Il recente episodio di tossinfezione alimentare da botulino che ha interessato 37 lavoratori siciliani ha evidenziato un problema che riguarda in special modo l’Italia, considerata uno dei Paesi europei con il maggior tasso di incidenza. Al momento le autorità sanitarie stanno procedendo con le analisi sul cibo mangiato dai lavoratori per verificare se le tossine erano presenti nel pasto.
Dal 1986 al 2019 sono stati registrati 355 incidenti che hanno coinvolto 515 persone. Grazie alla consolidata tradizione di preparare le conserve alimentari in ambito domestico, il botulismo rimane un problema di salute pubblica, soprattutto nelle Regioni meridionali. Si tratta di una malattia neuro-paralitica causata dalle tossine prodotte dai clostridi presenti nel prodotto. Questi microrganismi sono ubiquitari e si possono ritrovare, principalmente sotto forma di spora, in molteplici ambienti come il suolo, i sedimenti marini, il pulviscolo atmosferico e gli alimenti. Le spore possono rimanere quiescenti per lunghi periodi (anche decenni) e trasformarsi poi in cellule vegetative quando le condizioni ambientali diventano favorevoli. Queste cellule vegetative sono il vero problema, perché sono altamente patogene.
Secondo l’Istituto superiore di sanità nei prodotti alimentari le situazioni ottimali per la crescita delle cellule sono l’assenza di ossigeno, la presenza di substrati non troppo acidi (pH> 4,6) con elevate quantità di acqua libera, oppure substrati contenenti fonti di proteine consistenti (perché questi microrganismi non sono in grado di sintetizzare tutti gli amminoacidi). In Italia, la maggior parte dei casi di botulismo è correlata al consumo di prodotti di origine vegetale.
Solitamente i sintomi si manifestano da poche ore a oltre una settimana dopo il consumo dell’alimento contaminato (da 6 ore a 15 giorni). Tuttavia, nei casi di botulismo alimentare “italiani “la sintomatologia compare mediamente nell’arco di 24-72 ore dopo il consumo dell’alimento. Ovviamente più precoce è la comparsa dei sintomi più severa sarà la malattia. La sintomatologia può variare da forme lievi che si auto-risolvono, a forme molto severe che possono avere esito fatale. I sintomi più comuni sono l’annebbiamento e sdoppiamento della vista, la dilatazione delle pupille, la difficoltà a mantenere aperte le palpebre e di articolare la parola oltre a difficoltà di deglutizione, secchezza della bocca e stipsi.
La scheda redatta dall’Istituto superiore di sanità ricorda che nelle forme più gravi si assiste all’insufficienza respiratoria che può avere esito fatale per blocco della conduzione nervosa ai muscoli responsabili della respirazione. Nonostante la malattia possa essere mortale, se diagnosticata in tempo si risolve in tempi che possono variare da qualche settimana a diversi mesi. La terapia specifica consiste nella somministrazione di un siero distribuito dal ministero della Salute tramite la rete della scorta nazionale antidoti, e deve essere somministrato in ambiente controllato, pertanto il paziente affetto da botulismo necessita del ricovero ospedaliero.
Non tutti gli alimenti sono a rischio botulismo. Un prodotto si considera a rischio se le spore dei clostridi produttori di tossine botuliniche trovano le condizioni ideali per la germinazione e lo sviluppo vegetativo. Le tossine, infatti, vengono prodotte durante la moltiplicazione del microrganismo. Dal momento che una delle condizioni imprescindibili affinché le spore siano in grado di svilupparsi è l’assenza di ossigeno, gli alimenti freschi (insalata, pane, pasta, ecc.) non sono a rischio botulismo. Sono invece a rischio le conserve e le semi-conserve vegetali o animali non acide o che non hanno subito trattamenti di acidificazione/fermentazione. Le conserve di produzione industriale generalmente non sono pericolose, perché le tecnologie sono ben standardizzate e consentono il controllo dei clostridi produttori delle tossine. Le conserve effettuate in ambito domestico sono più pericolose perché spesso vengono effettuate seguendo ricette tramandate nel tempo, e rivisitate per ridurre il quantitativo di agenti protettivi (in primis aceto e sale), senza alcun fondamento scientifico.
In Italia, gli alimenti di produzione domestica che sono maggiormente responsabili dei casi di botulismo sono: le olive nere in acqua, le conserve di funghi sott’olio, le conserve di cime di rapa, le conserve di carne e di pesce. Per preparare conserve vegetali sicure anche a casa è necessario cuocere le verdure in una soluzione contenente acqua e aceto in uguale percentuale, invasare le verdure, eventualmente aggiungere l’olio e pastorizzare dopo aver chiuso il barattolo. La pastorizzazione è un trattamento termico che può essere effettuato a livello domestico immergendo completamente il vasetto pieno e chiuso ermeticamente, in acqua che poi si porta a bollore.
Marmellate e confetture dovrebbero essere invece preparate utilizzando frutta e zucchero in parti uguali. Se si riduce il quantitativo di zucchero deve essere aggiunto succo di limone in quantità tale da rendere la frutta sufficientemente acida (pH <4.6) da bloccare lo sviluppo dei clostridi produttori di tossine botuliniche. Le olive e gli altri prodotti in salamoia per essere sicuri dovrebbero essere preparati utilizzando 100 g di sale ogni litro di acqua, mentre è meglio evitare la preparazione casalinga di conserve di carne o di pesce.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Le conserve alimentari si sono sempre fatte, ma i casi di botulismo erano scarsi e, guarda un po’, occorrevano sempre a chi aveva voluto variare la composizione tradizionale perché “a me i peperoni piacciono poco acidi”, “io metto poco zucchero nella marmellata”, “non ho mica tempo di bollire i barattoli” eccetera.
Ma erano casi rari… ora invece c’è l’ossessione per la linea, per cui la marmellata deve contenere poco zucchero, l’ossessione del “naturale a tutti i costi”, per cui la si fa bollire poco, e del “mica ho tempo da perdere” per cui la si fa diventare meno liquida aggiungendo pectina, del “niente prodotti industriali” per cui si vuol fare da sè cose che non si sanno fare.
Il risultato, oltre a essere organoletticamente scadente (diciamocelo, da bambini la marmellata la rubavamo perché era densa e dolce!) è anche rischioso per la salute, se si ha fortuna si altera in modo evidente (muffe, barattoli che gonfiano, tappi che sfiatano all’apertura…) ma se quello che si sviluppa è il botulino corriamo rischi seri.
Eppure in rete ogni minuto nascono nuovi siti che si inventano scorciatoie per fare le conserve con ricette inventate (o scopiazzate con varianti di fantasia), ma che si riparano dietro al disclaimer a fondo pagina “si raccomanda di prestare la massima attenzione alla sterilizzazione”, come se non l’avessero proprio trascurata loro nella loro ricetta arronzata.
Personalmente declino sempre l’offerta di marmellate e conserve casalinghe, eccetto che conosca bene la persona che me le offre e sia certo che sappia ciò che fa e segua tutte le precauzioni necessarie.