Le bugie di Coldiretti su Repubblica.it. Come inventare dati allarmanti sul grano importato, citando anche i rapporti del Ministero della Salute
Le bugie di Coldiretti su Repubblica.it. Come inventare dati allarmanti sul grano importato, citando anche i rapporti del Ministero della Salute
Roberto La Pira 26 Settembre 2017Oggi un articolo di Repubblica.it firmato da Cristina Nadotti sulla questione della guerra del grano tra Coldiretti e Aidepi (l’associazione dei produtori di pasta) propone la notizia sul rapporto dei Residui di prodotti fitosanitari negli alimenti del Ministero della salute, dicendo che praticamente nessun campione presenta livelli superiori ai limiti di legge. Nell’articolo si cita la riposta di Rolando Manfredini responsabile sicurezza alimentare di Coldiretti che da anni porta avanti bizzarre e oltremodo fantastiche tesi sul grano importato contaminato. Manfredini si dice soddisfatto del risultato, ma dichiara alla giornalista che “il Ministero della salute, nel 2016, ha diffuso un rapporto sui fitofarmaci, nel quale si attestava che nel grano canadese il limite era tre volte superiore a quello stabilito in Italia”.
Questa dichiarazione è palesemente falsa, primo perché nel rapporto sui residui di fitofarmaci del Ministero, con i dati relativi al 2013, e anche in quello diffuso l’8 giugno 2017 relativo ai dati del 2015 il grano canadese non è mai citato. Ma questa è solo la prima inesattezza. Nel rapporto relativo alla presenza di residui di fitofarmaci del 2013 le analisi su 440 campioni di cereali analizzati, hanno evidenziato solo 1 risultato irregolare. Nell’ultimo dossier pubblicato nel mese di giugno 2017 riferito ai dati 2015 le analisi sul frumento (senza precisare l’origine) riguardano 525 campioni. I campioni con valori superiori ai limiti di legge sono due (!) pari allo 0,4%, mentre l’84,7 % non presenta residui e il 15,3% ne ha una quantità inferiore ai limiti di legge (vedi tabella sotto).
Le assurdità nell’articolo continuano quando Coldiretti dichiara che “la materia prima caratterizza la nostra qualità, come dimostrano il successo delle Denominazioni di origine protetta”. Manfredini dimentica che non esiste pasta Dop in Italia e che anche la celebre pasta prodotta a Gragnano nella stragrande maggioranza dei casi utilizza pregiato grano importato. Per il prezzo forse bisognerebbe sapere che il grano canadese viene pagato dal 20 al 30% in più non certo in virtù delle speculazioni ma perché è migliore ed è indispensabile per produrre la pasta italiana.
Coldiretti altre volte in occasione di manifestazioni folcloristiche con bandiere gialle, nei porti pugliesi, ha provato ad alzare il tiro contro le importazioni di grano facendo però sempre cilecca. I campioni prelevati in quelle occasioni davanti alle telecamere , una volta fatti analizzare dalle autorità sanitarie, non hanno riscontrato irregolarità. A questo punto sarebbe interessante capire come leggono i rapporti i responsabili di Coldiretti e perché i giornalisti non verificano le dichiarazioni di questa lobby ,che dà spesso un’interpretazione molto fantastica dei numeri.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Piuttosto che questa attenta, costante, ripetitiva presa di posizione e difesa ad altranza dei pastai italiani, contro le posizioni eccessivamente difensive dei propri coltivatori da parte di Coldiretti, Il Fatto Alimentare potrebbe concentrarsi maggiormente sulla trasparenza e l’indicazione obbligatoria dell’origine delle materie prime in etichetta, a partire dal grano duro impiegato per la squisita pasta italiana.
Battaglia che ha una valenza molto maggiore per i diritti dei consumatori, della semplice richiesta dell’indicazione volontaria dei produttori, perché sappiamo e sapete benissimo che il volontariato non porterà alcun risultato tangibile.
Dipende dalla missione e dal ruolo che questa testata vuole assumersi nei confronti dei lettori che la seguono.
Nel merito dei valori di residui di fitofarmaci e micotossine riscontrate, che anche se risultano nella norma delle prescrizioni di legge, vi chiederei maggior attenzione anche ai limiti negli alimenti, pasta compresa per i bambini.
Non corrisponde a verità che la pasta in commercio non sia destinata ai piccoli consumatori, perché sapete e sappiamo tutti benissimo, che in famiglia e nelle mense scolastiche asili compresi, si cucina pasta normale e non speciale per i più piccoli ed i valori riscontrati non sono innoqui per loro, soprattutto se consideriamo l’effetto accumulo e somma, in rapporto al loro peso, con altri residui presenti nella verdura e nella frutta d’uso quotidiano.
Come vedete, a mio parere ci sono battaglie ben più importanti da condurre, che non la semplice difesa della lobby dei pastai, che ha tanti mezzi propri ma pochi argomenti per difendere posizioni ed argomentazioni decisamente poco condivisibili.
Buon giorno, da lettore..
mi permetto di far osservare che essere faziosi non è un obbligo, comprendo che le persone stiano perdendo la capacità di essere equilibrate e di buon senso e passi il concetto che essere disonesti sia necessario per un “presunto” bene superiore, che spesso si riduce a motivazioni economiche.
1) Penso che il “Fatto” stia cercando di far ascoltare le ragioni dell’altro, basando le risposte su dati scientifici e non sul falso o sulla manipolazione dei dati, cercando di mantenere un equilibrio di giudizio.
2) Se lei ritiene che siano necessari più “estremisti” in Italia, io ritengo che ci debbano essere più persone di “buonsenso” informate e intelligenti e con un approccio di approfondire le cose.
3) Lei afferma che debbano avere una “missione” se questa è essere faziosi penso che ci siano già troppe mezzi di comunicazione “di parte” o che cerchino lo scontro più che il CONFRONTO.
4) Per quanto riguarda la pasta dei bambini perché pensa che ci siano marche apposite? Inoltre quando le cucine per bambini acquistano le materie prime debbono richiedere i prodotti per bambini, il buonsenso dice che se Barilla produce la pasta cosa dovrebbe scrivere “non adatto ai bambini” arriviamo anche noi alle famose istruzioni “nel microonde non mettere il gatto per scaldarlo”.
Vede il problema è che lei le ragioni dell’altro non le vuole ascoltare, soprattutto se basati su noiosi dati scientifici, poi sono d’accordo che vi siano aspetti nei quali è necessario confrontarsi senza perdere di vista la realtà. In ogni caso se una persona vuole alimentarsi senza residui di prodotti chimici sceglierà il biologico, però dovrà ammettere che deve considerare la scadenza dei prodotti, la quantità, il costo la situazione ambientale in cui ci troviamo e quindi si cerca di equilibrare vantaggi e svantaggi.
In ogni caso ritengo il “fatto” una testata che cerca di avere un approccio di approfondimento e scientifico e anche di denuncia, toccando argomenti che non si trovano pubblicamente ma con un approccio divulgativo ed equilibrato e ragionato, lei vuole “novella 2000”?
Cordiali saluti
La pasta per bambini piccoli esiste e si tratta di prodotti destinati ai soggetti con meno di 36 mesi. La pasta Barilla come ” I Piccolini” non è adatta per bambini inferiori ai 36 mesi
Andrea il mio commento e le sue critiche da gossip si giudicano da sole e lei non merita risposte nel merito, perché non le interessano gli argomenti che ho sollevato, ma solo le offese fuori tema.
C’è il problema delle tossine presenti nella pasta che pur essendo nei limiti di legge (europea) non lo è al lato pratico in quanto in Germania si consumano pochi kg di pasta all’anno mentre in Italia ne se consumano quintali. Poi c’è il problema del grano e della pasta canadese che viene essiccata con un essiccante che è un diserbante: il glifosato. Tutto nei limiti di legge ma c’è una camapagna in corso contro il glifosato e i limiti di legge cambiano per cui non mi tranquillizza l’ottima qualità del grano canadese.
Grano estero è ok se non si usa il glifosato e se i limiti per le tossine sono basse in conformità alla quantità di pasta che mangia un italiano e non un tedesco.
Bravoooooo la penso esattamente come te, c’ e’ in atto una grande petizione per impedire alla Monsanto di inondare tutto il mondo con il Glifosato, e l’ Italia dovrebbe prendere una decisione in merito.
Egregio La Pira, ormai lei sta diventando il paladino delle multinazionali. Non c’è articolo in cui non attacchi i produttori di grano italiani a vantaggio di ambigui commerci alimentari. Sa che c’è? Costringiamo i pastai a scrivere in bella evidenza sulle confezioni l’origine geografico, che tipo di grano (ce ne sono centinaia) e quali diserbanti o essiccanti siano stati usati per la la loro maturazione. Poi ne parliamo. Altrimenti dovremmo dare ragione a quei “produttori” di olio che mescolano prodotti italiani a miscugli oleosi che approdano in navi cisterna nei porti del sud (e non solo).
Il nostro sito è l’unico che propone e ha censito 50 marche di pasta italiana 100%. Per indicare l’origine basta riportare una frase Grano duro di origine UE oppure UE e non UE. Accusare di essere paladina delle multinazionali una testata che ha portato avanti la battaglia contro l’invasione dell’olio di palma mettendosi contro tutto il mondo industriale è molto curioso.
Buon giorno
mi sembra che il “La Pira” cerchi solamente di essere obbiettivo, non è che attacchi, ma semplicemente dice come stanno le cose, per quanto riguarda i pastai, chi scrive che usa solo grano Italiano lo dice già e dove non è scritto vuol dire che usano in parte grano importato. Considerando che il grano importato costa di più, sarebbero poco intelligenti ad usarlo per hobby.
Mi spiace che si attacchi chi fa giornalismo invece che sull’articolo o su fatti concreti e misurabili con “l’intenzione” e il presunto “schierarsi” da una parte, se Coldiretti considerando che è l’associazione rappresentativa scrive “fregnacce” mi dispiace perché non è onesta e qualcuno lo deve evidenziare.
Poi se aggiungiamo che in “Italia” ognuno può scrivere “fregnacce” per “legittima espressione del diritto di critica e di manifestazione del pensiero” perché la realtà esiste, ma la “verità” è ballerina perché basta trasformala in “ipotesi” il cerchio si chiude. (mi dispiace perché mi è stato insegnato che la libertà di espressione è un bene prezioso… ma da non sprecare in cavolate)
Scusate la mia ignoranza ,ma se il grano prodotto in Italia non contiene ne Glisofato ne Don perché noi dovremmo comprare prodotti confezionati con grano estero??Per quanto mi riguarda compro solo prodotti confezionati con grano italiano.Sono eccezionali anche se costano qualcosa in più.
Perché quello italiano non basta e ne importiamo il 30% circa per coprire il fabbisogno
Buon giorno
piccolo particolare…non è che il grano italiano non contenga DON, o Glifosate perchè il DON può accadere e il Glifosate se va da un qualsiasi venditore lo trova e si fa la fine del Fipronil che non si poteva usare ma per aumentare l’efficacia lo si è usato. (quindi sono solo i controlli in accettazione che possono garantire l’assenza)
Per altro è solo da qualche anno che si è in parte abbandonata l’abitudine degli agricoltori di mettere il grano in solaio dove topi, gatti, uccelli lasciavano le loro deiezioni, oppure si infestavano di insetti e quindi si trattavano con prodotti chimici con la famosa logica che la se la dose da impiegare è 100 …facciamo 300 “che è meglio”. Inoltre venivano usati prodotti chimici di derivazione Russa che sono più forti ma non ammessi in Italia, oppure c’era il fai da te delle piccole industrie chimiche; quindi ben venga una Monsanto che sarà un colosso ma che diventa più facile da controllare e ha logiche interne di controllo, patti di collaborazione ecc..
Ezio, lascia perdere gli ordini della casa madre! Roberto ormai le ha fatto tana ed è ben noto che a smucinare il … prodotto … si fa solo più danno. Spero che ora venga voglia anche ad altri giornalisti, in primis quelli della RAI, di andare a verificare quante altre frottole ha raccontato sinora Coldiretti, specialmente quando cita numeri, buoni solo per chi soffre di ludomania … per giocarseli al Lotto!
Marina, io non ho mai avuto ne ho una “casa madre” neanche per hobby, mentre lei abbia il coraggio e l’onestà intellettuale di svelare la sua, senza fantasticare false accuse e giochi infantili.
Se vuole, discuta nel merito degli argomenti che ho espresso e che rappresentano le mie personali convinzioni e conoscenze dei temi trattati.
In Italia il Ministro Martina dice di eliminare l’utilizzo del Glifosato utilizzato spesso nei letti di semina, che di sicuro è molto meno tossico dell’impiego del glifosato in prevraccolta per seccare il grano artificialmente come succede oggi in Canada.
Perchè il ministro, prima di abolire il Glifosate in Italia, che già ora è vietato in pre raccolta, non pone fine alla importazione di grano contaminato al Glifosato che noi ampiamente importiamo dal Canada?
A me non risulta che il Glifosate usato in pre raccolta dai Canadesi, sia buono, e quello usato in mancanza di coltivazione in Italia, sia cattivo, o sbaglio?
Personalmente vedo poca obbiettivita’ nel titolo di questo articolo (costante e ripetitivo) ma molto “coinvolgimento emotivo”
Sono d’accordo con Ezio …… sono pochi gli argomenti per difendere le posizioni di alcuni pastai italiani ……e le argomentazioni decisamente poco condivisibili.
L’altra settimana mi sono trovato di fronte al supermercato un vecchio marchio selezionatore di legumi (stabilimento presente nella mia zona.. e molto famoso)
Ho notato con piacere delle nuove confezioni che, rispetto a 10 anni , indicavano anche l’origine dei legumi. Anni fa’ a stento riuscivo a sapere quale fosse lo stabilimento di “””produzione”””
Ero convinto che fossero legumi che arrivavano da molto molto lontano……….. contattai piu’ volte l’azienda chiedendo informazioni in merito e me ne fu data conferma (origine Americhe).
Oggi questo dubbio/informazione e’ alla luce del sole.
Gia’ anni fa non preferivo questa marca , cosi come non la preferisco oggi.
La differenza e’ che quando la incrocio sugli scaffali non provo quel fastidio di essere preso in giro e penso che chi la sceglie perche’ proposta ad un prezzo inferiore lo possa fare con maggiore consapevolezza.
La filiera grano duro-pasta è strategica per l’economia nazionale sia dal punto di vista agricolo, per l’ampia e insostituibile diffusione della coltura al Sud e sia dal punto di vista dell’industria agroalimentare della trasformazione che esporta nel mondo circa 2 milioni di tonnellate di pasta, primario e apprezzato prodotto della dieta mediterranea, insieme alla stessa immagine del Paese. La diminuzione delle quotazioni internazionali delle materie prime agricole, legate alla globalizzazione dei mercati, non permette ormai da alcuni anni di chiudere positivamente i bilanci delle aziende agricole a grano duro che accusano troppo spesso prezzi di acquisto modesti, non remunerativi nemmeno dei costi di produzione. Il comprensibile malcontento di migliaia di produttori agricoli però, invece di essere incanalato nella ricerca di soluzioni tecniche, associative e accordi di filiera mirati alla maggior valutazione di grosse partite di qualità elevata ed omogenea, spesso prende le scorciatoie della facile demonizzazione del grano d’importazione con notizie scandalistiche quasi mai confermate da controlli ed analisi ufficiali su micotossine, contaminanti naturali e chimici, che però in genere arrivano tardi e senza enfasi mediatica che frastorna l’opinione pubblica blandita da una sfacciata disinformazione Da centinaia d’anni invece la pasta italiana, eccellenza alimentare riconosciuta nel mondo, per mantenere l’elevato livello qualitativo e, quindi, competere con l’agguerrita concorrenza internazionale, ha sempre fatto ricorso a integrazioni con grani esteri senza per questo veder snaturata la sua riconosciuta peculiarità. La marcata diminuzione delle superfici seminate a grano duro e le forti capacità produttive della trasformazione evidenziano poi anche un importante deficit quantitativo, di cui del resto soffre pericolosamente la quasi totalità dei prodotti agricoli in Italia. A questo inaccettabile discredito del più identitario dei prodotti nazionali, legato però tutto sommato ad un’ancora conciliabile conflittualità locale tra le parti, si aggiunge ben più grave, e su scala mondiale, una crescente riduzione della fiducia nel metodo scientifico di ricerca della verità. Argomentazioni spesso prive di alcun riscontro reale ma ricche di fascino di ciò che ci si vuol sentir dire dai preconcetti della post-verità attesa e di comodo sono rapidamente e viralmente diffusi da una Rete web incontrollata e carismatica.
E quindi ben poco importa se migliaia di lavori scientifici internazionali sottolineino da anni le grandi valenze nutrizionali, salutistiche e dietetiche della pasta, perché basta una star hollywoodiana per allarmare le coscienze del mondo sulla generale pericolosità della più antica proteina figlia della prima domesticazione delle piante selvatiche e progenitrice dell’agricoltura e quindi di ogni successivo progresso umano. Il gluten-free è infatti ormai incontrollata moda mondiale, sebbene di nessuna valenza scientifica e utilità salutistica e nutrizionale se non per quell’1% sfortunatamente affetto veramente da celiachia, ma che invece si vuol furbescamente far crescere a dismisura per scopi commerciali e ripiego su preparazioni alimentari sicuramente più elaborate e care. Da questi presupposti non potevano che nascere ipotesi fantasiose come la più volte smentita maggior incidenza della celiachia dovuta alla diversa composizione glutinica delle moderne (quindi “cattive” a priori?) varietà, quando il miglioramento genetico ha invece da anni lavorato sulle glutenine, responsabili della qualità tecnologica dei frumenti, ma non sulle gliadine, causa accertata invece della grave sindrome autoimmune. E anche le vecchie varietà, seppure nobilitate da un fascinoso quanto scorretto uso del termine “antico”, contenevano e contengono gliadine, a volte anche più delle moderne. Impensabile che conoscenza illuminista e progresso dell’umanità possano tornare indietro. Non a caso qualcuno per definire questa epoca storica ha creato il neologismo di Cialtronevo.
Capisco le reazion di alcuni, ma chi segue professionalmente un settore resta profondamente sconcertato quando i principali quotidiani o le testate televisive prendono per buone notizie non vere, o distorte, perché diffuse da “fonti autorevoli”, come nel caso alimentare Coldiretti. Non penso che La Pira ce l’abbia con Coldiretti, ma ce l’abbia con la distorsione dei fatti. E’difficile restare – anzi non corretto – imparziali quando il pubblico è “tratto in errore” sistematicamente su alcune questioni. Si può poi ritenere che l’unico grano buono sia quello a km zero, oppure solo quello canadese. Il punto è che se i fatti sono distorti, crediamo di sostenere una posizione per motivi sbagliati.
Visto che Coldiretti distorce platealmente la realtà” traendo in inganno i consumatori”, perché la associazioni dei consumatori non denunciano penalmente queste affermazioni e chi di persona le sparge a larghe mani?
Così valga per chiunque sparga impunemente fake-news o ne favorisca la moltiplicazione
Per chi vuole verificare a che punto stanno le questioni legali sulla diatriba delle analisi e/o false dichiarazioni degli attori in campo, può essere interessante leggere la sentenza del Tribunale di Roma, che affronta e dirime la questione tra rettifiche e principio di precauzione e diritti di libera manifestazione di critica