È uscito il rapporto di Legambiente redatto in collaborazione con Alce Nero, sulla presenza di fitofarmaci negli alimenti. La situazione generale risulta stagnante con solo il 52% dei campioni privo di residui. I pesticidi più diffusi riscontrati negli alimenti sono: Boscalid, Dimethomorph, Fludioxonil, Acetamiprid, Pyraclostrobin, Tebuconazole, Azoxystrobin, Metalaxyl, Methoxyfenozide, Chlorpyrifos, Imidacloprid, Pirimiphos-methyl e Metrafenone. Si tratta per la maggior parte di fungicidi e insetticidi utilizzati in agricoltura che arrivano sulle nostre tavole e che, giorno dopo giorno, mettono a repentaglio la salute dell’ambiente. I consumatori chiedono da tempo prodotti più sani e sostenibili, ma il business dell’agricoltura intensiva sembra non voler cedere il passo. Questo risultato non è positivo e lascia spazio a molti timori in merito alla presenza di prodotti fitosanitari negli alimenti e nell’ambiente. Analizzando nel dettaglio i dati, si apprende che i campioni fuorilegge non superano l’1,2% del totale ma che il 46,8% di campioni regolari presentano uno o più residui di pesticidi.
Per garantire elevati standard di qualità nella produzione agricola e al contempo proteggere le piante dagli attacchi di insetti e dal possibile sviluppo di malattie, l’impiego in agricoltura di pesticidi è largamente diffuso, nonostante oggi sia possibile ricorrere a tecniche di intervento o prevenzione alternative, come ad esempio l’applicazione di corrette pratiche di gestione agronomica.
La quantità di residui derivanti dall’impiego dei prodotti fitosanitari in agricoltura, che i laboratori pubblici regionali hanno rintracciato in campioni di ortofrutta e prodotti trasformati, resta elevata. Ma il problema vero è il multiresiduo, che la legislazione europea non considera come non conforme se ogni singolo livello di residuo non supera il limite massimo consentito, benché sia noto da anni che le interazioni di più e diversi principi attivi tra loro possano provocare effetti additivi o addirittura sinergici a scapito dell’organismo umano.
La maggior preoccupazione non riguarda i campioni irregolari, che hanno un’incidenza percentuale minima e in linea con il trend degli anni passati, quanto i campioni che contengono uno o più residui di pesticidi (46,8%), seppur nei limiti di legge. La frutta è la categoria nella quale si concentra la maggior presenza di campioni regolari con almeno un residuo (70%), con alcuni lotti di pere che però ospitano fino ad 11 residui contemporaneamente. Sono state inoltre individuate 165 sostanze attive: l’uva da tavola e i pomodori risultano gli alimenti che racchiudono la maggior varietà, contenendo rispettivamente 51 e 65 miscele differenti. È necessario rimarcare come i piani di controllo dei residui dei prodotti fitosanitari, sia a livello europeo che nazionale, non valutino ancora in maniera adeguata la presenza di multiresiduo negli alimenti e gli impatti ad essi associati.
Il limite massimo di residuo consentito per legge descrive esclusivamente la concentrazione di ogni singolo principio attivo, non prendendo in considerazione gli effetti sinergici e le interazioni che si instaurano tra le sostanze. Per assicurare una maggior sicurezza alimentare, Legambiente richiede che siano adottate specifiche misure di controllo del fenomeno del multiresiduo, sia da parte delle autorità nazionali competenti che dell’Efsa, anche attraverso un’efficace formulazione e attuazione del prossimo Pan.
Purtroppo, gli obiettivi da raggiungere sono ancora tanti, se si considera che tra le sostanze più frequentemente rilevate negli alimenti in Italia sono stati individuati principi attivi che causano gravi danni all’organismo, come il Chlorpyrifos il cui utilizzo non è stato rinnovato nel 2020 dalla Commissione europea. Un primo passo in questa direzione sarebbe rappresentato dall’abolizione totale del Glyphosate in Italia, escludendo qualsiasi ipotesi di rinnovo dell’autorizzazione al suo utilizzo, previsto nel 2022, come già hanno fatto Lussemburgo e Germania.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Battaglia sacrosanta ma si tratta di un cambio sistematico talmente forte che saranno necessari decenni prima che si realizzi in maniera significativa, ammesso che ci sia la solida volontà di dare seguito ai proclami, per ora vedo il gioco dell’oca , passi avanti ma poi deroghe, indietreggiamenti e giravolte .
Avere sufficiente disponibilità di cibo meno contaminato ( impossibile al momento averne senza qualche traccia) dovrebbe essere il traguardo appetibile dalla maggioranza dei consumatori.
Anche gli scienziati , i coltivatori e i produttori di pesticidi hanno famiglia e sono a loro volta consumatori e trarrebbero vantaggi sulla loro salute……i due ostacoli maggiori sono i conflitti di interesse (il punto più ostico e disturbante) e un modo scientifico di indagine che alla luce delle attuali conoscenze dovrebbe essere indirizzato più efficacemente verso le associazioni di veleni più che soltanto sulle singole sostanze, come ben sottolineato nell’articolo.
Questo commento si riferisce all’igiene in cucina.
Gentilissimo Sig. Giovanni, le voglio raccontare una storiella accaduta qualche anno fa in un ristorante italiano durante un viaggio con amici. Il locale si presentava “abbastanza bene” e anche il personale. Il cameriere ci consigliò tra l’altro un risotto. Ebbene al momento giusto è arrivato il primo e ai nostri occhi increduli è apparso un giovane cameriere che depositava con delicatezza ogni piatto con “il pollice che spiccava sul bordo a forse un paio di millimetri dal riso con l’unghia completamente nera” e ripeto “nera”. Siamo rimasti senza parole e nessuno di noi ha detto niente, e non credevo proprio di avere l’occasione di riparlarne. E poi io mi sono sempre posto il seguente problema, specialmente nei ristoranti affollati nei giorni di festa: ma è sicuro che il personale quando si reca al “bagno” come tutti gli esseri viventi, prima di tornare a servire, si lavi accuratamente le mani? E ripeto…accuratamente, come stiamo imparando ora per merito del coronavirus? E anzi, a proposito, non dovrebbe essere obbligatoria la vaccinazione di tutti gli addetti al ristorante (problema apertissimo)? Ricordo ancora che a Fiumicino, dove abito, in occasione della prima ondata sono stati chiusi alcuni ristoranti per contagi dovuti ai proprietari. Per concludere Signor Giovanni, non so se in Germania conoscano l’H.A.C.C.P. e devo umilmente confessare di non conoscerla nemmeno io, ma sono incluse le norme igieniche per il personale? A questo punto gradirei che lei ce lo spiegasse in modo semplice anche approfittando dello spazio che Il Fatto Alimentare ci offre. Grazie.
Non dico adesso, ma anni fa capitavo nelle cucine dei ristoranti per consulenze sull’adeguamento alla normativa per gli impianti elettrici: non ti dico cosa ho visto, le cose più innocenti erano i piatti in preparazione appoggiati sulla lavastoviglie, il gatto di casa che gironzolava strusciandosi sulle gambe della cuoca… Ovviamente senza generalizzare. Nell’HACCP è prevista la normativa sui gatti?☺