Le acque dei fiumi e dei ruscelli che scorrono vicino ai centri abitati, ormai si sa, contengono anche farmaci provenienti da tracimazioni di fogne, perdite nelle fosse biologiche, e acque reflue trattate in maniera non adeguata. Ma che conseguenze ha tutto ciò sugli equilibri dei corsi d’acqua? Per capirlo, un gruppo di ricercatori dell’Università della Florida, della Monash University e del Cary Institute of Ecosystem Studies di Millbrook (New York), ha condotto una serie di test che dimostrano come le conseguenze apparentemente non drammatiche su una singola popolazione animale si ripercuotano su tutto l’ecosistema fluviale.
I farmaci su cui si sono concentrati sono stati gli antidepressivi che agiscono sulla serotonina, usatissimi in tutto il mondo e per questo rappresentativi dell’inquinamento da farmaci. In particolare, hanno utilizzato il citalopram, in dosi analoghe a quelle che si ritrovano nei campionamenti dei corsi d’acqua. Gli animali studiati sono stati i gamberi d’acqua dolce, il cui ruolo è fondamentale a più livelli: non solo costituiscono il cibo per altre specie come le trote, ma contribuiscono a degradare i liquami e i rifiuti, partecipano al ciclo vitale delle alghe, si nutrono a loro volta di invertebrati e producono deiezioni.
Come hanno riferito su Ecosphere, i ricercatori hanno creato venti “ruscelli artificiali”, e hanno posto all’interno di esse sabbia, rocce, residui di foglie di acero rosso, batteri, alghe e invertebrati, al fine di ricreare un ambiente il più possibile simile a quello naturale. Quindi hanno aggiunto in alcuni i gamberi e il citalopram, in altri solo il farmaco o solo il gambero, e ne hanno tenuti alcuni di controllo. Dopo due settimane di somministrazioni a giorni alterni, hanno messo i gamberi in vasche studiate appositamente per osservarne il comportamento. Hanno così visto come i crostacei che avevano assorbito il citalopram erano più aggressivi, tre volte più interessati al cibo e meno alla socialità rispetto a quelli di controllo. Ma il cambiamento nel comportamento ha conseguenze importanti, perché si traduce in uno svantaggio riproduttivo, in maggiori rischi di diventare essi stessi prede, e in un maggior consumo di cibo.
Non solo. Analizzando anche parametri quali il livello di ossigeno, la temperatura, la penetrazione della luce e alghe, non sono emersi effetti significativi sull’ambiente di un’alimentazione più famelica. Tuttavia, i risultati suggeriscono che con il tempo, ben oltre le due settimane dello studio, possano verificarsi cambiamenti nell’ecosistema come alterazioni della microflora e dei relativi biofilm prodotti dai batteri, un maggiore quantitativo di deiezioni e una minore quantità di ossigeno nell’acqua. Si può inoltre pensare che la diminuzione della fertilità significhi minore disponibilità di gamberi per i predatori naturali, con ulteriori squilibri. Quello che potrebbe sembrare un contaminate di scarso interesse per una specie animale, ha in definitiva ripercussioni su un intero ecosistema, e per questo – concludono gli autori – andrebbero presi provvedimenti per limitare e via via ridurre la quantità di sostanze inquinanti che finisce nei corsi d’acqua.
Un sistema che, per definizione, ha l’obiettivo di eliminare all’origine il problema dell’inquinamento delle acque reflue è l’acquaponica, ovvero l’allevamento di pesci in un circuito che alimenta anche le piante, senza produrre scarti e con reciproco vantaggio. Da tempo si studiano le condizioni migliori per avere sistemi equilibrati, e ora uno studio dei ricercatori dell’Università di Goteborg, in Svezia, e della Fish Farming Systems Experimental Facility di Sizun, in Francia, pubblicato su Frontiers in Plant Science, spiega come arrivare a un ciclo quasi ideale. Di solito le deiezioni dei pesci (in questo caso trote) costituiscono il fertilizzante delle piante che, nutrendosi, purificano l’acqua. Il rischio, però, è che in esse ci siano troppo carbonio e azoto, e che questo alimenti una crescita eccessiva dei batteri, con una diminuzione dell’ossigeno presente nell’acqua disponibile per i pesci.
I ricercatori, verificando che cosa accade negli impianti di trattamento delle acque reflue, hanno trovato le condizioni giuste per trattare le deiezioni solide fino a farle diventare un fertilizzante liquido, alleggerendo il carico di carbonio e lasciando intatta la concentrazione dei minerali preziosi per le piante. Il risultato è stato simile, e per certi versi migliore rispetto a quello che si ottiene utilizzando soluzioni industriali per la fertilizzazione idroponica. La lattuga ottenuta da questo sistema sperimentale si è rivelata ottima, e piena di elementi nutritivi, come pure le trote.
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Giornalista scientifica