Il cibo contenuto in vassoi e vaschette di alluminio può esserne contaminato. Sono questi i risultati di uno studio condotto dall’istituto di valutazione del rischio tedesco (BfR) che ha valutato diversi tipi di cibo sottoposto a ‘Cook and Chill’, un processo di conservazione che prevede dopo la cottura, un raffreddamento rapido a basse temperatura e il riscaldamento prima del consumo, che può avvenire nell’arco di pochi giorni. Il sistema presenta diversi vantaggi, tra cui il mantenimento della salubrità del prodotto (l’abbattimento rapido della temperatura riduce al minimo la proliferazione batterica che avviene tra i 10°C e i 65°C ), il risparmio di materie prime (si riducono gli sprechi e gli scarti) e l’ampliamento della fruibilità dell’alimento. Il metodo è utilizzato in molti settori della ristorazione collettiva (dalle mense di scuole e asili ai ristoranti).
Il BfR ha scelto di valutare il comportamento delle vaschette di alluminio nelle diverse fasi del ‘Cook and Chill’ e i risultati hanno evidenziato una certa migrazione di parti dell’imballaggio nell’alimento. “Visto che la popolazione è già esposta ad alluminio proveniente da altre fonti (alimenti, cosmetici e farmaci per esempio), ogni ulteriore fonte dovrebbe essere evitata – sostiene l’istituto tedesco – soprattutto nei gruppi di consumatori particolarmente sensibili, come anziani e bambini quando mangiano quotidianamente pasti somministrati in vaschette di alluminio.” Le prove sono state fatte mettendo alimenti con una nota acida (succo di crauti, succo di mela e passata di pomodoro in pezzi) in vaschette di alluminio e poi sottoponendo il tutto al processo ‘Cook and Chill’, salvo poi tenere le vaschette per due ore al caldo per simulare la fase di rinvenimento. Al termine del procedimento, gli alimenti sono stati analizzati ed è stato riscontrato un livello di alluminio superiore a 5 mg/kg in tutti i cibi acidi.
Questo valore (5 mg/kg) non rappresenta un limite imposto dalla legge e non è ricavato da studi tossicologici, ma si tratta di un valore basato sul principio ‘ALARA’ (‘As low as reasonably achievable’ ovvero ‘Abbastanza basso da essere ragionevolmente raggiungibile’) e assicura che la popolazione sia esposta ad alluminio il meno possibile al fine di salvaguardare la salute pubblica.
L’Efsa invece stabilisce un limite di assunzione pari a 1 milligrammo (mg) di alluminio per chilogrammo di peso corporeo. Si tratta di un valore probabilmente superato da una parte consistente della popolazione. Ciò non significa che si verificherà necessariamente un danno alla salute nel corso del tempo, ma certamente si affievolisce il margine di sicurezza per il consumatore. Un’analisi dei risultati porta a stimare che il rilascio di alluminio dalle vaschette è direttamente proporzionale al tempo in cui l’alimento viene riscaldato e resta a temperature elevate prima di essere servito a tavola. Il BfR afferma che sono necessari ulteriori indagini per inquadrare il problema, e ritiene lo studio un segnale da valutare con attenzione. Nel frattempo è bene rispettare le condizioni previste dalla legge per un impiego sicuro dell’alluminio, sia in forma di fogli o di vaschetta:
- Può essere utilizzato a qualunque condizione di temperatura, se è previsto un contatto con l’alimento inferiore alle 24 ore;
- Se il tempo di contatto con l’alimento supera le 24 ore (condizione di conservazione), l’alluminio può essere usato solo a temperature refrigerate;
- L’alluminio a temperatura ambiente può essere utilizzato solo per conservare alimenti a basso potere estrattivo (come caffè, spezie ed erbe, zucchero, cereali, paste alimentari non fresche, prodotti della panetteria, legumi e frutta secca, ortaggi essiccati).
Si ricorda anche che non bisogna mai mettere l’alluminio a contatto con alimenti acidi o troppo salati, visto che acidità ed eccesso di sale favoriscono la migrazione del metallo nell’alimento, come già precedentemente sottolineato.
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Per evitare la migrazione dell’alluminio basta mettere uno strato di carta forno o non è sufficiente? Grazie per la risposta
Della carta da forno ci si può fidare? So che non bisogna usarla a più di 220 gradi in forno ed a 150 in microonde. Ma non so se si può usare a contatto prolungato con i cibi.
Buongiorno Antonella, può essere una soluzione per arginare il problema.
C’è scritto anche sulle istruzioni di non mettere nelle vaschette cibi acidi o fortemente salati.
Non dico sia una ricerca da IGNOBEL ma soldi buttati lo sono di sicuro.
Buongiorno Riccardo, la legge italiana prevede questa indicazione in etichetta, in Germania invece non vi è questa regola. In ogni caso i risultati di questi studi si stanno dimostrando rilevanti perché sembrerebbe che vi sia una migrazione ancor più accentuata rispetto a quella che si prevedeva in passato, con conseguente maggior esposizione alla sostanza per il consumatore.
Le rarissime volte che acquisto cibi già preparati caldi o non caldi e solidi, ma non acidi come quelli contenenti pomodoro, lasagne ad esempio, chiedo che siano messi nelle apposite vaschette di plastica resistenti al calore, oppure se non sono disponibili quelle in plastica, evito poi di consumare il cibo rimasto attaccato alle pareti della vaschetta di alluminio e possibilmente anche quello non proprio attaccato ma che stava a contatto con le pareti.
Però mi chiedo se quelle vaschette di plastica siano poi una soluzione più sana (o meno rischiosa) e quanto polimero plastico … non utile alla salute, passi nel cibo.
La carta forno è una buona soluzione che adotto anch’io spesso (anche per avvolgere cibi grassi come il formaggio e riporli poi in frigo dentro i sacchetti di plastica) ed in taluni punti vendita od Hotel e centri di ristorazione che forniscono cibo per asporto in Austria, ci vado frequentemente, ti danno la possibilità (su richiesta) di metterla, la carta forno, sul fondo della vaschetta, contenitore, box ermetico, qualsivoglia esso sia.
Claudio, le vaschette di plastica resistenti al calore che Le forniscono su Sua richiesta, con ogni probabilità sono adeguate per un utilizzo di questo tipo pertanto Lei non corre alcun rischio di migrazione di sostanze inattese, può stare tranquillo. Controlli eventualmente la presenza del simbolo di alimentarietà stampato sull’articolo o se è presente l’indicazione “Per alimenti”.
I numeri citati sembrano mostrare che molto difficilmente si possa supera il limite di assunzione “settimanale” (non mi pare sia citato nel testo) indicato dall’EFSA. Infatti, per un soggetto di 70 Kg il limite di assunzione è di 70 mg ed egli dovrebbe ingerire 14 Kg di cibo “a rischio” a settimana per raggiungere tale soglia. Mi sembra sinceramente piuttosto improbabile come situazione.
Nello studio condotto dall’Italia e di cui abbiamo parlato in un altro articolo su Il Fatto Alimentare, qualche dato è proposto. Di seguito un rapido calcolo:
– Limite EFSA: 1mg/Kg p.c./settimana (15 mg per un bambino di 15Kg)
– Prove effettuate grigliando petto di tacchino cotto in forno, avvolto in foglio di alluminio, per 20 min a 250°C: 17.66 mg/Kg
– Calcolo sulla base di un’assunzione settimanale di 448g di carne: 7.9 mg
Siamo già oltre il 50% della quantità massima solo considerando questa carne. Sommiamo la quantità derivante da cereali e verdura (fonte principale di alluminio secondo lo studio), non credo che per un bambino di 15Kg si riesca a stare sotto i 15mg a settimana. Per un adulto dovrebbe essere fatti dei calcoli riproporzionati.
Personalmente ritengo più allarmante che un bambino assuma mezzo Kg di petto di tacchino a settimana. In ogni caso, fate attenzione ai facili allarmismi e soprattutto riportate in maniera completa informazioni e fonti di informazione, ne va della vostra credibilità, che spero possa rimanere più alta dei vari DiMartedì dove ne dicono di tutti i colori.
Mi chiedo a questo punto se sia rischioso preparare il caffè in casa con le classiche caffettiere di alluminio, le macchine espresso con caldaia di alluminio e le capsule chiuse con sigilli d’alluminio. Dato che il caffè si beve più volte al giorno, non farà male?
Scusate, mi sembra però fuorviante mettere l’immagine delle gastronorm (in acciaio) che sono usate nella ristorazione. Chi non ha un minimo di conoscenza dei materiali può essere messo in allarme senza motivo.
Per le caffettiere tradizionali, uno studio dell’ISS datato 2008 non ha evidenziato problematiche di rilievo in merito alla migrazione di alluminio, anche considerando l’assunzione di caffè più volte al giorno.
Uno studio più recente dell’ANSES (2013) ha invece interessato le capsule per caffè, rilevando che anche in questo caso non vi sono particolari problemi: si parla di un valore massimo corrispondente a 1,8 microgrammi/kg p.c./settimana, per una persona di 60 kg.
Buongiorno Gianluigi, mi scusi ma le fonti sono sempre citate e le informazioni arrivano direttamente dal Ministero della Salute come può leggere a questo link:
http://www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=2608
che poi Lei abbia pareri differenti da quelli del Ministero, questo è un altro discorso che nulla ha a che fare con la veridicità delle informazioni o con la credibilità di quanto è riportato nel dossier.
Quello che mi chiedo sempre é perché queste ricerche non si facciano prima di mettere in commercio dei materiali come questo. Perché qualcuno ci pensa solo dopo che sono stati usati per anni dalle persone in tutto il mondo? Quanti inconsapevoli intossicati nel frattempo, che poi saremmo noi tutti?