Secondo l’ultima statistica firmata Beverfood gli italiani nel 2018 hanno consumato 13.370 miliardi di litri. Stiamo parlando di 221 litri a testa, per una spesa familiare di circa 145 euro (nel calcolo complessivo sono considerati anche 1,5 miliardi di litri esportati). Escludendo quelle di vetro, il parco bottiglie italiano ammonta a quasi 12 miliardi di pezzi che nell’80-90% dei casi finiscono nei termovalorizzatori, poi ci sono gli impianti di incenerimento, il riciclo come r-Pet oppure in discarica e in parte sono dispersi nell’ambiente.
L’argomento viene poco trattato sui giornali e sui media, perché il consumo esagerato non trova giustificazione in un Paese dove l’acqua del rubinetto in molti casi è di ottima qualità. Secondo l’Istat il numero di famiglie che non si fidano di bere l’acqua di rubinetto è passato dal 40% nel 2002 al 29% nel 2018, ma questa tendenza non sembra incidere sui consumi di acqua in bottiglia di plastica, che negli ultimi dieci anni registra una costante lievitazione delle vendite. Secondo Ismea le vendite a volume sono più che raddoppiate, passando dai circa 5 miliardi di bottiglie di plastica del 2009 ai circa 10 miliardi del 2019. Si tratta di una crescita progressiva, nonostante la guerra alla plastica si sia andata intensificando.
Come evidenziano i dati Ismea relativi al 2019, gli incrementi delle vendite hanno interessato in modo particolare il Sud e la Sicilia, in un contesto di aumento generalizzato (+0,9% il dato nazionale). Da segnalare inoltre che la quota più importante dei consumi sia relativa all’acqua naturale, tipologia disponibile dai rubinetti di casa, con circa 7 miliardi e 200 mila bottiglie, acquistate nel 2019, un valore quasi triplicato nel giro di soli 3 anni. Le acque effervescenti, invece, nel 2019 sono state scelte dal 13% delle famiglie italiane, per un totale di circa un miliardo di bottiglie, contro le circa 500mila del 2016. A queste si aggiungono le acque gassate (1 miliardo) e quelle leggermente gassate (500 mila bottiglie).
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Dr. La Pira,
la seguo sempre con interesse. Anche Lei come altri specialisti difende la salubrità dell’acqua del rubinetto Italiana. Avete perfettamente ragione, la plastica sta massacrando il mondo ma la scelta dell’acqua minerale a volte non è così insensata. Un paio di anni fa per una riparazione abbiamo dovuto smontare qualche metro di tubazione di casa. Non le dico le condizioni igieniche (?) che ho riscontrato nei tubi in ferro, materiale di cui è costituito, penso, il 90% della rete Italiana di distribuzione. Al di là della vetustità delle tubazioni rimane il fatto che durante l’estate parecchie reti vengono caricate con cloro (meno male) che oltre ad essere sgradevole al gusto è caratterizzato da una notevole aggressività anche sugli acciai inossidabili. Infatti, le tubazioni in ferro vengono mano a mano sostituite, e ci vorranno decenni, da tubazioni, e dagli, in plastica sia pure di tipo adatto per contatti alimentari.
Cerco a mia volta di limitare il consumo di acqua minerale ma, mi creda, a volte è inevitabile farlo.
Con Un cordiale saluto,
Pino Valsecchi