Tra i numerosi danni associati alla presenza di nano- e microplastiche nell’ambiente, ce n’è uno che non si considera spesso, ma che ha gravi e ampie ripercussioni: quello sulle api e sugli altri insetti impollinatori. I quali assorbono le plastiche dall’aria e dal terreno, e ne risentono in misura significativa. Non a caso, la contaminazione da nano- e microplastiche, NMP (nano/micro-plastics), potrebbe essere una delle tante cause che stanno portando alla scomparsa di questi insetti fondamentali, e alla loro diminuita efficienza nello svolgere le normali funzioni, tra le quali l’impollinazione. E tutto questo si vede anche nel business delle api da impollinazione, la cui domanda sta aumentando, come mostra uno studio uscito in questo periodo, soprattutto nei Paesi con le colture più estese, a fronte di un numero sempre più basso di insetti selvatici.
Le api e le nano- e microplastiche
Per quantificare il fenomeno e capire meglio le conseguenze della presenza di particelle di plastica in organismi così piccoli e delicati, i ricercatori della Westlake University di Hangzhou, in Cina, hanno verificato tutto ciò che è stato pubblicato negli ultimi anni, e cioè 21 studi, e hanno innanzitutto individuato le fonti principali di contaminazione. Come riportato su Nature Communications, le NMP arrivano soprattutto dai teli di copertura dei campi, dai recipienti per i fertilizzanti e i fitofarmaci, dalle acque contaminate e dall’atmosfera. Gli impollinatori quindi le ingeriscono e le inalano.
Una volta che sono nell’organismo, le NMP provocano effetti evidenti nel sistema immunitario, in quello digestivo e in quello nervoso, e tutti e tre i tipi di conseguenze si traducono in una maggiore vulnerabilità, in una minore efficienza nell’impollinazione e in danni su tutto l’ecosistema. Tra l’altro, si possono formare dei cosiddetti hotspot, cioè luoghi nei quali le plastiche, se presenti in concentrazioni elevate, interagiscono con i virus delle api, che diventano così ancora più mortali. Troppo poco è noto, invece, per quanto riguarda i rapporti tra le api e gli altri impollinatori in zone dove tutti sono esposti alle NMP.
Proprio per la vastità degli effetti, non sembrano esserci dubbi sul fatto che le NMP siano tra i principali responsabili della crisi delle api, e che anche per questo è necessario ridurre l’impiego di materiali plastici non necessari. Anche perché, a risentirne per prime, sono proprio le coltivazioni, come emerge dal secondo studio.
Impollinatori e impollinati
In questo caso, i ricercatori dell’Università dell’Illinois Urbana-Champaign hanno analizzato l’aspetto commerciale dell’impollinazione, a sua volta fortemente influenzato dall’agricoltura intensiva. L’impollinazione con api allevate ad hoc è infatti ormai indispensabile per molte colture intensive perché, a causa dell’utilizzo massiccio di insetticidi che esse richiedono (e di NMP disperse nell’ambiente e in atmosfera), di insetti selvatici non ce ne sono più.
Per inquadrare il business, gli autori hanno lavorato su una delle situazioni più note (e gravi): quella delle coltivazioni di mandorle della California che, da sole, assorbono quasi il 90% delle api allevate negli Stati Uniti. Come illustrato su Ecological Economics mandorleti californiani, la cui estensione è di 1,3 milioni di acri e in crescita, sono sempre più in sofferenza, a causa della siccità, che rende sempre più difficile soddisfare la loro grande necessità di acqua. L’impollinazione da anni è possibile solo grazie a miliardi di api che ogni anno attraversano tutto il Paese per giungere dagli Stati di produzione fino al sud. E ogni acro di terreno coltivato a mandorlo richiede due alveari di api: solo per i mandorleti della California sono quindi necessari 2,6 milioni di alveari, ciascuno dei quali costa in media 200 dollari, per ogni fioritura, che inizia verso febbraio.
I viaggi delle api
Nel resto dell’anno si portano le api a Nord, per esempio nei due Dakota, del Nord e del Sud, per la produzione del miele, e negli stati più caldi come il Texas e la Florida durante l’inverno. Anche per poterle sfruttare il più possibile, sempre nella logica delle pratiche intensive, gli apicoltori cercano di mantenerle in vita e vengono a patti con gli agricoltori, cercando di trovare compromessi. Così, la maggior parte dei contratti prevede sconti se l’agricoltore fa qualcosa che possa proteggere le api come, per esempio, se usare meno insetticidi, o impiegare le api su colture che sono positive per gli impollinatori come quelle di brassicacee, leguminose e trifogli.
Il depauperamento dell’ecosistema causato dall’agricoltura intensiva non viene quindi contrastato cercando di ripristinare la biodiversità, di usare meno plastiche né di proteggere gli impollinatori, ma con altre pratiche intensive che, oltretutto, sono associate a emissioni non indifferenti, visto che i camion con le api percorrono continuamente migliaia di chilometri, da uno Stato all’altro, per tutto l’anno.
Il circuito delle api industriali e la crisi di quelle selvatiche sono solo due aspetti delle tante follie del sistema attuale. Paradossi che spiegano, ancora una volta, perché sia indispensabile cambiare quasi tutto, e farlo prima possibile.
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Giornalista scientifica
Infatti stanno scomparendo in maniera strana, in quanto dai censimenti, sia nelle regioni Italiane sia in tutta Europa e nelle Americhe le api sono triplicate in 30 anni. Questo non significa che le micro plastiche così come gli insetticidi non arrechino danni alle api e agli altri impollinatori, ma dare la notizia che le api siano in crisi va a favore di chi inquina. Non a caso proprio le industrie farmaceutiche sottolineano che i loro insetticidi non fanno male, visto il numero di alveari sempre in aumento.
In questo modo non ne veniamo fuori.
Questa è una nota ISPRA che chiarisce la situazione
n tutta l’Unione Europea (UE), Regno Unito compreso, 17 milioni di alveari e 600.000 apicoltori producono ogni anno circa 250.000 tonnellate di miele. L’ UE è il secondo maggiore produttore di miele dopo la Cina, ciò nonostante ne importa principalmente dalla stessa Cina per coprire il suo fabbisogno interno. I principali paesi produttori nel 2015 sono stati Romania, Spagna e Ungheria. Negli ultimi anni gli apicoltori hanno lanciato l’allarme per la riduzione del numero delle colonie di api e per il declino delle loro popolazioni. In Italia sin dal 2003 sono stati segnalati eventi significativi di moria delle api, concentrati soprattutto in primavera, durante le fioriture, a causa dei trattamenti massivi con pesticidi operati sui suoli agricoli. La popolazione delle colonie di api in Europa, come in altre regioni del mondo, è in drastica diminuzione (IPBES). Secondo una rete di ricerca internazionale, coordinata dall’Istituto di apicoltura dell’Università di Berna, la morte in massa di api in Europa è un problema grave e in aumento di anno in anno. Gli esperti dell’Istituto hanno ipotizzato che la tendenza negativa, sebbene fluttuante, possa essere potenzialmente maggiore nel lungo termine a causa della crescente urbanizzazione, dell’espansione delle monocolture, dall’aumento dell malattie delle api, dei metodi di difesa delle coltivazioni che risultano spesso dannose agli impollinatori e di altri fattori ambientali di stress. I dati disponibili evidenziano infatti un aumento dal 5% – 10% al 25% – 40% nelle morti invernali delle api e crescenti morie durante il periodo primavera-estate.
Cosa si nasconde dietro una contraddizione, solo apparente.
Il 20 maggio è la giornata mondiale delle api, istituita dalle Nazioni Unite per sensibilizzare sempre di più sull’importanza di questi insetti, fondamentali per gli ecosistemi e quindi anche per noi esseri umani e da qui discendono i discorsi preoccupati.
Nel mondo esistono oltre 20 mila specie di insetti appartenenti alla famiglia apoidea, in Italia oltre 1000 specie, ma a proposito di biodiversità in crisi, di queste praticamente solo una è utilizzata per l’apicoltura: Apis mellifera, che non è mai stata a rischio estinzione ma purtroppo sotto il profilo della resistenza alle minacce non se la passa affatto bene.
Allora quali sono le api a rischio estinzione?
Secondo la IUCN, l’Unione internazionale per la conservazione della natura e delle risorse naturali, le specie di api a rischio, più o meno grave, nel nostro paese sono una trentina, quasi tutte sconosciute alla maggior parte dei non addetti ai lavori.
Questo dato deve rassicurarci???? stiamo parlando di poco più del 3% delle specie italiane, per di più semisconosciute…….
A parte che ignoriamo cosa significa il rischio di estinzione di poche specie a livello dei singoli ecosistemi e dall’altro, e nemmeno il fatto che le altre oltre 970 specie non siano citate non vuole dire che stiano bene.
Il declino degli impollinatori e altri insetti è un fenomeno generalizzato, che vede nelle specie in estinzione la punta dell’iceberg, fenomeno dovuto a vari fattori ripetuti dovunque.
Inoltre di molte specie i dati disponibili sono così pochi che è anche difficile fare delle considerazioni più precise.
Vale quindi sottolineare da un lato che le api da miele rientrano in quel 97% di api italiane non a rischio estinzione, ma che tuttavia non se la passano affatto bene, i dati ci sono, anche se ne servirebbero di più.
Però anche il commentatore non dice il falso, gli alveari in Italia, e in altre parti del mondo, stanno aumentando., secondo i dati dell’Osservatorio nazionale del miele, nel 2022 in Italia sono aumentati di oltre 100mila unità.
Ma aumentano solo perché gli apicoltori forzatamente li moltiplicano sempre più perché producono sempre di meno, pessimo segnale ambientale.
I censimenti ufficiali rilevano la consistenza degli alveari una volta all’anno ma poi ben poco dicono sulla durata di vita e sulla efficacia del loro lavoro, il fatto stesso che nel 2022 ci fossero tot alveari in più del 2021, non ci dice quanti ne siano morti.
E non è un dato secondario, né dal punto di vista zootecnico, né da quello biologico, sul numero di alveari si possono fare ipotesi ma non nascondono la precarietà dello stato di salute.
Mancano notizie sulla longevità di un alveare, averne che hanno una aspettativa di vita di 5-7 anni non è la stessa cosa che avere alveari che durano un anno o due.
Lo stesso vale per la popolosità, a livello statistico un alveare con 10mila api conta quanto un alveare da 30-40mila api, ma ovviamente non è la stessa cosa.
E quindi oggi le api nel loro complesso sono sicuramente in crisi.