Aiutare le persone a mangiare meglio, ridurre le disuguaglianze sociali e fare bene all’ambiente. Sono questi i tre obiettivi primari che potrebbero avvicinarsi alla realtà, se si mettessero in campo strategie ad alta efficacia, dal costo quasi nullo ma finora poco considerate nella discussione sugli strumenti da utilizzare per migliorare la dieta della popolazione: quelle basate sulla disponibilità dei prodotti proposti da ristoranti, bar, supermercati e negozi. È infatti ormai dimostrato che i clienti si adeguano all’offerta, e che se l’assortimento è più sano, le abitudini si modificano di conseguenza, senza che gli affari ne risentano. Così, se sono presenti più bevande senza zuccheri, più snack naturalmente gustosi e meno patatine fritte, più frutta tagliata e meno dolcetti pieni di grassi, più bibite analcoliche o e meno superalcolici, più alternative vegetali e meno a base di carne, i consumatori si accontentano e anzi, con il tempo cambiano abitudini.

Per mostrare quanto ciò sia vero, un gruppo di ricercatori britannici ha effettuato un’analisi di nove studi pubblicati sul tema, nell’ambito di un’aggiornamento di una revisione del 2019 effettuata dal circuito Cochrane, che valuta i dati scientifici in base alla qualità statistica e dei protocolli. Come riportato sul British Medical Journal, pur essendo ricerche diverse, e condotte in situazioni di vita reale con molte variabili, hanno portato tutte alla stessa conclusione: gli interventi sulla disponibilità funzionano. A comprovarlo, c’è per esempio uno studio in cui aumentando la disponibilità di piatti vegetariani nelle mense dal 25 al 50%, il consumo di carne è sceso di otto punti, passando dall’81 al 73%. Questo tipo di azione sembra essere quella destinata ad avere più successo, probabilmente perché molte persone vogliono rinunciare alla carne, ma se non trovano alternative che considerano altrettanto appetitose non lo fanno. 

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Aumentare l’offerta di piatti vegetariani in menu riduce l’acquisto di pietanze a base di carne

Nello stesso tipo di situazione, cioè nei bar dove molti pranzano negli orari di lavoro, aumentando la presenza di proposte a minore apporto energetico dal 42 al 50% dell’offerta, le calorie medie acquistate in ogni transazione sono diminuite del 5%, passando da 384 a 366. In un altro studio, poi, quando i supermercati online hanno abbassato l’offerta di superalcolici dal 75% al 50%, la vendita di bevande analcoliche è passata da una media del 25% al 32%. Quando l’offerta è scena al 25%, gli acquisti di prodotti analcolici sono saliti al 45%.

In altre parole, anche cambiando i prodotti sostituiti o i parametri misurati, a ogni modifica dell’offerta corrisponde un mutamento di abitudini. Tuttavia nessuna delle nove indagini ha preso in considerazione l’effetto di questi interventi sul giro di affari per i gestori, timore che potrebbe scoraggiarli dal fare almeno un tentativo in senso migliorativo. Secondo una recente indagine effettuata nel Regno Unito, quasi l’80% dei consumatori però vede con favore queste sostituzioni, una percentuale che di certo non si ritrova a supporto di altre misure come la tassazione. Restano da chiarire alcuni aspetti: per esempio, interventi troppo limitati non sembrano avere effetti che si discostano da qualche punto percentuale. Oltre a ciò, nei paesi più poveri è più difficile riuscire a introdurre modifiche, magari nei piccoli negozi di paese.

In definitiva, i dati oggi disponibili dimostrano, secondo gli autori, che gli interventi sulla disponibilità servono, e dovrebbero quindi essere valutati (e introdotti) al pari dei limiti alla pubblicità o delle tassazioni specifiche; oltretutto, non hanno costi diretti e sono applicabili immediatamente. E qualcuno lo sta già facendo. In Scozia, per esempio, tutte le rivendite all’interno degli edifici della sanità pubblica devono proporre il 70% delle bevande e il 50% degli alimenti con basso tenore di zuccheri, sale o grassi, mentre in Portogallo le mense degli edifici pubblici devono offrire sempre almeno una pietanza vegetariana. 

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24 Maggio 2022 16:46

Al di fuori delle aree urbane con uffici e aziende, dove senza dubbio i cambiamenti ci sono – certe volte si notano meno nei prezzi che dovrebbero adeguarsi a un costo minore – continuo a non vedere offerta, nei menù, la frutta. E spesso la verdura è limitata a patate fritte e insalata. L’offerta mi pare ancora molto scarsa, come se fruttta e verdura appartenessero a un ordine mentale altro.