Nel tempo i danni indotti dal consumo di bevande alcoliche sono stati messi nero su bianco. L’etanolo e il suo metabolita acetaldeide sono inseriti nel gruppo 1 delle sostanze cancerogene redatto dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc), con effetti documentati a carico della cavità orale, dell’esofago, del fegato, del seno, del pancreas e del colon-retto. «Nessun limite di consumo è privo di rischi e nei messaggi rivolti alla popolazione non si può far riferimento alle proprietà salutistiche delle bevande alcoliche, come ribadito anche dalla Corte di Giustizia Europea e puntualizzato in questi giorni nella sede del Parlamento Europeo dalle società scientifiche promotrici di #AWARH15, la terza settimana europea di incremento della consapevolezza sui danni causati dal consumo di alcol», dichiara Emanuele Scafato*, direttore dell’Osservatorio nazionale alcol dell’ISS. «I giovani non dovrebbero mai bere prima dei 18 anni, per l’incapacità fisiologica di metabolizzare l’alcol. Ma qualunque sua quantità interferisce nello sviluppo e rimodellamento del cervello tra i 12 e i 25 anni, danneggiando irreversibilmente la memoria e la capacità di orientamento». Gli effetti dannosi crescono proporzionalmente alla quantità e alla frequenza dei consumi.

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Gli effetti dannosi crescono proporzionalmente alla quantità e alla frequenza dei consumi

Al potenziale cancerogeno vanno aggiunte le possibili conseguenze cardiovascolari, psichiche e comportamentali. Raccomandazioni che diventano più stringenti quando si ha di fronte una donna incinta, per i rischi potenziali a cui si espone il nascituro. «Quando la mamma beve, l’alcol passa la placenta alla stessa concentrazione del sangue materno. Una donna dovrebbe evitare gli alcolici anche quando programma di avere un bambino e durante l’allattamento», chiosa l’esperto. Da escludere, infine, anche i presunti “miracoli” del resveratrolo, per anni ritenuto responsabile del cosiddetto “paradosso francese”.

* Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio nazionale alcol dell’Istituto Superiore di Sanità, vicepresidente della Federazione Europea delle Società Scientifiche sulle Dipendenze (Eufas) e presidente della Società italiana di Alcologia

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MAurizio
MAurizio
24 Novembre 2015 19:46

Beh. Se ci sono paesi africani in cui il consumo di birra (alcolico, ma non certo “super”) potrebbe diventare un problema di salute pubblica, la cosa dovrebbe essere considerata anche per l’implicito risvolto “positivo” della notizia, se il tenore di vita dei locali è tale da permettersi un “abuso” di un genere alimentare non di prima necessità, prodotto per altro non da clandestine fabbriche di “felicità alcolica low cost” ma da industrie che cercano di trarre profitto da un commercio regolare di prodotti sicuri (e’ recente la notizia di una strage – letteralmente – tra i consumatori di birra “artigianale” contaminata – con 49 morti e centinaia di altri intossicati in Mozambico).
Senza contare che magari gli africani potrebbero sentirsi un attimo “perplessi” di fronte ad un ennesimo atteggiamento “paternalistico” da parte di “bianchi” pur animati da buone intenzioni…