A inizio 2021 Bonduelle ha lanciato una nuova linea di prodotti surgelati denominati “Senza Residuo di Pesticidi”. Si tratta di spinaci, fagiolini e piselli, per i quali l’azienda garantisce l’assenza di residui di oltre 500 molecole di pesticidi, e confezionati in una busta composta al 54% da bio-plastica proveniente da fonti rinnovabili. Il prezzo al chilo è leggermente più alto (circa + 15%) rispetto alle referenze convenzionali della stessa marca. La confezione di Spinaci millefoglie da 750 grammi è venduta a 2,95 euro (3,93 €/kg), mentre la nuova versione senza residui in busta da 600 grammi ha il prezzo consigliato di vendita di 2,79€ (4,65 €/kg).
In un mercato che vede i prodotti biologici in costante crescita, perché scegliere l’opzione senza residui di pesticidi e non il prodotto bio? “In Bonduelle lavoriamo in entrambe le direzioni, con l’obiettivo di offrire prodotti di qualità e attenti ai bisogni del consumatore. Infatti, le nostre verdure Senza Residuo di Pesticidi nascono dalla ricerca agronomica dell’azienda come proposta esclusiva, in grado di rispondere alla forte richiesta da parte dei consumatori italiani.”
Un aspetto che forse ha suscitato troppo clamore riguarda il packaging “composto per il 54% da plastiche vegetali, da smaltire nella raccolta differenziata della plastica”. Non sarebbe stato “più sostenibile” utilizzare una confezione di carta (da smaltire nella frazione della carta) come hanno scelto per i loro surgelati altre marche attente all’ambiente? “Stiamo riducendo gli spessori delle nostre confezioni – precisa Bonduelle – modificando i materiali che le compongono. Ci sono poi materiali sui quali il nostro centro di ricerche sta lavorando su pack in carta, in plastica riciclata o in materiali che possano disperdersi più facilmente nell’ambiente. Prendendo atto di questo, non dobbiamo però dimenticare quale sia il ruolo principale della confezione: garantire protezione agli alimenti sia da alterazioni, sia da contaminazioni di corpi estranei e agenti esterni. Per il momento, non abbiamo trovato un materiale che possa essere utilizzato come sostituto alla plastica.”
Il mercato della certificazione offre da tempo schemi sul “residuo zero” ma, al di là del claim, quel che è rilevante è come si arriva a questi prodotti. Abbiamo chiesto a Roberto Pinton, esperto di agricoltura biologica, il suo parere su questa dicitura. “Prodotti a “residuo zero” si possono ottenere progettando un sistema di gestione virtuoso dell’azienda, che escluda l’uso di pesticidi di sintesi, eventualmente sostituendoli con la difesa biologica. La stessa cosa si fa nelle aziende biologiche, che si devono però preoccupare anche di salvaguardare e incrementare la stabilità, la vita e la fertilità naturale del suolo, di usare con equilibrio fertilizzanti organici, nutrendo le piante soprattutto attraverso l’ecosistema del suolo, di progettare accurati piani di rotazione colturale e di adottare ogni altra attenzione suggerita dalle buone pratiche agricole, oltre che imposta dalla specifica normativa. La difesa biologica (che è solo una parte dell’agricoltura biologica ed è adottata anche dalle aziende non biologiche più moderne) cerca di ricostituire l’equilibrio fra specie dannose e specie utili, introducendo antagonisti specifici (insetti o acari, e microrganismi come funghi, batteri ecc.) per limitare la popolazione della specie dannosa.
Ma il “residuo zero” si può ottenere anche scegliendo con più cura i pesticidi da utilizzare, orientandosi tra quelli che si degradano più rapidamente grazie a particolari caratteristiche chimico-fisiche e/o rispettando i tempi di carenza, cioè il periodo tra l’ultimo trattamento e il raccolto o prelievo. Tant’è che nell’ultimo anno il 28.5% della frutta e il 64.1% degli ortaggi non presentavano residui [Dossier Pesticidi Legambiente 2020], senza per questo vantare un claim particolare.”
Si viene incontro al consumatore o si rischia di creare un’altra, ennesima dicitura? “Dipende. Non conoscendo nel dettaglio – precisa Pinton – il nuovo progetto di Bonduelle, che potrebbe benissimo aver fatto adottare ai fornitori il sistema di gestione virtuoso cui mi riferivo, devo tenermi sul generale. Il “residuo zero” non comporta necessariamente il mancato uso di pesticidi di sintesi (né di fertilizzanti ottenuti da trattamenti di materiali inorganici, petrolio, metano o carbone, i cui residui non si misurano e sono in ogni caso estranei al claim adottato dall’impresa), ma comporta quel che promette, ossia un prodotto in cui non siano rilevabili residui. Va da sé che uno spinacio realizzato con uso professionale e accorto di pesticidi di sintesi e fertilizzanti derivati da petrolio, più che rivolgersi ai consumatori sensibili al tema della sostenibilità ambientale, si rivolge ai consumatori che sono interessati a prodotti senza residui di sostanze nocive per sé: la vecchia contrapposizione tra ecologico ed egologico.
Questo tipo di dicitura è regolamentata? No, si tratta di disciplinari privati o di documenti tecnici proposti dagli organismi di certificazione che in genere fanno riferimento all’abbattimento del 100% dei residui massimi ammessi di fitofarmaci, e prevedono che il prodotto oggetto di certificazione non possa contenerne, considerando assenti eventuali residui inferiori a 0,01 ppm.
Si tratta della stessa soglia determinata dalle norme armonizzate adottate dall’Unione europea riguardo agli alimenti a base di cereali e agli altri alimenti per lattanti e bambini nella prima infanzia, ed è anche la soglia numerica che in Italia fa scattare la decertificazione di un prodotto biologico, anche quando sia dimostrato che si tratta di contaminazione ambientale indipendente dalla responsabilità dell’operatore. Il fatto che non sia regolamentata non significa che non sia attendibile: come ogni indicazione volontaria in etichetta dev’essere veritiera.”
Per quanto riguarda il packaging, si poteva fare di più? “Ci sono già alcune aziende e catene distributive che propongono confezioni per surgelati con tanto di certificazione di compostabilità e smaltibili nell’organico, e che ovviamente garantiscono la sicurezza igienica del contenuto, ma non si può che guardare con simpatia alla ricerca di Bonduelle verso un materiale da imballaggio più sostenibile.”
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Giornalista pubblicista, redattrice de Il Fatto Alimentare, con un master in Storia e Cultura dell’Alimentazione
Scrivere BIO sulla confezione vuol dire pagare. Utilizzare prodotti ugualmente sani o addirittura migliori senza utilizzare l’acronimo BIO vuol dire anche risparmiare sui costi per l’azienda e per il consumatore. Per evitare frodi, a mio avviso, si deve allegare il certificato delle analisi.
non mi è chiaro se Paolo intenda dire che ci possano essere produzioni migliori rispetto al bio o al convenzionale. se rispetto al primo non capirei come…