marchio. Adesso Corona è una birra che di messicano ha solo il nome.
La Corona Extra rimane ancora un marchio forte, riconoscibilissimo, con un immaginario che va oltre la semplice birra. Per i consumatori italiani la bottiglia di Corona evoca il sole, la sabbia, il lime inserito nel collo, il Messico e una sensazione di esotico. D’altro canto le descrizioni sui siti di supermercati e piattaforme online continuano a presentarla come “la birra messicana più famosa al mondo”. Nonostante il cambiamento di origine, il marketing e la pubblicità continuano a evocare spiagge oceaniche e il consumatore continua a pagare un prezzo spropositato.

Identità messicana, origine cinese
Quando la birra arrivava dal Messico, il prezzo poteva essere giustificato da trasporto, dazi e importazione. Oggi che è prodotta in Cina o in Europa il prezzo è invariato. Il marchio continua a sfruttare l’identità messicana, mentre la filiera produttiva è diventata globale. In questo contesto, è giusto chiedere trasparenza e coerenza: il consumatore deve sapere da dove arriva ciò che acquista, non solo cosa gli viene raccontato. Un litro di Corona Extra costa quasi il doppio rispetto alla Menabrea o alla Moretti pur avendo analoghe caratteristiche merceologiche.
Questa discrepanza tra realtà produttiva e messaggio promozionale solleva dubbi di trasparenza e potrebbe configurare una pratica commerciale ingannevole, in violazione del Regolamento UE 1169/2011 e del Codice del Consumo (D.lgs. 206/2005). Per questi motivi abbiamo mandato un esposto all’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria e all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. La trasparenza sull’origine reale e la coerenza tra pubblicità e filiera sono elementi essenziali di correttezza commerciale. Finché non verranno rispettati, resta la sensazione di pagare più il racconto che la birra.
© Riproduzione riservata Foto: inviate dal lettore, Corona via Instagram





questi sono i servizi che un lettore si aspetta da voi
Sono astemia e, quindi, ignorante in materia, però mi viene un dubbio.
Le birre sono fatte a partire da malto d’orzo, luppoli e altre piante che vengono coltivate in giro per il mondo, ognuna con le sue caratteristiche (sapore, aroma, colore ecc.).
Immagino, quindi, che una birra messicana sia prodotta utilizzando orzo e luppoli messicani, i quali, dal punto di vista organolettico, sono diversi da orzo e luppoli europei e asiastici.
Se tutto questo è vero, allora abbiamo tre casi: 1) le nuove Corona hanno un gusto diverso, 2) mantengono il gusto importando orzo e luppoli dal Messico, 3) forzano il gusto usando aromi più o meno artificiali.
Il caso 1 mi sembra un rischio, perché gli acquirenti potrebbero non apprezzare il nuovo gusto e l’azienda perderebbe i clienti
Il caso 2 mi fa pensare che risparmiano da una parte per spendere dall’altra, perché orzo e luppoli vanno importati
Il caso 3 mi suggerisce che gli ingredienti di origine non hanno valore nella ricetta e, quindi, il luogo di produzione non ha davvero importanza.
Dato tutto questo ragionamento, mi chiedo quale scelta sia stata seguita dalla multinazionale.
Abbiamo chiesto a Corona lumi sulla scelta di vendere birra messicana prodotta in Cina ma non abbiamo avuto fortuna. È del tutto lecito chiedersi se le materie prime siano messicane o cinesi.Sicuramente l’acqua è cinese. Se Corona ci aggiorna la informeremo
@Samantha, il caso 3 e’ quello giusto…
O meglio quello che si avvicina di piu
alla realta, perlomeno per i marchi industriali di birra.Standardizzare parametri quali: composizione dell’acqua, dei luppoli e dell’orzo (gli ultimi due anche facilmente importabili e trasportabili, soprattutto il luppolo) in modo da rendere il risultato finale indistinguibile dovunque sia stata prodotta la birra e’ uno scherzetto per questi colossi.
Pensate che buona parte della Guinness distribuita nel mondo (non in Irlanda!) proviene da uno stabilimento in Nigeria
Gentilissimo,
a noi risulta che tutta la birra Guinness distribuita in Europa sia prodotta in Irlanda. Solo uno dei prodotti, la Malta Guinness, una bevanda dolce analcolica è prodotta in Nigeria ma non è importata in Europa. Certo la Guinness fa parte della multinazionale britannica Diageo plc che ha stabilimenti in tutto il mondo.
Ho letto l’articolo, e confermo l’origine cinese della Birra Corona. Come distributore del Veneto abbiamo ricevuto un camion Tir di birra Corona dalla AB INBEV, ma nessuno ci ha avvertito della novità e l’abbiamo pagata il solito prezzo di quando era veramente messicana. Vi invio l’etichetta
C’è di peggio: oggi ho trovato un dentifricio, il Pepsodent della Unilever, prodotto in Vietnam ma con tutte le diciture di legge in italiano, compreso il dettaglio dello smaltimento della confezione.
Una volta si doveva stare attenti alle imitazioni, oggi ai produttori stessi con l’unica variabile che, forse, i prodotti di Unilever sono meno pericolosi per la salue di quelli copiati. Forse….
dato che è fatto in vietnam la multinazionale è UNILEVEL !!!
La Unilever è in tutto il Mondo,e ha distrutto Sumatra,per le sue Industrie.
d’altra parte molte birre sono prodotte, per altri marchi, dalla Peroni, anche birre cinesi
La Peroni fa parte del gruppo Asahi Breweries, Ltd.
Io capisco che l’alimentazione sia un argomento divisivo, come tanti altri , ma ciò che non capisco é il seguitare a disquisire sugli aspetti marginali, quando, per quanto concerne gli alimenti, dovremmo batterci tutti sulla loro veneficità per la salute pubblica. Ci sono migliaia di patologie incurabili, milioni di morti all’anno, milioni di interventi chirurgici, costi stratosferici sulla sanità di tutti i paesi, ma non sento nessuna autorità sanitaria e/o civile, chiedersi come non si modifichi in senso della salute tutte le culture del gozzoviglio che portano anzitempo le persone dal medico, in ospedale e al camposanto. L’alcol è uno dei veleni peggiori. Un fegato sano riesce a tollerare 50/60 grammi di alcol al giorno, (meno di mezzo bicchiere) ma ad essi bisogna sommare i grassi saturi, i trangenici , i bicchierini di superalcolici e gli zuccheri semplici. E’ un bombardamento continuo che il nostro prezioso organo sopporta male per alcuni anni, ma poi si ribella con la steatosi epatica, con la cirrosi, con il cancro. Anche chi pensa di alimentarsi bene, corre il pericolo di intasare questa preziosa ghiandola che sovraintende a numerosi processi vitali per la nostra salute. La stampa più sensibile ( come voi), dovrebbe attivarsi per un’informazione precisa, costante e critica , non verso le cose di poco conto, ma sul nocciolo dei problemi che investono la godibilità di una vita in salute.
Non credo sia un problema irrisolvibile per una medicina “d’eccellenza” e sul mio futuro saggio,(che pochi leggeranno) cercherò ancora di allertare la gente sul pericolo di una alimentazione spazzatura, ipercalorica, grassa e zuccherata, propedeutica per tutte le patologie conosciute e “trattata” per non guarire con altre molecole venefiche (farmaci) che fanno il resto del danno. Vedo amici, parenti e conoscenti morire ancor giovani senza che si erga una voce contraria all’approccio medico che anzi viene incensato! A quando la sveglia?
Finché c’è gente che crede alle favole non credo che i brand che fanno il maggior fatturato abbiano problemi a raccontare ai consumatori le loro! Credere di avere un tocco di Messico in mano perché si beve dal collo della bottiglia (tipico da americano) dopo aver spinto lo spicchio di limone giù per il collo della bottiglia… … perché si fa così in Mexico…
A questo punto è giusto che chi crede alle favole paghi il suo attimo di mexican dream il doppio se non di più: l’effetto qualità della bevanda è dato più dall’illusione che dal prodotto.
“effetto qualità della bevanda è dato più dall’illusione che dal prodotto”
Nel mondo dei VINI questo effetto è ancora più evidente
http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/06/28/neurogastronomia-il-vino-costoso-e-piu-buono/
Bevete la birra italiana che con tutta la birra prodotta in Italia non ne siamo carenti.
Meno male che ho smesso di bere qualunque tipo di alcolici compreso la birra
Non lo sapevo nemmeno lontanamente, dato che non bevo più alcolici,se non raramente in occasioni particolari, ma della Corona che viene prodotta in Cina adesso non ne sapevo nulla, se trovo una bottiglia gli faccio una foto e ve la mando oppure vedo se è fatta in altre Nazioni. A proposito di Esselunga si sa dell’indagine che ha portato sotto inchiesta anche la catena dei supermercati oltre che della grande moda e i brand internazionali, che avevano appalti con piccole imprese in subappalto in cooperative dove lo sfruttamento era normalità per evadere gli extra-profitti che poi giravano in acquisti per le loro attività, uno scandalo che sta coinvolgendo i grandi marchi di della grande distribuzione e della moda,con un giro di milioni di euro.
Anche la birra made in Cina, da male in peggio
Ci martellano con la CO2, poi beviamo birra arrivata da un altro continente. Ne varrebbe ogni tanto la pena se avesse un gusto legato a clima e risorse di un certo luogo, ma è vero che il grosso degli umani non ha le papille gustative efficientissime che crede di avere
Probabilmente qualcuno avrà visto gli spot della birra Kozel (“C’è un villaggio dentro”, https://www.youtube.com/watch?v=7dFj66woGII) in cui a causa della sospensione della corrente, un intero villaggio si precipita in bicicletta al birrificio per passare su generatori di corrente a pedali, consentendo così di non fermare la produzione.
Marchio, aspetto degli interpreti, architettura del villaggio, insegna del birrificio (Velkopopovicky Pivovar 1874) presentano con tutta evidenza un contesto mitelleuropeo.
La birra (almeno quella presentata in Italia) è invece prodotta da Peroni nello stabilimento nella zona industriale di Padova (tra via Prima Strada e via dell’industria) che produce, tra numerose altre, anche le birre Asahi Super Dry, Saint Benoit Ambree, Saint Benoit Supreme, Saint Benoit Tripel, Raffo, Pferden, London Pride e Golden Pride.
Niente Kozel (caprone), niente birrificio dal 1874, niente villaggio ceco, ma anche niente abbazie belghe (Saint Benoit), niente Londra (London Pride e Golden Pride), niente spirito moderno del Giappone (Asahi Super Dry) e proprio niente di “decisamente pugliese (Raffo).
giusta segnalazione. sperando che davvero abbia un seguito
La Nike è un’azienda Americana ma produce in Asia. Dolce e Gabbana ha anche produzioni in Asia. Fiat ha sede in Olanda.. la lista sarebbe infinita. Quello che Corona fa è garantire la qualita’ della birra, come se fosse prodotta in Messico. Anzi, fun fact! Corona cina è stata eletta come miglior qualita’ di Corona!
La vicenda non è questa. La Corona costa molto di più delle altre birre perché arriva dal Messico e la gente la sceglie anche per questo motivo e perché il marketing ha usato questo elemento come valore aggiunto. Adesso che viene prodotta in Cina, il costrutto del marketing è venuto meno ma non il prezzo.