Più di un quarto delle start up e delle aziende che lavorano sulla carne coltivata nel mondo ha una sede in Europa o nel Regno Unito. Alcune di esse stanno dando segnali di grande vivacità, come la francese Gourmey, che sta costruendo un grande stabilimento vicino a Parigi per la produzione di foie gras, la partnership tra Givaudan, Bühler e Migros, che ha appena inaugurato il più grande hub europeo per l’agricoltura cellulare vicino a Zurigo, e Mosa Meat, che raddoppia la superficie della sua sede di produzione nei Paesi Bassi. Sembrerebbe quindi che i cittadini europei debbano trovare presto nei supermercati o nei ristoranti carne coltivata, come accade a Singapore dal 2020 con il pollo coltivato di Eat Just, o in Israele dove alcuni ristoranti-pilota propongono quello di Aleph Farm, e presto anche negli Stati Uniti dove la Fda ha approvato per il consumo umano il primo prodotto dell’agricoltura cellulare. Ma la situazione non è esattamente questa: l’Efsa non ha ancora ricevuto alcun dossier con richieste di approvazione e i tempi non si prevedono brevi. Come mai c’è questa dicotomia tra uno sviluppo che procede spedito e l’assenza di commercializzazione in Europa? Se lo è chiesto Food Navigator, cercando anche di individuare gli strumenti che potrebbero accelerare l’arrivo di questi prodotti sul mercato.
Tra i motivi principali del ritardo ci sono le pastoie burocratiche. Singapore ha deciso di produrre internamente il 30% del cibo di cui ha bisogno entro il 2050: obiettivo molto ambizioso, essendo la superficie quasi per intero edificata e la popolazione in continua crescita. Ma intende raggiungerlo sfruttando al massimo le innovazioni tecnologiche, di cui è da sempre alfiere, e può decidere per conto suo cosa autorizzare e cosa vietare: per questo molte start up guardano a oriente per riuscire ad arrivare sul mercato. Al contrario, chi vuole entrare in quello europeo deve soddisfare i protocolli che armonizzino le sensibilità e i vincoli di 27 paesi e, nello specifico, quelli relativi ai Novel Food. Questi ultimi sono basati su due aspetti principali: la determinazione del rischio e la sua gestione. Se l’alimento riceve il via libera dall’Efsa, il dossier passa al Paff, il Comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi in cui sono rappresentati tutti gli stati membri, che decide a maggioranza. Per ottenere l’approvazione, un Novel Food deve raggiungere il 55% di consensi che, però, rappresentino almeno il 65% dei cittadini europei.
Ma ci sono anche motivazioni leggermente diverse, secondo Robert Jones, capo delle relazioni esterne di Mosa Meat e presidente di Cellular Agriculture Europe, l’associazione dei produttori con base a Bruxelles, la prima delle quali è l’incertezza. Secondo Jones, infatti, non è ancora del tutto chiaro che cosa chiedono l’Efsa e il Paff, dal punto di vista delle analisi e dei controlli, perché si tratta davvero di alimenti totalmente innovativi, per i quali non esistono precedenti. Ma le ambiguità rendono più lenta e complessa la programmazione, perché per ogni quesito aggiuntivo che potrebbe arrivare durante l’esame sono previste pause di 30 giorni e l’iter si potrebbe allungare di molti mesi: è già successo, per esempio, a Impossible Foods, che da oltre 18 mesi cerca di ottenere dalla Commissione le autorizzazioni per i suoi burger vegetali (peraltro già in commercio da anni negli Stati Uniti), e procede a singhiozzo a causa dei continui rinvii causati da domande non previste. Per questo i produttori vorrebbero avere un quadro chiaro di tutte le possibili richieste, prima di procedere con i dossier. Secondo Jones, sarebbero necessari un maggiore coordinamento e uno scambio di informazioni tra tutti i protagonisti, per giungere a protocolli chiari e condivisi, alla stesura dei quali dovrebbero contribuire tutte le parti in campo.
Inoltre, sarebbe importante poter interloquire con Efsa prima della richiesta di autorizzazione (oggi non ci sono molte opportunità di dialogo). In fondo, questo è ciò che è avvenuto tra Eat Just e l’agenzia regolatoria di Singapore (la Singapore Food Agency): i due hanno collaborato molto attivamente per giungere all’approvazione.
Nel Regno Unito la Food Standards Agency ha mantenuto lo stesso tipo di protocollo dell’Efsa e si occupa di Novel Food dal 2021: anche in quel caso, l’agenzia è in attesa delle richieste di autorizzazioni ed è pronta a collaborare con i produttori. Dalla sua fondazione, la sezione Novel Food ha già lavorato su 120 prodotti nuovi come gli alimenti con i derivati della cannabis (soprattutto cannabidiolo o CBD), e nell’insieme ha ricevuto più di 800 richieste. Ma tutto ciò, secondo Jones, potrebbe rappresentare un problema: la carne coltivata potrebbe subire ritardi imprecisati semplicemente perché gli uffici competenti sono oberati da richieste su alimenti meno indispensabili rispetto ai bisogni primari della popolazione. Per questo, spiega sempre Jones, se si vogliono rispettare gli obiettivi sulla crisi climatica e contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C, è indispensabile attribuire delle priorità, e fornire a chi di competenza tutti gli strumenti necessari per rispettarle: per restare nell’esempio, i cibi con cannabidiolo non incidono positivamente sul clima, e potrebbero essere analizzati dopo altri, come quelli che forniscono proteine, molti dei quali sono già presenti nelle 800 domande pervenute a Londra. E la priorità va assegnata a questi ultimi.
Il Regno Unito, del resto, potrebbe approfittare della sua uscita dalla UE per mettere a punto iter molto più veloci e candidarsi così a un ruolo simile a quello ricoperto da Singapore in Asia e da Israele in Medio Oriente, diventando anche molto attraente per gli investitori. E dovrebbe farlo, anche perché altri due partner si stanno affacciando sul mercato con tutta la potenza del caso: gli Stati Uniti e la Cina. Il mese scorso Joe Biden ha varato un suo ordine esecutivo sulle Innovazioni nelle biotecnologie e nelle bioproduzioni, che comprende la carne coltivata, e la Cina, nello scorso gennaio, ha incluso l’agricoltura cellulare tra gli investimenti in ricerca e sviluppo del suo nuovo piano quinquennale: l’Europa è avvisata.
© Riproduzione riservata Foto: AdobeStock, Mosa Meat
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Giornalista scientifica
Ma noi siamo ancora dietro alla bella favola (spacciata da Coldiretti con sostanziosa sponda ministeriale), che tutto quello che si produce in Italia è bello, buono e sano! Andate a guardare gli allevamenti intensivi in cui si producono i grandi marchi made in Italy!
Ti fanno vedere mucche e maiali al pascolo in paesaggi bucolici mentre si nasconde la realtà di una Pianura Padana come uno dei luoghi più inquinati d’Europa a causa degli allevamenti intensivi.
Raccontano solo favole e intanto gi altri Paesi ci sorpasseranno come sempre!! E’ possibile che non si pensi ad una coesistenza delle due cose? Carne coltivata e carne da animali il cui benessere sia realmente rispettato. Sarà il consumatore a decidere. Troppo per la nostra cultura a quanto pare.
La pianura padana e’ anche la zona dove si utilizzano più pesticidi ed anticrittogamici per frutta e verdura .Anche se i prodotti singolarmente presi, non superano le percentuali permesse, è la somma dei diversi prodotti che mangiamo che fa il totale. Ma poi arriva l’industria farmaceutica per curare i danni dell’industria alimentare??
L’unico dubbio che mi viene è se questo prodotto, che certamente salverebbe la vita a molti animali innocenti, è che non sia cancerogena. Inoltre, sarebbe bene informare tutta la popolazione che non bisogna mangiare carne tutti i giorni, piuttosto optare per una dieta bilanciata.