I consumatori tedeschi, e probabilmente non solo loro, considerano il packaging alimentare in carta particolarmente sostenibile e sono piuttosto diffidenti di fronte alle novità più insolite. Questo il messaggio che emerge da uno studio condotto da tre ricercatrici dell’Università di Bonn e il Centro Ricerche Jülich, in Germania, che hanno cercato di valutare nel dettaglio la percezione del pubblico nei confronti di diversi tipi di imballaggio, destinato a utilizzi alquanto differenti.
Come riferito su Food Quality and Preference, le ricercatrici hanno selezionato un campione di circa 3mila cittadini, che fosse il più possibile rappresentativo della popolazione, e hanno mostrato loro immagini di nove possibili combinazioni di prodotti e imballaggi. Più precisamente tre tipi di confezioni in plastica tradizionale riciclabile, tre in bioplastica oppure in carta usati per contenere: frutti di bosco, burro oppure olio vegetale. In ogni foto c’era anche una semplice scritta con informazioni di base. I partecipanti dovevano indicare quanto un certo imballaggio era sostenibile e quanto adatto a proteggere, trasportare e poi conservare il prodotto contenuto.
In generale le confezioni in carta hanno ottenuto i punteggi migliori, superando quelle in bioplastica e in plastica tradizionale, che sono risultate le più sgradite. Tuttavia, quando si sono analizzate le risposte in base al tipo di alimento, le valutazioni sono in parte cambiate, perché packaging e bottiglie in carta sono state giudicate non adatte a contenere l’olio vegetale e non del tutto adeguate per il burro. Per l’olio, la bioplastica normale ha ricevuto le valutazioni migliori anche rispetto alle bioplastiche.
Nella seconda fase dello studio, ai partecipanti è stato chiesto di indicare se avrebbero o meno acquistato il prodotto illustrato in una foto. Anche in quel caso, la carta è risultata promossa a pieni voti per i frutti di bosco e per il burro, ma bocciata per l’olio, per il quale, in questo caso (e cioè dovendo esprimere un’intenzione di acquisto e non solo una valutazione generica), hanno vinto le bioplastiche. Il risultato è che, quando si tratta di acquistare, è importante l’impatto ambientale, ma contano anche il prezzo (se troppo elevato allontana l’acquirente, come è emerso da domande specifiche) e la percezione delle caratteristiche del packaging. Questo è vero anche se, come in questo caso, non si hanno informazioni reali sulle materie prime da cui è ottenuto il nuovo imballaggio. Come hanno ricordato gli autori, anche i materiali teoricamente eco-friendly possono esserlo meno di ciò che si pensi. Per esempio, alcuni realizzati da scarti agricoli, richiedono comunque molta energia mentre altri, anch’essi di origine vegetale, derivando da materie prime destinate allo scopo e, quindi, da piante coltivate consumano suolo e, talvolta, alimentano la deforestazione. Lo stesso vale per le ecoplastiche: ognuna fa storia a sé e ha un proprio bilancio ambientale.
I nuovi materiali sono sempre preferibili alla plastica tradizionale, il 40% della quale è destinata agli alimenti, la cui produzione (400mila tonnellate all’anno, in aumento) consuma materie fossili e richiede molta energia, e che, una volta utilizzata, spesso si disperde nell’ambiente (solo il 14% viene riciclato). Tuttavia, sarebbe necessario classificare meglio i nuovi imballaggi e rendere disponibili i dati reali sull’impatto ambientale e sulla provenienza, in questo modo le scelte sarebbero realmente consapevoli e non basate su convinzioni infondate.
Per quanto riguarda la familiarità con nuove forme di imballaggio bisogna certamente fare di più, ma tutto sommato questa è la parte più facile. Le persone, nel tempo, si abituano alle novità e se le considerano positive le adottano con convinzione. Anche in questo studio, più i partecipanti hanno valutato positivamente un certo involucro o contenitore, più si sono detti disponibili a comprare il prodotto confezionato in quel modo. Ma perché la propensione sia verso i prodotti giusti, è indispensabile avere tutte le informazioni.
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Giornalista scientifica
” … (solo il 14% viene riciclato).”. Questo dato è veramente sconfortante: si riferisce alla Germania? Grazie.
Quotidianamente vengono pubblicate notizie a detrazione degli imballaggi in plastica senza fare riferimento a realtà scientifiche bensì a convinzioni personali trascurando talvolta le colpevolezze dei consumatori stessi incapaci di gestire educatamente gli scarti dei materiali plastici risultanti dalla vita quotidiana. A seguito di eventi catastrofici dal punto meteorologico di cui si ha spesso una evidenza giornaliera, si parla sempre di emissioni eccessive di CO2 per cui si rende necessario fare scelte atte alla riduzione delle stesse riducendo il ricorso alle fonti fossili derivanti dal petrolio. Il discorso non fa una grinza ma allora sarebbe utile ricorrere ad un riferimento oggettivo relativamente alla riduzione della CO2 provocata dall’utilizzo degli imballaggi normalmente utilizzati ed allora perché non spiegare al pubblico il valore dell’LCA ( Life Cycle Assessment) unico indice di valutazione dell’inquinamento da CO2 derivante dall’utilizzo degli imballaggi, dalla loro produzione al loro smaltimento? Potrebbe essere molto utile per definire in modo obiettivo la realtà talvolta travisata da ottiche di parte e poco attinenti alla realtà.