Il problema della carenza di lavoratori agricoli nelle campagne per il raccolto di frutta e verdura a causa del coronavirus è stato al centro del dibattito in questi giorni con appelli  rivolti al governo da parte di Coldiretti e Confagricoltura che dichiarava: “Oggi abbiamo una richiesta media di circa 250.000 unità di lavoro. C’è difficoltà a far venire in Italia i collaboratori storici provenienti prevalentemente dall’Est Europa”.

Secondo Coldiretti sarebbe a rischio più di un quarto del made in Italy e per questo propone l’utilizzo dei voucher “che possano consentire da parte di studenti e pensionati italiani lo svolgimento dei lavori nelle campagne dove mancano i braccianti stranieri”. La soluzione, a quanto pare, sarebbe il ritorno ai voucher, per non contrattualizzate studenti e/o pensionati e per non offrire nessuna copertura economica per malattia e infortuni. Un articolo pubblicato sul Rassegna sindacale  il 1 aprile 2020 a firma Raffaele Falcone* dà una lettura diversa, focalizzando l’attenzione sull’impossibilità dei caporali di gestire  la manodopera a causa delle nuove limitazioni agli spostamenti, ai controlli e alle  norme di sicurezza sul lavoro decise dal governo.

coronavirusSorge spontaneo chiedersi come sia possibile che non si riescano a trovare lavoratori agricoli, anche in quelle province che da anni registrano il fenomeno della segregazione abitativa, con migliaia di operai agricoli braccianti costretti a vivere in ghetti fatiscenti. Certamente queste persone non sono rientrate nei loro Paesi di origine allo scoppio dell’epidemia, ma continuano a vivere in condizioni socio-economiche precarie.

In molte zone agricole italiane, dagli anni ’90, si è passato da una gestione a carattere puramente familiare post latifondista a una più strettamente imprenditoriale con l’impiego sempre più rilevante di manodopera esterna. In particolare da un numero sempre più importante di lavoratori immigrati noti alla cronaca soprattutto per le condizioni di lavoro essenzialmente improntate allo sfruttamento e al caporalato.

I lavoratori immigrati noti alla cronaca soprattutto per le condizioni di lavoro improntate allo sfruttamento e al caporalato

Secondo la lettura di Falcone dei dati Inps sui lavoratori stagionali, dimoranti e sulle giornate dichiarate  “si nasconde tanto lavoro nero/grigio ma se è vero che molti lavorano più di quanto dichiarato dai datori di lavoro vi sono migliaia di persone che vivono nei ghetti e non riescono a trovare un’occupazione. Ebbene come può un sistema con un numero così ampio di persone disponibili a lavorare ad avere problemi di occupazione? Il tutto è riconducibile all’incontro tra domande ed offerta e, dunque, al caporalato.” Il sistema è profondamente radicato e l’emergenza coronavirus ha messo in crisi proprio tutti quei servizi che le aziende avevano preferito affidare ai caporali: “il reclutamento, il trasporto e la direzione sul campo – spiega Falcone – vengono affidati a caporali della stessa nazionalità dei lavoratori, che occupano il vuoto istituzionale ricorrendo al cottimo ed ampliando il sottosalario.

Spesso il reclutamento, il trasporto e la direzione sul campo vengono affidati al caporalato

Quello che è venuto meno è la manodopera a basso costo, ma in un sistema in cui illegalità e caporalato sono così radicati, è particolarmente difficile ristabilire rapporti lavorativi legali e garantiti.

“Ci auguriamo – conclude Falcone – che l’emergenza coronavirus termini al più presto. Allo stesso tempo, ci auguriamo che le istituzioni raccolgano l’appello lanciato dalla Flai-Cgil e da alcune associazioni del terzo settore, con cui si chiede una tempestiva regolarizzazione di tutti i migranti costretti a vivere negli insediamenti informali e nei ghetti, al fine di tutelarne la salute e di ampliare il bacino di lavoratori disponibili. Ma soprattutto ci auguriamo che le aziende abbiano capito che vi devono essere delle alternative al sistema di reclutamento e trasporto dei caporali.”

* Raffaele Falcone è il segretario Flai Cgil Foggia

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Minosse
Minosse
7 Aprile 2020 09:16

E quelle belle anime che percepiscono il reddito di cittadinanza o altri aiuti statali, non potrebbero offrirsi per tali lavori ?

Roberto
Roberto
7 Aprile 2020 12:19

Abbiamo la piaga del caporalato e dei braccianti agricoli che lavorano in nero che, a livello governativo, NON si è mai voluto affrontare e contrastare seriamente e risolvere.

Secondo, l’abolizione dei voucher (grazie ai sindacati) ha fatto in modo di ostacolare anche quella frazione di lavoro regolare che c’era.

Filippo Rossi
Filippo Rossi
Reply to  Roberto
7 Aprile 2020 18:33

Per la (quasi) abolizione dei voucher dobbiamo ringraziare anche Di Maio, grazie al suo decreto Dignità, si possono usare per 15 giorni, ma le campagne agricole durano di più.

Valerio Fabbroni
Valerio Fabbroni
Reply to  Roberto
11 Aprile 2020 13:01

Ma assumere come 20-30 anni fa con contratti a TD e paghe non da fame è vietato dalla legge?