
In un momento di grave sofferenza del Servizio Sanitario Nazionale, dove le lunghe liste d’attesa costringono molti cittadini a rinunciare ad accertamenti essenziali è davvero intollerabile assistere alla crescente diffusione di test di diagnosi precoce che alimentano gli sprechi, senza garantire alcun beneficio per la salute, nell’indifferenza delle istituzioni sanitarie.
Certo, le persone hanno il diritto di spendere i soldi come meglio credono ma, in campo sanitario, le istituzioni pubbliche, a cui è affidata la tutela della salute, dovrebbero proteggerle dalla diffusione di pratiche ingannevoli e potenzialmente dannose, che alimentano il consumismo sanitario e il mercato della salute.
Il documento di Slow Medicine
Questo in sintesi è il pensiero che accompagna il documento “Vera e finta prevenzione. Fare più check-up non significa ridurre il rischio di ammalarsi” firmato da Slow Medicine e sottoscritto da un gruppo di medici, operatori, docenti, giornalisti (vedi elenco completo sotto), che è stato inviato il 1 luglio 2025 al ministro della salute Orazio Schillaci. Il documento non vuole mettere in discussione l’utilità si eseguire esami mirati per indagare particolari condizioni o fattori di rischio, ma la ricerca sistematica, indifferenziata e generalizzata di eventuali indicatori di malattie.
Slow medicine invita le istituzioni sanitarie pubbliche, le organizzazioni sindacali e le Società Scientifiche a non promuovere alcuna iniziativa finalizzata all’esecuzione di test diagnostici con finalità preventive al di fuori degli screening di riconosciuta efficacia e a intervenire in maniera decisa nei confronti di tutti coloro che con messaggi accattivanti e ingannevoli illudono le persone di poter tutelare la propria salute, sottoponendosi a una serie di test diagnostici e di visite specialistiche di nessuna utilità pratica e potenzialmente dannosi.

L’assunto sbagliato
Sempre più spesso laboratori, cliniche private, farmacie, società scientifiche, assicurazioni sanitarie integrative, anche all’interno di accordi nell’ambito del welfare aziendale, offrono a pagamento o gratuitamente, senza la prescrizione di un medico, “pacchetti prevenzione”: un insieme di esami ematochimici, accertamenti strumentali e visite specialistiche, spacciando per prevenzione gli screening, i check-up e la diagnosi precoce. Il messaggio subliminale è far credere che, sottoponendosi ad esami periodici a prescindere dallo stato di salute, si può individuare la presenza di una malattia prima che provochi manifestazioni cliniche. In tal modo si potrà iniziare un trattamento per evitare la comparsa di sintomi e complicanze. L’idea è senza dubbio suggestiva, ma troppo semplice per sfidare la complessità biologica delle malattie.
Non tutte le malattie sono uguali
“La diagnosi precoce – spiega Antonio Bonaldi di Slow Medicine, il gruppo che ha promosso iniziativa – si basa sull’assunto (sbagliato) che tutte le malattie progrediscano da una fase asintomatica, caratterizzata da minime alterazioni biologiche, fino ad uno stadio di malattia conclamata. Perciò, tanto prima riconosciamo la malattia, tanto più semplice ed efficace sarà la cura. Il problema, è che non tutte le malattie seguono un percorso così lineare: in alcuni casi, evolvono lentamente, in altri presentano un andamento tumultuoso e incontrollabile, in altri casi ancora (la maggioranza) regrediscono in modo spontaneo. I fattori in gioco sono tanti, e nessuno al momento è in grado di prevedere quello che succederà nel singolo caso. […] ”
I “pacchetti prevenzione”
I “pacchetti prevenzione” possono riguardare genericamente la salute dell’uomo o della donna (di base o estesi, per individui giovani o anziani), la nutrizione, il benessere, l’Alzheimer, la stanchezza, la sindrome metabolica, l’identificazione di intolleranze nascoste, la salute sessuale, patologie della pelle o dell’apparato digerente, della vista, del sistema endocrinologico. Vengono presentati con attraenti dépliant che sollecitano la preoccupazione per la possibile comparsa di malattie anche in persone apparentemente sane. Come per qualunque prodotto in vendita, alcuni offrono pagamenti rateizzati e sconti se si “mettono nel carrello” più pacchetti. Scegli, paghi, ottieni una sorta di certificato di buona salute o un segnale di pericolo che richiederà visite e ulteriori accertamenti. Se i risultati appaiono “normali” si può continuare a fumare, a mangiare prodotti ultra-processati, a seguire diete sbilanciate, a consumare cibi troppo dolci o troppo salati, a bere bevande alcooliche, a evitare di svolgere attività fisica.

Screening
Nell’ambito della diagnosi precoce, nonostante la vasta offerta di test diagnostici, quelli sicuramente utili per finalità preventive non sono molti. Le patologie per le quali ci sono prove certe che gli screening garantiscono benefici, oltre agli screening neonatali e all’ipertensione arteriosa a partire dai 18 anni, sono: il cancro della cervice uterina per le donne da 21 a 65 anni, il cancro del colon da 50 a 75 anni e il cancro del seno da 50 a 74 anni. Ci sono poche altre procedure per le quali esistono tanti dati scientifici, ma che non permettono comunque di trarre una conclusione chiara o definitiva. Le innumerevoli e variegate proposte di controlli offerti come “preventivi” non si basano su valide prove scientifiche, si rivolgono, per lo più, a persone in grado di pagare le prestazioni o a persone attente alla propria salute e quindi a minor rischio di ammalarsi.
Suscita pertanto notevole perplessità che laboratori, cliniche e farmacie, deputate a curare le malattie e a migliorare la salute, si facciano capillarmente promotrici di una serie di prestazioni sulla popolazione sana, a prescindere dalla loro reale efficacia, spacciandoli viceversa come coerenti con le linee guida di società scientifiche nazionali e internazionali.
1. I Check-up non riducono il rischio di ammalarsi
Eseguire screening induce l’illusione che i controlli periodici possano ridurre il rischio di ammalarsi, ma non c’è alcuna prova scientifica che uno solo di questi “pacchetti” offra qualche vantaggio. Un gruppo di ricercatori danesi ha individuato 15 ricerche randomizzate nelle quali era stato confrontato un gruppo di adulti sottoposti a screening con un gruppo di controllo. Sono stati seguiti per 4-30 anni 251.891 persone riscontrando 21.535 decessi. Gli screening hanno un’influenza scarsa o nulla sul rischio di morte per qualsiasi causa (evidenza di elevata certezza), o sul rischio di morte per cancro (evidenza di elevata certezza), e probabilmente hanno un’influenza scarsa o nulla sul rischio di morte per cause cardiovascolari (evidenza di moderata certezza). Allo stesso modo, i controlli sanitari hanno un’influenza scarsa o nulla sulle malattie cardiache (evidenza di elevata certezza) e probabilmente hanno un’influenza scarsa o nulla sull’ictus (evidenza di moderata certezza).
2. I test non forniscono risultati sempre affidabili
Contrariamente a quanto si pensi, un risultato di un esame di laboratorio che supera il limite superiore o inferiore di riferimento non indica che un soggetto ha o non ha una malattia, ma fornisce una informazione statistica. La concentrazione di un suo parametro biochimico supera o non supera quella presente nella maggioranza della popolazione sana. Solo la valutazione clinica complessiva consentirà di interpretare il risultato come vero/falso positivo o vero/falso negativo. Se il dato risulta erroneamente normale (falso negativo) non ci preoccupiamo, ma verrà ritardata la diagnosi; se invece è erroneamente anomalo (falso positivo) dovrà essere ricontrollato. Tanto maggiore è la percentuale di falsi positivi individuati, tanto maggiore è il numero di persone sane sottoposte al rischio di ulteriori procedure inutili (biopsie, esami radiologici ecc.) o a inutili trattamenti che verranno chiamati “preventivi”.
3. Un eccesso di diagnosi può essere dannoso
Uno dei problemi più rilevanti associati agli screening è quello della sovra-diagnosi, cioè l’individuazione e la cura di lesioni di incerto significato clinico o a lenta evoluzione che non si sarebbero mai manifestate nel corso della vita. Infatti, tanto più una malattia viene individuata in una fase iniziale del suo decorso tanto minore è la capacità della scienza di predirne l’evoluzione: cioè di differenziare i casi di malattia che rimarranno silenti per tutta la vita da quelli destinati a progredire. In considerazione, quindi, dell’incapacità di prevederne l’evoluzione naturale, tutti i casi di malattia saranno trattati, più o meno allo stesso modo. Questo fenomeno, assai diffuso in medicina, è particolarmente temibile, perché da un momento all’altro trasforma soggetti sani in malati bisognosi di cure, esponendoli agli effetti collaterali dei farmaci e ai rischi associati alle terapie a cui saranno inutilmente sottoposti.
Oltretutto nessuno potrà mai riconoscere di essere stato curato invano perché sarà portato ad attribuire la guarigione alle cure ricevute.
4. I check-up redditizi per chi li vende
I “pacchetti preventivi” vengono proposti e pubblicizzati perché sono redditizi per chi li propone; in molti casi, infatti, gli screening avviano una proficua filiera di ulteriori esami di controllo che possono essere eseguiti a pagamento o a carico del SSN negli stessi laboratori, quando siano convenzionati.
5. Uno spreco di risorse
Numerose ricerche svolte da economisti sanitari dimostrano che circa il 30% della spesa sanitaria, quello cioè che i cittadini pagano di tasca propria, che le assicurazioni rimborsano o che il Sistema Sanitario Nazionale finanzia, è sprecato. Soldi che non producono salute, ma tutt’al più rassicurano se non provocano danni. (*)
Dove sono le istituzioni pubbliche e le Società scientifiche?
Una lodevole eccezione è l’ATS della Città Metropolitana di Milano, che ha recentemente richiamato le strutture sanitarie private a offrire solo prestazioni basate su evidenze scientifiche consolidate, evitando pubblicità ingannevoli e pressioni sui medici di base.
Anche Choosing Wisely Italy, promosso da Slow Medicine, ha raccolto 129 raccomandazioni su test diagnostici da evitare perché inutili o dannosi. Tra questi, 42 esami di imaging e 62 esami di laboratorio spesso richiesti senza una reale indicazione clinica.
Chi intende aderire all’appello può inviare una e-mail con nome, cognome e qualifica a: presidente@slowmedicine.it
Hanno aderito al documento
Nino Cartabellotta – Fondazione GIMBE
Sergio Cattani – Saluteducazione
Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica
Ottavio Davini – già Direttore sanitario dell’Ospedale San Giovanni Maggiore, Torino
Nerina Dirindin – Associazione Salute Diritto Fondamentale.
Guido Giustetto – Presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Torino
Roberto La Pira – Direttore Il Fatto Alimentare
Ottavio Gavino Maciocco – Salute Internazionale
Rinaldi Carmela – Università Piemonte Orientale
Roberto Romizi – Presidente ISDE
Antonio Saitta – già Assessore alla Sanità della Regione Piemonte
Benedetto Saraceno – Lisbon Institute of Global Mental Health
Sandro Spinsanti – Direttore Istituto Giano per le Medical Humanities, Roma
Domenica Taruscio – già Direttore del Centro Nazionale Malattie Rare, Istituto Superiore di Sanità
Mauro Valiani – già Direttore dipartimento della prevenzione, Empoli
Fabrizio Gemmi – Coordinatore dell’Osservatorio per la Qualità ed Equità, Agenzia Regionale di Sanità Toscana
Andrea Vannucci – consiglio direttivo dell’Accademia Nazionale di Medicina
AIGO – Associazione Italiana Gastroenterologi ed endoscopisti digestivi Ospedalieri
SIPMeL – Società Italiana di Patologia Clinica e Medicina di Laboratorio
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Mangiatoia per i capitalisti. Finiremo come gli americani, chi può pagare vive chi no crepa. Auguri.