Come sono cambiati gli acquisti, i comportamenti e gli stati d’animo degli italiani durante la quarantena? Lo ha chiesto a un campione di 1.000 italiani Nomisma, società di ricerche di mercato, che in collaborazione con CRIF, ha avviato l’Osservatorio “Lockdown. Come e perché sta cambiando le nostre vite”, un’indagine che per almeno 12 settimane terrà monitorata la situazione nazionale.
In generale si registra un diffuso e condiviso peggioramento della condizione psicologica e fisica, così come per quella economica, ma almeno il 74% degli italiani ritiene giusto il lockdown e apprezza le misure adottate dalle istituzioni.
Sul piano dell’alimentazione com’è cambiato il carrello della spesa? Complici diversi fattori (aumento del tempo e delle occasioni per preparare il cibo a casa e l’offerta dei prodotti sugli scaffali) le abitudini gastronomiche delle famiglie si sono modificate.
Si è registrato un aumento (40%) di acquisiti di “ingredienti”, il più noto quello di farine e lieviti che in molti punti vendita ancora scarseggiano. In ascesa anche i prodotti a lunga conservazione, i surgelati, i multipack e i prodotti pronti. Se si volesse vedere un effetto positivo che l’emergenza coronavirus ha generato è la valorizzazione di alcuni requisiti di qualità. In particolare c’è stata una riscoperta per gli alimenti locali, la filiera corta e il made in Italy, complice anche la volontà di sostenere le produzioni nazionali.
Nonostante il periodo difficile gli italiani sembra non si siano gettati sul comfort food, ma invece a guidare la loro spesa di quasi il 50% dei cittadini sono stati i temi della salute e del benessere. Se poi si unisce la sostenibilità della produzione o del packaging ancora meglio, e si spiega il successo del biologico con un trend del +11% a valore nella gdo.
Si tratta per la maggior parte di cambiamenti transitori che, una volta tornati alla normalità, rimarranno un ricordo della quarantena, mentre sarebbe auspicabile che alcune tematiche (filiera breve, produzioni locali, agricoltura biologica) rimanessero prioritarie non solo per le scelte dei consumatori ma anche nella programmazione della nuova agenda politica.
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Giornalista pubblicista, redattrice de Il Fatto Alimentare, con un master in Storia e Cultura dell’Alimentazione
“c’è stata una riscoperta per gli alimenti locali, la filiera corta e il made in Italy, complice anche la volontà di sostenere le produzioni nazionali.”
Vero, la solidarietà nazionale ha contato molto, ma non dimentichiamo che un forte impulso lo hanno dato anche i tanti piccoli produttori che a mercati chiusi si sono reinventati fornitori a domicilio, spesso su ambito locale, permettendo intanto a molte persone a rischio di non uscire da casa e fare lunghe code nel parcheggio del Super, e poi facendo scoprire a noi abituè dei Centri Commerciali che ad esempio le fragole le produciamo ottime a due chilometri da casa mentre al Super troviamo quelle che arrivano dalla Spagna.
E nessuno, almeno a mia esperienza, ha mai consegnato merce sovrapprezzo, difettosa, stramatura o comunque non corrispondente all’ordinato, creandosi così un piccolo bacino di utenza che molto probabilmente continuerà a servirsi da loro non solo per il senso di familiarità che si è creato (tipo “negoziante all’angolo”) ma proprio perché scoprire, ad esempio, che a cinque minuti da casa c’è un piccolo allevatore con 26 capi di razza pregiata che imbottiglia (secondo le migliori norme igieniche) un latte che ricorda quello della nostra infanzia, o che la trattoria davanti a cui siamo passati cento volte diretti al McDonald ha un’ottima cucina a prezzi ragionevoli è un’esperienza appagante.
Mauro
Caro Mauro, condivido il senso generale del tuo commento e plaudo anch’io al servizio che piccoli produttori e rivenditori di prodotti agricoli hanno messo a disposizione; mi lasciano però molta perplessità le tue appaganti esperienze. Un produttore di latte con 26 capi non può imbottigliare “secondo le migliori norme igieniche” e in questo caso più che del Coronavirus devi preoccuparti di E.Coli. Quanto alla trattoria, come hai fatto ad apprezzarne l’ottima cucina … mentre era chiusa?
Ciao Marina, per mia fortuna ad Agraria ho studiato, tra l’altro, anche tecniche alimentari industriali, e se capisco che un profano possa pensare che solo un grande allevamento, o una centrale del latte, siano in grado di garantire i previsti livelli di igiene posso assicurarti che esistono da tempo sistemi professionali di pastorizzazione e imbottigliamento anche alla portata dei piccoli allevatori.
Normalmente questi preferiscono conferire il latte a una centrale, evitando di occuparsi direttamente di pastorizzazione, imbottigliamento e commercializzazione, ma quelli che scelgono di vendere direttamente un prodotto di qualità, anche se a costi leggermente più alti possono farlo tranquillamente occupando una interessante nicchia di mercato.
Tranquilla, solo nel mondo del Mulino Bianco esistono i “vecchi contadini che fanno cose buone” mungendo a mano la Lola avvolti in una simpatica nuvola di mosche mentre il gatto lecca le gocce cadute a terra, quindi nessuna escherichia nel latte in vendita in negozio!
Quanto alla trattoria, forse ti è sfuggito che tutto il mio post riguardava i “fornitori a domicilio”, inclusi quindi i ristoratori attrezzati per il take away ma che i contenitori con le varie portate li consegnano direttamente a casa del cliente, qui in zona hanno iniziato a farlo poco dopo l’inizio del blocco anti covid-19 diversi ristoranti, trattorie e pizzerie, e persino un cinese.
Mauro