Piante intere di tarassaco con radici in un cesto di vimini

I gusti fondamentali sono cinque: amaro, acido, dolce, salato e umami. La sensibilità all’amaro è definita da specifici geni che determinano la densità di recettori sulla lingua per questo gusto, ed è per questo motivo che possiamo trovare persone che non lo percepiscono quasi per nulla e altre (i supertaster) che invece sono molto sensibili.

Secondo gli esperti di evoluzione, la capacità di percepire l’amaro, è emersa perché permetteva di individuare velocemente nei cibi sostanze potenzialmente tossiche (come ad esempio i veleni che spesso hanno un gusto amaro). Eppure tra i vegetali ce ne sono diversi che pur avendo un gusto amaro, non solo non sono pericolosi per chi li consuma, ma anzi apportano numerosi benefici.

Culturalmente come si è diffuso un gusto così complesso? Molte risposte sull’argomento le troveremo nel nuovo libro: Amaro un gusto italiano, edito da Laterza. L’autore è Massimo Montanari, professore emerito all’Università di Bologna, che da sempre dedica il proprio studio soprattutto a due filoni di ricerca, tra loro strettamente integrati: la storia agraria e la storia dell’alimentazione. Nell’ambito di tali ricerche hanno avuto speciale risonanza i suoi studi sulla storia dell’alimentazione, intesa come storia a tutto campo che coinvolge i piani dell’economia, delle istituzioni e della cultura. Il libro ha un carattere divulgativo, ma la precisione e l’ampia bibliografia permetterà ai più curiosi di approfondire l’argomento.

Dai radicchi ai carciofi, dal caffè ai digestivi: l’amaro ha un ruolo privilegiato nel gusto degli italiani. Nessun’altra cucina europea ha una predilezione così marcata per quel sapore. Questo tratto distintivo ha origini lontane e affonda le radici nell’incontro fra cultura contadina e cultura alta.

Gli organi del gusto sono la lingua e il cervello. La prima sente i sapori, a valutarli è il secondo. Il meccanismo non è solo biologico, ma anche e soprattutto culturale: è una questione di abitudine, di apprendimento, di giudizio. Dunque, se ci chiediamo perché la sensibilità gustativa degli italiani è così attratta dall’amaro, la spiegazione non va cercata nella genetica ma nella storia. Ce lo spiega uno dei più grandi storici dell’alimentazione, scavando tra fonti letterarie e trattati di botanica, agricoltura, cucina, dietetica. Un sorprendente itinerario che mette a fuoco un aspetto affascinante e caratteristico della cultura italiana.

Montanari Massimo, Amaro un gusto italiano, Laterza, I Robinson. Letture, 2023, 136 p., Rilegato. 13 euro.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos, Laterza

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Antonio Pio
Antonio Pio
21 Agosto 2023 11:44

Molto interessante. In effetti non si parla molto dell’amaro e mi sembra, ma potrei sbagliarmi, che con gli anni si stia perdendo. Anche l’industria vada più volentieri verso il dolce e il salato.

gianni
gianni
21 Agosto 2023 14:54

Dubito che le ragioni dell’avversione al gusto amaro siano soprattutto storiche anche ammettendo, correttamente, che il gusto amaro sia campanello di allarme contro alcuni veleni vegetali oppure segnale di immaturità di tanta frutta o anche segno di cattiva conservazione.
Il vero problema è un imbroglio davanti ai nostri occhi: l’ubriacatura epocale, la spassionata devozione per il gusto dolce ottenuto sia con zuccheri che con impalpabili succedanei sostenuto da opachi enti a dispetto delle evidenze che si ottengono dalle ricerche.
La letteratura scientifica afferma che l’amaro, unito alla conoscenza di cosa è correttamente amaro, in tantissimi alimenti fa bene alla salute per molteplici ragioni mentre dei problemi delle sostanze dolci sulla salute umana siamo tutti abbastanza consapevoli, credo……….
Ma studi di una università austriaca indicano gli estimatori del gusto amaro come simil-sadici asociali e invece coloro che apprezzano il gusto dolce come persone assai socievoli, empatiche e cooperative, curioso vero?
Inoltre qualche autorevole “esperto” dice che è possibile «ingannare» il cervello ed abituarlo all’amaro e, nello specifico, all’amaro delle verdure.
L’uso della parola “ingannare”, nella sua valenza estesa, è figlio del nostro servilismo deviato e insalubre, e della sostanziale confusione in tutti gli ambiti sociali e culturali sull’argomento.

Perchè dubito sulle cause?
Il segreto sta ancora nella conoscenza, e non c’è nessun trucco o inganno.
Il segreto sarebbe in alcune specifiche proteine presenti nella saliva. Queste proteine influiscono sulla percezione del gusto e l’alimentazione influisce, almeno in parte, proprio su queste proteine. Infatti non è un segreto che il palato può essere educato o rieducato e pure in maniera abbastanza veloce ed efficace e non sarebbe nemmeno necessaria conferma scientifica.
La saliva è un fluido molto complesso composto da almeno 1000 diversi tipi di proteine molte delle quali ancora non sono state individuate. Dai test condotti da una Università di Buffalo, per gli scettici, è risultato come proprio l’alimentazione possa influire sulla composizione della saliva e come questa, di conseguenza, possa influire sulla percezione dei sapori.
Dai test in laboratorio è emerso come l’esposizione continua all’amaro influisse proprio sulla composizione delle proteine della saliva riducendo la capacità di percepire il sapore amaro e quindi, potenzialmente, portando a percepire le verdure come più buone. Si tratterebbe, secondo i ricercatori, di un cambiamento di prospettiva importante.
Per cercare di convincere qualcuno a mangiare più verdure la strategia potrebbe infatti non più essere solo «anche se non sono buone ti fanno bene» quanto piuttosto «non sono buone adesso ma lo saranno se insisti» e contemporaneamente continueranno a fare bene.
La variazione di percezione per sapori amari è enorme. Secondo i ricercatori «Quando queste proteine entrano in gioco l’amaro finisce per sapere d’acqua, è praticamente sparito».
Per mangiare più verdure quindi il segreto sarebbe insistere fino a quando non risulteranno deliziose, o quantomeno, non amare.
Banalmente tutto continua a dipendere dalle nostre scelte consapevoli e informate.

ilaria Roca
ilaria Roca
23 Agosto 2023 11:01

Seguo da tempo il professore Montanari e devo dire che i suoi libri sono sempre di ispirazione. Non si tratta solo di alimentazione, ma del profondo rapporto che il cibo ha con la nostra e le altre culture. Grazie per la recensione. Lo leggerò sicuramente

giova
giova
26 Agosto 2023 09:03

Uno scrittore prolifico ma che si legge sempre piacevolmente; divulgativo ma aderente a un approccio tecnico e scientifico.
Ha scelto un gusto negletto da molti; e, forse, a causa di questa “intolleranza” generalizzata al gusto amaro si sono alimentate delle scelte d’ibridazione dei vegetali che, nei fatti, ne hanno “appiattito” il gusto originario (v. l’amarognolo delle melanzane, piuttosto che la difficoltà ad acquistare la scorzonera). Anche l’EVO a gusto intenso gode di poca simpatia, e viene ritenuto in grado di cedere il gusto amaro ai cibi in cottura (che in realtà non accade).
Un gusto fondamentale in fitoterapia: sono numerose le erbe con questo gusto capaci di svolgere delle utilissime funzioni curative e di sostegno ad alcuni processi (si pensi alle foglie di carciofo, tarassaco, radice di genziana, rabarbaro, ecc.).

Ulisse Vivarelli
Ulisse Vivarelli
12 Settembre 2023 10:34

La cucina non è “moda” ma una declinazione della chimico fisica , della storia, delle scienze naturali e Montanari ne è un qualificato divulgatore.