I batteri stanno diventando sempre più resistenti agli antibiotici e nel 2050 dieci milioni di persone l’anno, circa una ogni tre secondi, potrebbero perdere la vita per la mancanza di farmaci in grado di curare alcune infezioni. È quanto emerge dallo studio Review on Antimicrobial Resistance, condotto su richiesta del Premier britannico, David Cameron, da un team di ricercatori britannici diretti dall’economista Jim O’Neill, secondo il quale “dobbiamo smettere di assumere gli antibiotici come se fossero caramelle. Se non risolviamo il problema, andremo incontro a tempi bui e moltissime persone moriranno”. Tutto questo avrà anche un impatto finanziario, calcolato in cento trilioni di dollari nel 2050.
Il rapporto dedica ampio spazio all’uso e all’abuso degli antibiotici in agricoltura e nella zootecnia, ricordando che negli Stati Uniti oltre il 70% di farmaci definiti importanti per l’uomo è venduto per l’utilizzo sugli animali, mentre altri Paesi non raccolgono neppure i dati o non li rendono pubblici. Vi è anche una crescente preoccupazione riguardo all’uso degli antimicrobici, in particolare gli antifungini, nelle coltivazioni agricole.
Per migliorare questa situazione, il rapporto propone tre passi fondamentali: un programma decennale, a partire dal 2018, per ridurre progressivamente l’utilizzo degli antibiotici non necessari in agricoltura, con obiettivi diversificati nei vari Paesi, a seconda dei loro sistemi di produzione; restrizioni e/o divieto per alcuni antibiotici fortemente critici, a partire da subito, perché troppi farmaci essenziali per l’uomo vengono usati in agricoltura, a volte senza neppure una supervisione professionale; maggior trasparenza da parte dei produttori alimentari sugli antibiotici utilizzati nella carne, in modo che i consumatori possano fare scelte d’acquisto più informate.
Il rapporto evidenzia che il divieto di utilizzare gli antibiotici come promotori della crescita sia un passo importante ma non sufficiente, perché per le autorità regolatorie è difficile sapere come viene usato un antibiotico: infatti, si può dichiarare di utilizzarlo a scopo profilattico ma basta poi aumentarne la dose per utilizzarlo come promotore della crescita, anche dove questo uso è vietato. È quindi necessario un rigoroso piano di riduzione del loro uso negli allevamenti.
Dato che l’80% della produzione mondiale di carne è coperto dai Paesi del G20, gran parte dell’uso di antibiotici negli allevamenti e le probabilità di sviluppo di resistenze al loro utilizzo ricade sotto la responsabilità di questi Paesi. Quindi, afferma il rapporto, il G20 deve assumere un ruolo guida in questa battaglia, in sinergia con l’Onu, la Fao, l’Organizzazione mondiale della sanità e quella per il benessere animale.
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finché la produzione di beni di consumo, e non, sarà regolata da meri interessi di profitto, si verificheranno sempre degli squilibri più o meno pesanti che tutti, volenti o nolenti, dovremo subìre. più tardi si interverrà, per far valere senso di responsabilità e legalità, e peggio sarà. rimane però un grande nodo da sciogliere, se vogliamo dare un senso di equilibrio tra le attività commerciali e le relative ricadute sulla società e sul territorio: la WTO (e di seguito TTIP, CETA e altri accordi del genere). perché, se in realtà vogliamo risolvere dei problemi seriamente, dobbiamo arrivare al nocciolo della questione.
Questo è un problema enorme e molto sottovalutato perché non darà effetti adesso ma dopo, col tempo. Tutto ciò è causa dell’uso e dell’abuso indiscriminato degli antibiotici negli allevamenti intensivi. La strada da percorrere è una sola: sostituire pian piano gli antibiotici con i probiotici per prevenire e curare, come stanno già facendo con buoni risultati, pare, in qualche allevamento degli Stati Uniti. Questa è l’unica via di uscita a mio avviso.
Questo, come tanti altri problemi che ci creiamo con le nostre mani, può essere sintetizzato nel principio dell’uso e dell’abuso.
Un buon uso quali-quantitativo di ogni cosa, non solo non arreca danni, ma è utile e vantaggioso per la completezza, la gestione della salute e del benessere psicofisico di ogni forma vivente ed anche dell’ambiente/pianeta in cui viviamo.
Qualsiasi abuso di ogni cibo, farmaco, sostanza, produce presto o tardi l’effetto deleterio opposto.
E’ un principio semplice ma non banale e la difficoltà che incontriamo nella sua applicazione, ci da il valore dei risultati positivi e negativi che produciamo.