In Italia da quasi due anni si discute di olio di palma, in questo periodo le istituzioni sanitarie si sono distinte per la pressoché totale assenza nel dibattito, anche se stiamo parlando dell’olio più consumato dagli italiani dopo quello di oliva. Recentemente l’Istituto Superiore di Sanità si è espresso con un documento molto critico nei confronti del grasso tropicale che Il Fatto Alimentare ha più volte commentato. Dopo l’uscita di questo documento abbiamo chiesto al Crea An (ex Inran) un parere sull’olio di palma cercando di evidenziare le criticità evidenziate per i bambini abituati a mangiare troppe merendine e biscotti con l’olio tropicale. Cosa pensa l’Ente della possibilità di sostituire il palma con altri grassi? Perché non si parla del consumo medio di 12 grammi pro capite e dei rischi che questo comporta?
Ecco le risposte di Elisabetta Lupotto, direttore del CREA-Alimenti e Nutrizione
Secondo l’Efsa la quantità di acidi grassi saturi nella dieta giornaliera derivante da carne, formaggio, latte, prodotti da forno, biscotti… dovrebbe essere la più bassa possibile, e comunque non superiore al 10% delle calorie giornaliere. Facendo due calcoli a partire dai dati del documento ISS, il consumo nei bambini non dovrebbe superare il valore medio di 18,7 g. La relazione stima un consumo di 27,88 g/die che risulta il 49% in più. Si tratta di un dato importante perché dei 27,88 grammi di acidi grassi saturi totali, ben 7,72 g (il 28%)* derivano dal palma. Potrebbe commentare questi dati? C’è da preoccuparsi per la salute dei bambini?
Il documento ISS non dà (e non può farlo perché non esistono i dati) un valore di consumo di olio di palma. Il documento ISS fa riferimento all’indagine Inran-Scai 2005-06, nella quale vengono riportati i consumi complessivi di grassi saturi da parte della popolazione italiana senza riferimento specifico all’olio di palma. Questi dati dicono che, nella fascia da 3 a 10 anni, i saturi complessivi ammontano a 25,4 grammi al giorno. Di questi 25,4 grammi al giorno 4,4 grammi* derivano da quegli alimenti nei quali potrebbe essere stato aggiunto olio di palma: cereali da colazione, biscotti, cracker, grissini e gallette, merendine, gelati, cioccolato, creme spalmabili al cioccolato. Di questi 4,4 grammi, l’olio di palma rappresenta presumibilmente una frazione molto inferiore, poiché non tutti i prodotti sopra elencati contengono olio di palma e perché l’olio di palma non è l’unico apportatore di acidi grassi saturi. Quindi i dati attualmente disponibili non permettono di discriminare l’olio di palma dalle altre fonti di grassi saturi che globalmente sono di poco superiori all’obiettivo per la prevenzione (11,9% vs 10%). Non parlerei quindi di dato preoccupante per la salute dei bambini, ma di generale attenzione a tutte le fonti di acidi grassi saturi.
(*) Nota della redazione: nel documento dell’ISS vengono riportati due scenari distinti. Lo scenario A e lo scenario B. Il primo si basa sui prodotti del 2006, mentre il secondo del 2015. Il primo però pondera i dati in base alla frequenza di consumo. La domanda cita i 7,72 g di grassi saturi potenzialmente da palma, descritti dall’ISS come scenario B; la risposta viene data in base ai 4,4 grammi considerati nello scenario A. Entrambi gli scenari hanno delle pecche: nel primo si considerano prodotti analizzati oltre dieci anni fa quando la quantità di palma utilizzata dall’industria era ridicola rispetto a quella attuale; nel secondo caso si considera una banca dati di 2500 prodotti che impiegano nella stragrande maggioranza dei casi l’olio tropicale, ma non si ha la ponderazione sulla frequenza di consumo e quindi possono essere dati sovrastimati. Il dato di consumo pari a 12 g/die di palma è quanto indicato dalle aziende alimentari.
Gli acidi grassi saturi rappresentano quasi la metà della quantità massima, e risultano circa un terzo rispetto a quanto assunto dai nostri bambini. Il problema è che non sono quelli presenti in: yogurt, latte, formaggi, prosciutto cotto, ma derivano da alimenti dove il grasso viene aggiunto volontariamente (merendine, biscotti, grissini, cracker, fette biscottate e prodotti da forno…). Basterebbe sostituire l’olio di palma con altri oli più ricchi di mono e poli-insaturi (girasole, mais, oliva) per normalizzare l’assunzione di saturi nella dieta dei bambini. Le sembra una proposta ragionevole?
Anche questo è un dato non corretto. I 4,4 grammi di saturi consumati dai bambini, ammesso che derivino tutti dall’olio di palma, ma non concesso per i motivi espressi sopra, rappresentano un quinto della quantità suggerita come obiettivo nutrizionale per la prevenzione (che non è una quantità massima) e non la metà. Ripeto: la dieta va vista nella sua globalità; anche l’assunzione di acidi grassi saturi deve prevedere la modulazione di vari prodotti che ne contengono. Sulla possibile sostituzione facciamo grande attenzione: un biscotto o una merendina in cui l’olio di palma viene sostituito con un olio diverso, avrà le stesse calorie (i grassi hanno tutti lo stesso valore energetico) e questa sostituzione non lo assolve o giustifica in termini – per esempio – di apporto di zuccheri.
Il documento attribuisce agli adulti un consumo giornaliero di saturi pari a 27,21 g ovvero il 24% in più del dovuto. Anche in questo caso basterebbe sostituire l’olio di palma presente nei prodotti alimentari industriali con altri oli più ricchi di mono e poli-insaturi (girasole, mais, oliva) per cercare di normalizzare la situazione? È una buona soluzione? C’è da preoccuparsi per la salute degli adulti?
Anche per gli adulti i dati vanno letti con attenzione. Non si possono usare i grammi di consumo senza rapportarli alla assunzione calorica generale. Quello che lei cita come il 24% in più è relativo a un fabbisogno ipotetico relativo ad una dieta standard di 2000 Kcal nella quale dovremmo avere 22 g al giorno di grassi saturi. La nostra assunzione media è di 2147 kcal (maschi e femmine) al giorno: quindi con 23,8 g di grassi saturi concessi la differenza non è del 24% ma dell’11,4%.
Infine, leggendo bene i dati, il consumo di grassi saturi della popolazione adulta è di 29,7 grammi per i maschi e 24,4 grammi per le femmine, corrispondenti all’11,2 e 11,3% dell’energia complessiva non troppo lontani dall’obiettivo di prevenzione che, come abbiamo detto, è il 10%. Di questi grassi saturi, 2,8 e 2,4 grammi vengono da prodotti che potrebbero contenere olio di palma, vale a dire circa l’1% dell’energia, ammesso che derivassero tutti dal palma. Di nuovo l’attenzione va posta sulla dieta nella sua globalità e non sul singolo ingrediente, che ha un effetto molto piccolo sull’apporto complessivo di acidi grassi saturi.
La gente non si rende conto che ogni giorno assume in media 12 g di olio di palma attraverso il cibo industriale. Forse basterebbe rinunciare a molti cibi confezionati e seguire di più il modello della dieta mediterranea per ristabilire le cose. Cosa consiglia il Crea AN?
Non abbiamo cognizione che in Italia si consumino 12 grammi al giorno di olio di palma, valore che – tra l’altro – cozzerebbe con la disponibilità di consumo. Come riportano i bilanci alimentari nazionali (Food Balance Sheets della FAO), la disponibilità al consumo pro capite di olio di palma è pari a 3,15 grammi al giorno nel 2011 (ultimo dato disponibile). La disponibilità al consumo è un dato che indica la presenza sul mercato di un determinato prodotto ed in genere è superiore al consumo reale (non tiene conto per esempio degli scarti). Il consumo effettivo potrebbe essere superiore se si ipotizzasse una entrata clandestina di olio di palma nel nostro Paese o se gli italiani consumassero preferibilmente prodotti importati. Il modello alimentare mediterraneo è da sempre quello che ispira l’elaborazione delle Linee Guida e gli interventi di educazione alimentare da parte del Crea An, che già da tempo puntano l’attenzione alla riduzione delle fonti principali di acidi grassi saturi nella dieta.
Il lavoro che ha realizzato il Mario Negri ha evidenziato la non tossicità dell’olio di palma. Ha anche paragonato il palma al burro dicendo che gli effetti sull’organismo sono simili e ha detto che l’olio tropicale è migliore degli acidi grassi trans. Tutto ciò è corretto, ma oggi la presenza di burro e acidi grassi trans rappresenta forse meno del 5%, il resto è quasi tutto palma e in piccolissima parte girasole e cocco. Da un punto di vista nutrizionale bisogna partire da questo dato. Il documento dell’ISS evidenzia un esagerato impiego a livello industriale del palma. È forse il caso di fare un appello alle aziende alimentari invitandole a modificare le ricette?
Oggi la presenza di burro e di acidi grassi trans è molto diminuita (ma non del tutto scomparsa) proprio per la possibilità di usare oli tropicali in sostituzione sia del burro, sia delle margarine, che venivano usate proprio per il loro contenuto di grassi saturi. Tali grassi sono necessari per le caratteristiche strutturali del prodotto e, nell’ambito di una dieta equilibrata e di un consumo moderato di prodotti da forno (nei quali il grasso non è l’unico problema), non rappresentano un rischio. Sia le imprese che le istituzioni sono già impegnate in tavoli di lavoro per la riformulazione dei prodotti alimentari non solo nel merito degli acidi grassi saturi ma, in generale, per migliorare il profilo nutrizionale dei prodotti e per abbassarne il contenuto in sale, zucchero, ecc, seguendo le indicazioni che vengono dalla ricerca scientifica in ambito nutrizionale.
Il Centro Crea An in questi anni, attraverso numerose interviste rilasciate in Tv e sui giornali, ha preso una posizione molto neutra rispetto all’olio di palma, ignorando un dato che è noto da tempo: ovvero che ogni italiano ne assume 12 g al giorno. In numerose interviste ha così trasmesso un messaggio tranquillizzante dicendo che in una dieta equilibrata non ci sono problemi, che il palma non è tossico, che il palma è come il burro e che è migliore degli acidi grassi trans (che però non si usano ormai da tempo). Non le sembra ci sia stata una grave sottovalutazione del problema e che si debba avvisare i cittadini sul ruolo negativo del palma?
Non c’è stata alcuna sottovalutazione del problema da parte nostra: le valutazioni derivano dalla presenza e dalla accurata analisi dei dati disponibili nonché dalle conoscenza del settore. Se mai, sarebbe opportuno ragionare sulle modalità con le quali alcune notizie, che possono generare allarmismi, debbano essere diffuse e discusse causando, se mal comunicate, una sopravvalutazione o una cattiva interpretazione del problema.
La replica de Il Fatto Alimentare
Dall’intervista emergono evidenti difficoltà del Crea An quando si tratta di fare valutazioni quali-quantitative sulla nutrizione degli italiani. La scelta di rispondere alle domande utilizzando i dati di composizione degli alimenti del 2006 e non quelli della banca dati dell’Aic ( Associazione italiana celiachia) del 2015 usata dall’ISS è emblematica, visto che 10 anni fa la quantità di di grasso tropicale era tre volte inferiore rispetto a quello attuale comunicato dall’Aidepi. A questo elemento di criticità si aggiunge l’ostinazione nel ribadire che gli italiani consumano 3,5 g di olio di palma al giorno (il dato è riferito al 2011 quando le importazioni erano quasi quattro volte inferiori rispetto ai valori del 2014 quando si è raggiunta la quota massima di importazione pari a un consumo di 12 g pro capite dato Istat). Anche quando alla fine dell’intervista si dice di non avere sottovalutato il problema l’affermazione risulta ridicola. Negli ultimi tre anni la FDA americana, l’Anses francese e l’autorità sanitaria del Belgio e l’ISS italiano hanno redatto documenti sul problema dell’olio di palma e l’eccesso di grassi saturi nella dieta, proprio perché si tratta di un problema serio di salute pubblica. Nello stesso periodo il Crea An ha ignorato il problema rilasciando interviste tranquillizzanti e dimostrando una scarsa sensibilità verso una questione di salute pubblica.
La Pira Roberto
Senza contare che nei ristoranti viene usato largamente per le patatine fritte e per il pesce fritto e credo anche per tutti quei prodotti che debbono essere sottoposti a friggitura. Le risposte più comuni alla domanda : perchè usate l’olio di palma? ci viene risposto che le patatine sono più asciutte e croccanti e l’olio di palma dura molto di più che altri oli da cucina. Stessa cosa per i pesci fritti.
Ed hanno ragione
Un buon motivo per non andare PIU’ A PRANZO FUORI DI CASA !
Scusate, ma da quando in qua l’intervistatore “replica” all’intervistato … dopo… se il fattoalimentare aveva qualcosa da dire, non sarebbe stato più corretto farlo “durante”? Mi sfugge qualcosa?
L’intervista è stata fatta inviando le domande scritte.
Da un po’ di tempo ho notato che l’ uso dell’olio di palma e’ sulla maggioranza dei prodotti da forno(pane, pasta per focacce, brise’ sfoglia ecc). prodotti che nel passato acquistavo perche’ privi di tale elemento. Credo che. Il consumo di tali prodotti sia diminuito e cio’ dovrebbe far riflettere le ditte produttrici.
Concordo con il CREA AN solo l’affermazione che “l’attenzione va posta sulla dieta nella sua globalità e non sul singolo ingrediente”.
Quindi secondo loro, cari consumatori rinunciate a mangiar prosciutto, carne, burro e latticini, perché la quota giornaliera di grassi saturi è già coperta dall’olio di palma, presente ormai in quasi tutti gli alimenti con grassi aggiunti, per cui non serve sostituirlo con un grasso migliore meno saturo, perché tanto l’apporto calorico sarebbe lo stesso.
Un bel giro di valzer. Ogni ulteriore commento e confronto con loro, è superfluo!!
Leggo questa frase “La scelta di rispondere alle domande utilizzando i dati di composizione degli alimenti del 2006 e non quelli della banca dati dell’Aics del 2015 usata dall’ISS è emblematica, …” in cui si cita la banca dati AICS. Vorrei sapere se si trova on line. Le mie ricerche non hanno dato esito né ho trovato altre citazioni della stessa. Potrei saperne di più? Grazie
La banca dati è quella dell’Aic (Associazione italiana celiachia) che è stata redatta di recente ma non è in rete