Tutte le volte che qualcuno si mette in testa di curiosare – si fa per dire – nelle carte della Coca-Cola, vi trova, almeno fino al 2014, le prove di azioni di lobbying più o meno velate, di tentativi di influenzare ricercatori, opinion leader, giornalisti, o di orientare incontri scientifici e non solo. Tutto va bene, pur di nascondere i legami tra l’obesità e il consumo delle bevande zuccherate, e di spostarne l’attenzione, e quindi la responsabilità, sulla pigrizia del consumatore e della sua scarsa voglia di fare attività fisica. In prima linea in questa operazione-verità c’è il British Medical Journal, che nel 2015 ha iniziato a pubblicare resoconti di corrispondenze e documenti segreti che dimostravano una capillare attività di questo tipo.
Ora torna sul tema, pubblicando il resoconto dell’analisi di quasi 37.000 pagine di email e altri documenti che il vice direttore dell’azienda di Atlanta ha scambiato con gli organizzatori di due edizioni dell’International Congress on Physical Activity and Public Health (ICPAPH), svoltesi rispettivamente a Sidney nel 2012 e a Rio de Janeiro nel 2014. Lo studio, che è stato pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health da ricercatori che appartengono all’associazione di consumatori US Right to Know, ha individuato alcuni temi ricorrenti e in totale contraddizione con quanto la Coca-Cola dichiara nei suoi regolamenti etici.
Per esempio, l’azienda faceva pressione per orientare i temi da affrontare nei meeting, tentava di screditare i rappresentanti delle associazioni di consumatori, e proponeva di inserire negli organi direttivi persone di fiducia allo scopo di distrarre l’interesse dalle ricerche sulla relazione tra bevande zuccherate e obesità. In entrambe le edizioni del congresso, lo sforzo ha avuto successo, almeno per quanto riguarda la scelta degli argomenti da trattare.
Non mancano, nei carteggi, poi parole indirizzate a chi ha cercato di opporsi, e dichiarazioni bellicose come quelle relative al fatto che l’azienda è sempre stata tra gli sponsor del congresso fino dalla prima edizione di dieci anni fa, e resterà tale, a prescindere dall’opposizione che potrà incontrare.
Per i seguenti motivi gli autori chiedono che questo genere di conferenze escludano a priori ogni genere di sponsorizzazione da parte di aziende che, in qualunque contesto, vendono prodotti che possono nuocere alla salute, come si fa da tempo con le aziende del tabacco in altri meeting medici in base all’accordo internazionale della Framework Convention on Tobacco Control.
I rappresentati della ICPAPH, interpellati dal BMJ, hanno negato qualunque influenza da parte della Coca-Cola e sottolineato che l’azienda non è nel consiglio direttivo o in altri organi decisionali, ma la difesa appare debole. In ogni caso, dal 2017 la ICPAH ha adottato una politica in linea con la Framework Convention on Tobacco Control e vietato qualunque sostegno economico proveniente da aziende che anche indirettamente vendono alimenti o altri prodotti poco sani. Una decisione positiva ma anche tardiva, visto che i legami tra bevande dolci e obesità nel 2017 erano noti da anni.
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Giornalista scientifica
Complimenti ad Agnese Codignola, sempre attenta ai problema zucchero e alimentazione. E alla storica attività di lobbying da parte delle industrie.