Alimentazione dei bambini da zero a tre anni: rischi molto limitati, in regola oltre il 90% dei prodotti. I risultati di uno studio francese durato 6 anni
Alimentazione dei bambini da zero a tre anni: rischi molto limitati, in regola oltre il 90% dei prodotti. I risultati di uno studio francese durato 6 anni
Giulia Crepaldi 10 Ottobre 2016L’Anses, agenzia francese per la sicurezza alimentare, l’ambiente e il lavoro, ha pubblicato i risultati di un’indagine sull’alimentazione dei bambini fino a tre anni di età. Lo studio sull’alimentazione infantile (EATi) è durato sei anni e ha analizzato il 97% dei prodotti che rientrano nei regimi alimentari dei piccoli d’oltralpe. I ricercatori hanno acquistato poco meno di 5.500 referenze e eseguito 457 campionamenti, per un totale di oltre 200 mila risultati analitici. Per determinare quali alimenti includere nello studio, i ricercatori hanno preso come riferimento un’indagine del 2005 sui consumi nell’infanzia (BEBE SFAE), redatta sulla base dei diari alimentari di centinaia di bambini, compilati dalle famiglie per tre giorni consecutivi.
L’obiettivo dello studio era determinare i livelli di esposizione ai contaminanti naturali e artificiali dei bambini fino a 36 mesi. I ricercatori hanno analizzato 670 sostanze, appartenenti a diverse famiglie di contaminanti: metalli e minerali, inquinanti organici persistenti, additivi, sostanze rilasciate dai materiali a contatto con gli alimenti (MOCA), composti neoformati, micotossine, steroidi naturali, fitoestrogeni e residui di pesticidi. Di 500 sostanze è stato valutato il livello di esposizione alimentare e per 400 – di cui 281 pesticidi – è stato anche calcolato anche il rischio associato.
Dalle analisi emerge che i livelli di esposizione e il rischio associato sono considerati accettabili o tollerabili per il 90% delle sostanze prese in considerazione. Ciò si traduce in una buona gestione delle molecole, a livello industriale, domestico e ambientale. Tuttavia, per nove sostanze e famiglie di composti i ricercatori giudicano la situazione preoccupante. L’elenco comprende: arsenico, piombo, nickel, policlorodibenzodiossine e policlorodibenzofurani (PCDD/F), policlorobifenili (PCB), micotossine T2 e HT2, acrilammide, deossivalenolo (DON) e furano.
Per quanto riguarda i metalli pesanti, i bambini sono esposti all’arsenico inorganico – tossico – principalmente attraverso il riso e i cereali a base di riso, da tenere sotto controllo, insieme a omogeneizzati di pesce e verdure, per poterne limitare la contaminazione. Con il regolamento 1006/2015, sono stati fissati dei nuovi limiti al contenuto massimo di arsenico nei prodotti per l’infanzia. Anche le acque potabili e minerali possono essere una fonte di arsenico nella dieta dei bambini, per questo secondo l’Anses sarebbe opportuno abbassarne i limiti. L’acqua è anche la principale fonte di assunzione del piombo per i più piccoli, insieme ai legumi. Il nickel, invece, è presente soprattutto nei prodotti a base di cioccolato.
Le diossine (PCDD e PCDF) entrano nella dieta dei bambini soprattutto attraverso il pesce e il latte, anche se a livelli molto bassi, mentre il PCB si ritrova soprattutto nei prodotti a base di pesce. Per bilanciare la necessità di includere nella dieta fonti di omega 3 e limitare l’assunzione di contaminanti, l’Anses raccomanda di far consumare ai bambini due porzioni di pesce alla settimana, variando il più possibile la specie.
Per le micotossine T2 e HT2 la Commissione europea ha raccomandato di mettere in funzione un sistema di monitoraggio efficace per limitare la contaminazione dei prodotti per l’infanzia, la stessa cosa dovrebbe avvenire per l’acrilammide, una sostanza che si forma durante la cottura dei cibi, presente soprattutto negli omogeneizzati a base di verdure cotte (con o senza carne), nelle patate e nei biscotti.
Le micotossine DON, invece, possono essere assunte dai bambini attraverso: bevande lattee a base di cereali, omogenizzati a base di frutta e di verdure, biscotti e pane. Infine, per quanto riguarda il furano, la principale fonte di esposizione sono omogenizzati e conserve.
I ricercatori francesi hanno individuato altre 7 sostanze – alluminio, cobalto, stronzio, selenio, metilmercurio, cadmio e genisteina – per cui non si può escludere un rischio legato all’esposizione alimentare. In alcuni casi, il problema è limitato a particolari sottogruppi di bambini, che per vari motivi hanno regimi alimentari che li espongono a queste sostanze.
La principale fonte alimentare di esposizione all’alluminio è ancora una volta rappresentata dalle verdure, mentre lo stronzio è stato riscontrato in livelli elevati in una marca di acqua minerale utilizzata per ricostituire il latte in polvere. Il selenio e il metilmercurio, invece, possono risultare elevati nella dieta dei piccoli che mangiano molto pesce, mentre il cadmio è contenuto principalmente nelle patate e nelle verdure.
Capitolo a parte per la genisteina, un fitoestrogeno e isoflavone della soia, presente ad alti livelli in particolare nella dieta di chi consuma grandi quantità di prodotti a base di soia, come i bambini che vivono in famiglie vegetariane o vegane.
In conclusione, dallo studio emerge un quadro in cui, su 670 sostanze esaminate, sono poche quelle che rappresentano un pericolo per i bambini, anche se è necessario un intervento su più livelli per ridurre i problemi. A livello domestico si possono prendere alcuni accorgimenti per limitare l’esposizione ai contaminanti: variare la dieta per evitare di attingere sempre alle stesse fonti, limitare il pesce a due porzioni la settimana e utilizzare acque in bottiglia, quando quella potabile presenta livelli elevati di piombo e arsenico.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.