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Una buona notizia: in Europa si usano sempre meno antibiotici negli allevamenti. Tanto che ora se ne è impiegano di più per la salute umana. È la prima volta che succede da quando abbiamo iniziato a registrare questi dati, nel 2011. Lo rivela il corposo rapporto sul consumo di antibiotici e sullo sviluppo dell’antibiotico-resistenza nel periodo 2016-2018 pubblicato congiuntamente dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) e del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc).

Secondo le tre agenzie che hanno redatto il documento, questo calo significativo nell’uso di farmaci antimicrobici negli animali da allevamento è il segnale che le misure prese dagli Stati membri per limitarne l’impiego stanno funzionando. In particolare, nel periodo esaminato, l’uso di un’importante classe di antibiotici, le polimixine, si è dimezzato. Questa classe di farmaci, che include la colistina, è fondamentale per la salute umana perché sono considerati di ultima scelta e sono utilizzati nella pratica medica per trattare pazienti con infezioni da batteri multi-resistenti ( l’uso negli allevamenti porta con sé il rischio concreto della diffusione di batteri resistenti anche a questi antibiotici).

In media l’uso di antibiotici negli allevamenti (in verde) in Unione Europea si è ridotto al punto da scendere sotto ai livelli di impiego per la salute umana (in azzurro) (Fonte immagine: Rapporto Efsa, Ema ed Ecdc)

Tuttavia, sebbene l’uso di polimixine si sia dimezzato, sono ancora impiegate più negli allevamenti che per la salute umana. La stessa cosa vale per le tetracicline. Al contrario aminopenicilline, le cefalosporine di terza e quarta generazione e i chinoloni vengono usati più per le persone che negli animali d’allevamento. Emerge dunque un quadro molto variegato tra le varie classi di antibiotici, ma anche tra i diversi Paesi dell’Unione europea.

Il rapporto di Efsa, Ema ed Ecdc mette il luce lo stretto legame tra l’uso di farmaci antimicrobici negli allevamenti e l’insorgenza di antibiotico-resistenza nei batteri presenti negli animali da produzione. Batteri che, attraverso il cibo, arrivano poi agli esseri umani. Come il Campylobacter, microrganismo che si trova comunemente nei polli: gli esperti delle tre agenzie hanno osservato una stretta associazione tra la presenza di resistenze agli antibiotici in questo batterio negli animali e nelle persone.

Secondo gli esperti, questi risultati ci dicono che siamo sulla strada giusta nella lotta all’antibiotico-resistenza. Tuttavia sono necessari interventi ancora più incisivi per ridurre l’uso di antibiotici negli allevamenti (e anche nella pratica medica) come dimostrano gli elevati tassi di resistenza rilevati in alcuni Paesi. Solo così si potranno arginare le gravi conseguenze delle infezioni da batteri resistenti, sia in termini economici, che di vite umane.

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