La produzione di cacao è la prima, per importanza economica, in Costa d’Avorio. E proprio da questo Paese proviene il 40% di tutto il cacao del mondo. Ma è anche una delle più minacciate, perché le rese sono in diminuzione a causa del cambiamento climatico, e sempre meno convenienti, soprattutto se raffrontate ad altre colture come la gomma o la banana. Presto però la coltivazione di cacao potrebbe riguadagnare il terreno perduto e anzi, assicurare un futuro a migliaia di persone, grazie a un progetto iniziato diversi anni fa a livello di esperimenti pilota, e ora approdato alla scala nazionale: quello che utilizza gli scarti della lavorazione come biomassa per la produzione di energia elettrica.
A raccontare questa storia positiva è la BBC, che ricorda come già oggi sei milioni di persone vivano grazie al cacao. Finora, però, gli scarti della lavorazione –i baccelli, i gusci delle fave, e il liquido lattiginoso che deriva dalla fermentazione – venivano buttati via. Per questo la Société des Energies Nouvelles (Soden), uno dei fornitori di energia elettrica del Paese che sta investendo molto sulle rinnovabili, ha iniziato a mettere a punto un modo per sfruttare questi scarti come biomassa. Il risultato è stato così positivo che è appena incominciata la costruzione della prima grande centrale a Divo, una città vicina a una delle aree più densamente coltivate a cacao. Una volta a regime (si pensa nel 2023), sarà in grado di produrre tra i 46 e i 70 megawatt all’anno, e di dare così energia elettrica rinnovabile a 1,7 milioni di persone. Quella stessa energia, se prodotta con i combustibili fossili, rilascerebbe ogni anno in atmosfera 4,5 milioni di tonnellate di gas serra.
Oggi la Costa d’Avorio utilizza il gas per il 70% della sua energia, che arriva a più del 90% della popolazione, ma si è data obbiettivi ambiziosi per il 2030: avere il 42% di energia rinnovabile e, contestualmente, ridurre del 28% le emissioni di gas serra. Inoltre, l’energia degli scarti del cacao dovrebbe avere anche altre ricadute positive. Si pensa infatti di dare vita a una rete di cooperative, per organizzare meglio la raccolta, il trasporto e la lavorazione della biomassa. Questo dovrebbe al tempo stesso creare nuovi posti di lavoro e rinsaldare la comunità, offrendo ai piccoli coltivatori nuove motivazioni per mantenere le piantagioni. Oltre al grande impianto di Divo (che dovrebbe costare attorno ai 200 milioni di euro), il progetto prevede di costruirne altri nove più piccoli, tutti nelle zone della coltivazione del cacao, e ciò dovrebbe favorire la creazione di una vera e propria rete nazionale.
Infine, l’esempio potrebbe essere utile ad altri Paesi. Lo pensa Powershift Africa, un istituto di ricerca di Nairobi, in Kenya, che promuove le energie rinnovabili in tutto il continente. E probabilmente lo pensano anche in Ghana, dove esistono micro-generatori (al massimo da 5 kW) che sfruttano i gusci delle fave di cacao per andare incontro alle esigenze di quel 60% della popolazione che ancora non ha accesso alla rete elettrica. Anche in Costa d’Avorio si utilizzano i gusci, ma per ricavarne biodiesel. Lo sviluppo di molti Paesi africani sta percorrendo anche strade molto interessanti, e utili non solo per loro stessi, ma per tutto il pianeta.
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Giornalista scientifica