La nostra specie sta facendo a sé stessa oggi ciò che ha fatto per secoli agli animali: un’alimentazione che si allontana dalla natura. Questo cambiamento è rappresentato dagli alimenti ultra processati. Questi prodotti industriali hanno buon gusto, lunga conservazione, praticità d’uso, prezzi accessibili a larghi strati della popolazione – dai bambini agli anziani con redditi anche modesti – e sono realizzati da aziende attente alla sicurezza, con materie prime controllate e additivi autorizzati, spesso anche di origine naturale. Sembrerebbe un quadro ideale. Eppure proprio questi alimenti si rivelano pericolosi, diventando causa o concausa di malattie come sovrappeso, obesità, diabete, papillomi intestinali, diverticolosi e tumori del colon-retto.
Da dove nasce il pericolo di alimenti ottenuti da ingredienti sani e sicuri? Non da ciò che contengono, ma da ciò che non contengono: sostanze essenziali per il nostro organismo di onnivori, formato da 30-40 trilioni di cellule e da un numero equivalente di microrganismi che convivono con noi.
Alimenti ‘semplificati’?
Alla fine dell’Ottocento, in molti Paesi asiatici l’alimentazione era basata sul riso, che in forma integrale irrancidisce facilmente e si conserva poco. Il riso sbramato, privato dell’involucro che contiene fibra, olio e germe, divenne allora un grande successo commerciale. Tuttavia, nel 1886 Christian Eijkman (1858-1930) scoprì che la malattia chiamata beriberi era provocata da una dieta fondata prevalentemente – o esclusivamente – sul riso sbramato, povero o del tutto privo di una molecola poi identificata come vitamina B1. Per questa scoperta nel 1929 ricevette il Premio Nobel.
Si trattava di una patologia dovuta non a una presenza, ma a un’assenza. Da qui si aprì la strada all’“Era vitaminica” e alla scoperta di molte altre carenze di micronutrienti: un esempio è il gozzo, endemico nelle popolazioni alpine con diete povere di iodio.

La nostra specie, onnivora, ha bisogno di un’alimentazione naturalmente complessa. Ecco perché è rischioso basarsi su materiali alimentari eccessivamente semplificati: zuccheri cristallizzati, farine raffinate fino a polveri di amidi, grassi vegetali molto purificati e quasi privi di pectine e cellulosa.
Nutrizione naturale e alimenti ultra processati
Le caratteristiche degli alimenti ultra processati non influiscono solo sul nostro organismo, ma anche sui nostri microbioti, spesso trascurati o ignorati. Per questo, pur essendo considerati sicuri perché privi di componenti tossici, tali alimenti sono scorretti dal punto di vista nutrizionale e salutistico. È utile confrontare il processo digestivo dei cibi naturali con quello degli alimenti industriali ultra processati.
Con una dieta naturale, gli alimenti di origine vegetale e animale – ricchi di strutture complesse come le fibre – sono ben masticati (“prima digestio fit in ore”) e mescolati alla saliva. Nel tratto gastrointestinale subiscono una digestione enzimatica e una parte dei nutrienti viene assorbita. Le strutture vegetali e molte molecole complesse non digerite raggiungono il colon, dove vengono fermentate dal microbiota, un ‘organo’ di circa un chilogrammo che produce acidi grassi volatili, peptidi, amminoacidi, vitamine e molecole bioattive. Queste sostanze proteggono la parete intestinale e, una volta assorbite, agiscono sull’intero organismo fino al cervello, lungo l’asse intestino-cervello. È un processo che richiede molte ore, evita picchi glicemici e ritarda il ritorno della fame.
Con un’alimentazione basata su cibi ultra processati – costruiti con ingredienti semplici come zuccheri, farine raffinate e grassi – la masticazione è minima. Giunti nello stomaco e nel duodeno, questi prodotti vengono digeriti e assorbiti quasi immediatamente, cosicché nel colon arriva poco o nulla. Ne derivano picchi glicemici molto rapidi, seguiti da un altrettanto rapido ritorno della fame, con una preferenza per cibi dolci e gustosi (origine di sovrappeso e obesità). Il microbiota, non più adeguatamente nutrito, subisce alterazioni (disbiosi) e riduce le proprie funzioni nutritive e protettive sulla parete intestinale: di qui papillomi, diverticoli e tumori del colon-retto.

Un esempio concreto
Dal punto di vista chimico e calorico, cibi tradizionali e alimenti ultra processati possono sembrare simili. Ma il loro comportamento nell’organismo è completamente diverso.
Si confronti una bruschetta preparata con una fetta di pane bianco e olio extravergine d’oliva con una fetta di pane integrale ai cereali consumata assieme a olive. La prima richiede pochissima masticazione ed è rapidamente digerita tra stomaco e duodeno. La seconda richiede lunga masticazione e salivazione; solo una parte viene digerita nel tratto superiore, mentre il resto raggiunge il colon, arricchendo il microbiota anche di microrganismi vegetali (endofiti) e producendo lentamente metaboliti che agiscono sia sul colon-retto sia sull’intero organismo. Lo stesso accade confrontando un succo di pesca – o peggio una bevanda all’aroma di pesca – con una pesca consumata con la sua buccia.
Ecco perché la maggior parte degli alimenti industriali ultra processati, composti da materie prime eccessivamente semplificate, risulta inadeguata.
Perché esistono alimenti ultra processati?
Gli alimenti ultra processati sono dannosi se consumati in grandi quantità e per lunghi periodi, come avviene oggi nelle società urbano-industriali, soprattutto tra le fasce di popolazione a basso o medio reddito. La loro diffusione ha molte cause, che riguardano sia la produzione sia il consumo, e che possono essere modificate solo affrontando le ragioni che hanno portato a questa situazione.

Siamo passati da società agricole, in cui ci si nutriva soprattutto di ciò che si produceva, a società in cui solo il 3-4% della popolazione è impegnato nell’agricoltura, e in cui i prezzi e i tempi dell’alimentazione si sono drasticamente ridotti. Nella prima metà del Novecento una famiglia italiana destinava al cibo un terzo del proprio bilancio e trascorreva tre o più ore al giorno tra cucina e pasto. Oggi la spesa è meno di un quinto e il tempo dedicato al cibo è sceso a meno di un’ora.
La trasformazione è avvenuta attraverso l’uso di alimenti considerati ‘commodity’, controllati da sistemi industriali e finanziari globalizzati che tendono a preservare i propri interessi.
Grazie a materie prime a basso costo, tecniche di lavorazione ingegnose, lunga conservazione e capacità pubblicitarie efficienti, il sistema alimentare industriale produce alimenti ultra processati con margini elevati. Margini ai quali non intende rinunciare, anzi punta a ampliarli, anche in Italia, dove la popolazione diminuisce e quella anziana – che consuma meno cibo – cresce.
La percezione del rischio
Il comportamento dei consumatori ricorda quello legato al tabacco: si privilegia il piacere immediato rispetto al rischio futuro, percepito come lontano o ipotetico. Così, di fronte ai danni degli alimenti ultra processati – obesità, diabete, patologie e tumori intestinali – non si investe nella prevenzione, ma si interviene a posteriori attraverso il Servizio sanitario nazionale, con terapie farmacologiche.
Questo apre nuove e allettanti prospettive economiche all’industria farmaceutica, come dimostra il boom dei farmaci contro l’obesità. Si crea così una connessione sempre più pericolosa tra industria alimentare e industria farmaceutica. Ma questa è un’altra storia.
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002



Molto interessanti e chiari i vostri articoli.
Condivido pienamente, noi viviamo autoproducendo, circa l’80 % di quello che mangiamo, dai nostri conoscenti veniamo visti come extraterrestri.
ottimo articolo utile e da seguire attentamente grazie
Sono interessata ai problemi legati all’alimentazione
Articolo interessante ed esaustivo
Complimenti per la chiarezza professore. L’esempio fra bruschetta con olio e pane integrale con olive e’ illuminante nella sua banalità. E peraltro magaaaari il problema fosse la bruschetta con olio d’oliva, c’e’ ben di peggio nelle pance della gente. Proprio oggi che abbiamo la nostra cucina iscritta all’Unesco come patrimonio mondiale dobbiamo ricordarci di non prendere scorciatoie pericolose. Quest’articolo come questo ce lo ricordano come meglio non si può, grazie.