Eccoli, sono arrivati i nuovi cracker Gran Pavesi al pomodoro, alle olive e al rosmarino tutti col il 30% di grassi in meno. Lo dice la pubblicità e lo ribadisce la frase sul frontespizio della confezione “-30% di grassi – senza olio di palma”. Il calcolo è stato fatto considerando il contenuto di grassi presente nei cracker più venduti (dal 9,6 al 15%). È vero, le nuove proposte Gran Pavesi hanno solo il 9% di lipidi, ma confrontando il profilo nutrizionale di questi cracker con il sistema a semaforo francese Nutri-Score (*), con quello dei Craker classici salati Gran Pavesi (senza granella di sale in superficie), il giudizio risulta peggiore (vedi figura sotto).
Il sistema assegna ai nuovi snack la lettera ‘D’ per l’eccessiva presenza di sale e ritiene poco significativo il minore apporto calorico inferiore del 6,56% rispetto ai classici, mentre i cracker classici meritano la lettera ‘C’, perché risultano più equilibrati e soprattutto contengono il 30% in meno di sale. Insomma la pubblicità e le diciture sulle etichette dei cracker al pomodoro, al rosmarino e alle olive sono corrette, ma i messaggi traggono facilmente in inganno il consumatore abituato a considerare i prodotti con meno grassi più leggeri (con meno calorie) e di conseguenza più salutari. Sovente non è così, come abbiamo visto in questo caso.
Insomma, i nuovi prodotti di casa Barilla hanno pochi grassi e un pizzico di calorie in meno, ma non sono interessanti dal profilo nutrizionale, e questo aspetto dovrebbe prevalere nella scelta sullo scaffale (tranne per le persone interessate a una dieta con pochi grassi).
(*) Il Nutri-Score è il modello di etichettatura a semaforo adottato ufficialmente in Francia, che dà un punteggio agli alimenti sulla base dei nutrienti contenuti (considerando sia quelli benefici per la salute sia quelli da limitare). L’etichetta prevede una gamma di cinque colori, che varia tra il verde intenso e il rosso, abbinati alle prime cinque lettere dell’alfabeto, dalla ‘A’ alla ‘E’. Le lettere esprimono il livello di salubrità (ottimo per la ‘A’, minimo nella ‘E’). Il sistema è adottato volontariamente dalle aziende.
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giornalista redazione Il Fatto Alimentare
Quando arriverà anche in Italia qualcosa come il Nutri-Score ?
Una bella domanda. Purtroppo non la vuole nessuno !
Sono allineato con tutti quelli che non approvano il Nutri Score alla francese, per la soggettività e semplificazione dei giudizi, che come in questo caso specifico, svaluta in modo discutibile un alimento migliorato con meno grassi e più proteine, per un maggior apporto di sale anche se modesto tenendo conto del consumo quotidiano.
Mentre auspico un metodo sintetico nostrano di segnalazione evidenziata, che tenga conto delle qualità generali del prodotto e della dose giornaliera mediamente assunta dal consumatore.
Perché l’uso eccessivo di qualsiasi alimento, anche nutrizionalmente perfetto, darà sicuramente squilibri dietetici per l’uso eccessivo; quindi oltre la qualità e la composizione, è fondamentale considerare il consumo medio giornaliero abituale.
Forse sono un po’ Off-Topic però, parlando di sale, pochi giorni fa mi è capitato un sacco di patatine fritte che, a mio avviso, era immangiabile visto l’alto contenuto di sale presente. Ho segnalato la cosa alla casa produttrice che, però, pur ringraziando ha detto che il campione da loro testato (in base al codice di produzione che avevo fornito) era regolare… Lasciamo perdere. Ho allora cercato qualcosa di alternativo, tipo un prodotto simile ma a basso contenuto di sale (che di norma non è dichiarato se non in modo generico), ma in commercio non ho trovato nulla… a quando un produttore che preveda un formato a basso contenuto di sale? Ormai l’ipertensione è diventata una malattia diffusa e molto pericolosa, prevenirla è un dovere!
Comprendo e concordo sulle sue esigenze e mi convinco ulteriormente del fatto che i produttori faticano molto a ridurre ingredienti che rendono appetibili le loro creazioni.
Così il sale insieme ai grassi nelle patatine fritte è strategico per incentivarne il consumo, che se fossero insipide ne consumeremmo molte di meno.
Idem per l’accoppiata zuccheri e grassi perché uno amplifica l’altro, tanto che che ridurne solo uno, oppure peggio entrambi, perderebbero d’interesse vista la nostra assuefazione a questi sapori.
Ecco che tutto dipende dalla porzione giornaliera, sia di ogni ingrediente significativo come il sale, ma anche della preparazione intera, in quanto portatrice di altri potenziali squilibri dietetici.
In estrema sintesi, qualità degli ingredienti, ricetta equilibrata e quantità/porzioni ragionevoli, fanno la differenza tra mangiare bene e corretto, oppure farsi del male.
Quindi indicazioni attenzionali evidenziate, ma motivate per educare e calcolate sulla porzione quotidiana.
Grazie per la risposta e la “condivisione” Ezio però, io farai un distinguo. Mentre per i grassi e lo zucchero il problema può essere gestito in modo diretto (se sono una persona “rotonda” o diabetica e non voglio farmi del male evito l’assunzione di certi cibi) le persone ipertese, spesso non sanno di esserlo. Ci sono persone che ignorano i loro valori pressori o, anche se li conoscono, non sanno dare il giusto peso a questi valori… con tutti i gravissimi rischi del caso. Ora, non voglio certamente suggerire di stampare nelle confezioni che contengono prodotti con un alte percentuali di sale “nuoce gravemente alla salute”, ma un minimo di informazioni in più non farebbe male d’altronde, grazie alle varie campagne di informazioni (di cui lo stesso “il fatto alimentare” si è fatto promotore) le cose sono cambiate. Se solo qualche produttore iniziasse a fare prodotti – e a pubblicizzarli – a basso contenuto di sale, io penso che un po’ alla volta anche i consumatori, adeguatamente informati, cambierebbero le loro abitudini, e questo porterebbe beneficio per loro stessi in prima persona ma, anche per la sanità pubblica.
Concordo in pieno il suo invito.